Imposte indirette. I criteri per la corretta applicazione dell'inversione contabile secondo le norme interne e comunitarie. Tre verifiche sul reverse charge

Prima di detrarre l'Iva vanno controllati elementi soggettivi, data e dicitura in fattura
Prima di essere accolte in contabilità, le fatture vanno sottoposte ad «adeguata verifica». Per detrarre l'Iva addebitata o "autoliquidata" (reverse charge), infatti, occorre disporre di una fattura regolarmente redatta, come prevede l'articolo 1, Dpr 100/1998 (in linea con l'articolo 178, paragrafo 1, lettera a), direttiva n. 2006/112).
Per evitare contestazioni, pertanto, l'addetto alla registrazione (ciclo passivo), è tenuto a conoscere non solo la disciplina interna (articolo 21, Dpr 633/72), ma anche le disposizioni comunitarie in materia. Limitando l'analisi alle fatture emesse da fornitori di altri Stati Ue – le uniche tecnicamente qualificabili come tali – è bene ricordare che l'articolo 226 della direttiva individua il contenuto "minimo" obbligatorio del documento, con la conseguenza che è a tale norma che occorre riferirsi. In base a questa disposizione, è possibile differenziare i controlli distinguendoli in tre categorie.
Gli elementi soggettivi
Un primo accertamento riguarda gli elementi di tipo "soggettivo". Oltre all'anagrafica di cliente e fornitore, il documento deve riportare il numero identificativo dell'emittente (nelle fatture estere, i dati dell'emittente sono talvolta corredati da informazioni fuorvianti, come avviene quando sono riportati i numeri identificativi di diverse sedi in altrettanti Paesi).
La partita Iva del destinatario è richiesta solo per le cessioni intracomunitarie (acquisti, nella nostra prospettiva) e per le cessioni/prestazioni per cui il destinatario è debitore del l'imposta (la norma interna, invece, richiede sempre l'identificativo del cliente comunitario, a prescindere dal tipo di operazione). I controlli nel sistema Vies consentono di verificare tali dati.
Gli elementi oggettivi
Un secondo profilo concerne gli elementi "oggettivi" della fattura. Di particolare rilievo è la previsione (articolo 226, n. 7) secondo cui il documento deve riportare, fra le altre indicazioni, quella concernente la data d'effettuazione o di ultimazione della cessione/prestazione, sempre che tale data sia determinata e diversa da quella d'emissione della fattura.
La disposizione non è stata recepita nell'ordinamento interno; il che non toglie che vi si possa fare riferimento per le fatture estere. Per esempio, quando occorre individuare, nei casi dubbi e nei limiti in cui ciò appaia plausibile (nel senso che non deve trattarsi di un'evidente anticipata fatturazione), il momento d'effettuazione di una prestazione di servizi "generica" resa da un prestatore comunitario (anche le circolari n. 16/E/2013 e n. 35/E/2012, del resto, pur senza richiamare la norma comunitaria, attribuiscono rilievo alla fatturazione del fornitore come indice dell'effettuazione del servizio).
La dicitura in fattura
Quanto alle indicazioni "applicative", particolare rilevanza assumono i numeri 11 e 11-bis, dell'articolo 226. Per le operazioni esenti o non imponibili, infatti, occorre segnalare la pertinente norma comunitaria o nazionale oppure fornire le informazioni che permettono di riconoscere il regime (è stata la scelta del legislatore interno). Quando il cessionario/committente è il debitore dell'imposta, invece, il fornitore deve apporre la dicitura «inversione contabile».
La scrupolosa osservanza di tali obblighi dovrebbe ridurre al minimo il margine d'errore. Se nella fattura emessa da un fornitore francese per una cessione di beni è indicato che l'operazione è soggetta a «inversione contabile» («autoliquidation» in francese), ciò dovrebbe significare che si tratta di un'operazione interna allo Stato italiano, per la quale il cessionario è (solo) debitore dell'imposta, e non di un acquisto intracomunitario, tassabile in quanto tale e non per effetto di un'inversione degli obblighi. Specularmente e salvo diverse regole applicabili nell'altro Stato membro, il cedente italiano emetterebbe fattura a norma dell'articolo 21, comma 6-bis, lettera a), del decreto Iva, riportando la medesima annotazione (inversione contabile) e non quella di «operazione non imponibile», riservata alle cessioni intra-Ue. Una volta escluso che la dicitura indicata dal fornitore comunitario sia errata (i documenti di trasporto potrebbero provare che la merce, in realtà, proviene dalla Francia), pertanto, il cessionario nazionale dovrebbe integrare la fattura ricevuta ai sensi dell'articolo 17, comma 2, secondo periodo, Dpr 633/72 (con le regole degli articoli 46 e 47, Dl 331/93).
Fonte: Il sole 24 ore autori Massimo Sirri Riccardo Zavatta
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