Le cause estintive. La rinuncia all'incasso. Il costo sostenuto può giustificare lo stop al recupero

Il creditore è chiamato a fornire la prova della difficoltà del debitore o della non convenienza dell'azione esecutiva per garantirsi la deducibilità delle perdite su crediti derivanti da transazioni o atti di rinuncia. Anche questo spunto emerge dalla circolare 26/E/2013 che ha confermato l'orientamento secondo il quale gli elementi certi e precisi sono richiesti anche per le perdite su crediti derivanti da atti ed eventi di natura realizzativa o estintiva. Ma con alcune puntualizzazioni.
Mentre nell'ipotesi in cui la perdita derivi da un atto di cessione del credito a banche o altri intermediari finanziari vigilati (residenti in Paesi white list) viene infatti riconosciuto una sorta di automatismo – per certi versi assimilabile a quello previsto in presenza di procedure concorsuali – nella deducibilità (si veda Il Sole 24 Ore di lunedì 12 agosto), maggiori oneri probatori sono invece richiesti in ipotesi di transazione o di atti di rinuncia al credito.
Con riferimento all'ipotesi di transazione motivata da difficoltà finanziarie del debitore, il creditore può considerare soddisfatti gli elementi di certezza e precisione qualora – specifica la circolare – non appartenga allo stesso gruppo del debitore e venga data prova dell'inconsistenza patrimoniale dello stesso.
Allo stesso modo la perdita da transazione assume rilevanza fiscale laddove l'accordo transattivo è motivato da scelte di convenienza economica del creditore, situazione che si verifica quando il costo del recupero del credito è superiore all'importo della perdita, condizione questa ancor più avvalorata nel caso di crediti di modesto importo. Nel silenzio delle Entrate la perdita si deve ritenere deducibile nell'esercizio in cui è perfezionato l'accordo transattivo.
Anche in ipotesi di rinuncia al credito, al fine di evitare che l'atto unilaterale possa qualificarsi quale liberalità priva di inerenza, il creditore deve dimostrare le «ragioni di inconsistenza patrimoniale del debitore o di inopportunità delle azioni esecutive».
Quanto alla dimostrazione dell'inopportunità delle azioni esecutive, la stessa sarà mitigata per le perdite di modesto importo, ossia quelle che si presentano d'ammontare non superiore alle spese che sarebbero state sostenute per il recupero del relativo credito. Dall'altro lato vi sono le perdite giustificate da considerazioni di strategia generale tali da condurre l'imprenditore a compiere legittimamente operazioni in prima battuta antieconomiche in vista e in funzione di benefici economici su altri fronti. In tal senso la Cassazione (sentenze 23863/2007 e 10256/2013) ha ritenuto legittima la deduzione fiscale della perdita derivante dalla rinuncia al credito qualora sia funzionale a una strategia commerciale tendente a mantenere relazioni distese con la controparte e ad acquisire nuove commesse e ordinativi.
Sotto il profilo della dimostrazione dell'inconsistenza patrimoniale del debitore, da provare sia in ipotesi di transazione che di rinuncia, in passato la Cassazione (sentenza 11329/2001) ha riconosciuto la deducibilità fiscale della perdita derivante dalla rinuncia a un credito giustificata dalla circostanza che un'eventuale azione esecutiva promossa nei confronti del debitore ne avrebbe causato il fallimento, dal quale la società creditrice non avrebbe tratto alcun beneficio economico.
Fonte: Il sole 24 ore autori Marco Marani Lorenzo Turco

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