Più cautele se c'è un rappresentante fiscale in Italia

Le nuove norme sulla fatturazione determinano rilevanti complicazioni per gli operatori nazionali che acquistano beni e servizi da soggetti comunitari dotati di rappresentante fiscale in Italia. In tal caso, infatti, le fatture devono indicare i dati del rappresentante fiscale, oltre a quelli del soggetto non residente rappresentato (articolo 21, comma 2, lettera c, Dpr 633/72).
La "cointestazione" della fattura, ribadita nella prassi ministeriale (risoluzione n. VII-15-7/1993), comporta, per l'operatore residente che riceve il documento, la necessità d'inquadrare correttamente l'operazione con riguardo al soggetto cui la stessa va riferita, tenendo presente che la fattura può essere (materialmente) emessa dal rappresentante fiscale in Italia (risoluzione n. VII-15-8/1994) oppure, indifferentemente, dal fornitore comunitario (risoluzione n. 128/E/1998).
Le fatture che recano sia i dati del soggetto rappresentato sia quelli del rappresentante fiscale, tuttavia, spesso non consentono d'individuare il "vero" emittente del documento, rendendo necessaria un'ulteriore attività investigativa per assolvere gli obblighi previsti dalla normativa.
In tale ottica, un ruolo fondamentale lo giocano le annotazioni obbligatorie da inserire in fattura, previste dalla direttiva comunitaria (e recepite nella normativa interna) proprio per facilitare il compito degli operatori. 
Pertanto, in assenza di qualsiasi annotazione nella fattura ricevuta (che riporti l'indicazione che si tratta di «operazione non imponibile», per esempio, oppure la dicitura «inversione contabile»), nei rapporti con operatori comunitari, il soggetto residente è tenuto a informarsi sulla natura dell'operazione, "colloquiando" con la controparte. 
L'esigenza di assumere informazioni si rivela necessaria soprattutto nei casi in cui non è altrimenti possibile desumere con certezza le caratteristiche dell'operazione, come potrebbe accadere, per esempio, esaminando i documenti che normalmente accompagnano la consegna dei beni ceduti (Ddt, Cmr eccetera).
Il fornitore francese, stando all'esempio in pagina, a fronte di una simile richiesta di chiarimenti formulata dal l'operatore nazionale, potrebbe rispondere che la cessione è stata effettuata direttamente dalla sede in Francia, oppure che la fattura è stata emessa dal rappresentante fiscale (anche se materialmente redatta dalla società francese) per beni consegnati dal deposito in Italia.
Nel primo caso si tratterebbe di un acquisto intracomunitario, da annotare nel modello Intrastat e da trattare in base alle disposizioni degli articoli 46 e 47, Dl 331/93. Mentre, nella seconda ipotesi, si configura un acquisto interno al territorio dello Stato, senza alcun obbligo di compilazione dell'elenco degli acquisti intra-Ue. 
Ricorrendo tale fattispecie (acquisto interno), inoltre, l'operatore nazionale non dovrebbe procedere all'integrazione della fattura emessa dal rappresentante fiscale, poiché la stessa costituisce un documento non rilevante ai fini Iva, come sottolineato dal l'agenzia delle Entrate (risoluzione n. 89/E/2010). In tal caso, una volta accertato che il fornitore francese non intende comunque emettere fattura direttamente dalla sede (decisione assai frequente nella prassi), come invece dovrebbe avvenire nella prospettiva delle disposizioni comunitarie (articolo 219-bis, punto 2, lettera a, direttiva n. 2006/112), in attesa di chiarimenti ufficiali, per l'impresa residente una soluzione potrebbe essere rappresentata dall'emissione dell'apposita autofattura da regolarizzazione ai sensi dell'articolo 46, comma 5, Dl 331/93.
Fonte: Il sole 24 ore

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