Accertamento presuntivo in tilt per i nuovi semplificati per cassa
Senza rilevazione delle rimanenze, difficilissime le
ricostruzioni indirette dei ricavi
Oltre al passaggio al principio di cassa per determinare il reddito in luogo di quello per competenza, per le imprese minori che applicheranno il nuovo regime semplificato non assumeranno più rilevanza ai fini della determinazione del reddito le rimanenze finali e iniziali di cui agli artt. 92, 93 e 94 del TUIR, con un’eccezione solo nel primo anno di adozione del nuovo regime, in quanto è in tale esercizio che le esistenze iniziali, derivanti per continuità dalle rimanenze dell’anno precedente, sono deducibili dal reddito.Tale atteso passaggio epocale, che supera la discrasia fino ad oggi in essere fra l’utile netto determinato secondo competenza e quello effettivamente percepito determinabile per cassa, rischia però di mandare completamente in tilt il tradizionale sistema dell’accertamento analitico-presuntivo delle imprese minori (art. 39, comma 1, lett. d), ultimo periodo del DPR n. 600/1973, per le imposte dirette e 54, comma 2, ultimo periodo del DPR n. 633/1972 per l’IVA) fondato in parte sulla contabilità aziendale e in altra parte su elementi presuntivi, il quale costituisce oggi forse la metodologia accertativa più utilizzata dal Fisco per i controlli nei confronti delle piccole imprese e, in particolare, per quelle esercenti commercio al dettaglio o somministrazione di alimenti e bevande (si pensi, ad esempio, al cosiddetto “bibitometro”, ovvero la ricostruzione di quanto effettivamente conseguito sul versante dei ricavi da un bar per somministrazione di caffè e bevande calcolata con specifiche metodologie presuntive sulla base del prodotto contabilizzato).
Una delle problematiche maggiori di tale tipologia di
controllo riguarda la corretta individuazione e quantificazione del paniere di
beni commercializzati da utilizzare per desumere il ricarico medio applicato
dall’impresa per giungere alla ricostruzione indiretta di tutti i ricavi
conseguiti. Per effetto dell’adozione del nuovo regime, detto controllo si
renderà oltremodo complesso per i verificatori.
Infatti, se la norma, da un lato, prevede che il magazzino
al 31 dicembre 2016 venga portato a costo (e, quindi, dedotto nel periodo di
imposta 2017), dall’altro lato, alla data del 31 dicembre 2017, il magazzino
non andrà più inventariato da parte del contribuente, con ciò così oscurandosi
il computo delle merci invendute a tale data. Cosicché, qualora il Fisco
intendesse verificare la correttezza dei ricavi dichiarati nel periodo di
imposta 2017 e l’attività di controllo, come ordinariamente accade, fosse
esperita due/tre anni dopo la chiusura del predetto esercizio, sarà
complicatissimo per i verificatori quantificare, tramite una ricostruzione
indiretta, i maggiori ricavi di vendita presuntivamente incassati proprio in
quel periodo.
Se anche i controllori del Fisco procedessero a un rigoroso inventario con un
accesso fisico all’inizio del controllo fiscale (si ipotizzi che il controllo
sia effettuato nel periodo 2020) e poi procedessero a ritroso tenendo conto
degli acquisti e delle vendite dei periodi precedenti, essi comunque
incapperebbero in una enorme problematicità per ricostruire il venduto
fiscalmente rilevante (quello con manifestazione finanziaria) di ogni singolo
periodo, perché per provare ciò sarebbero loro a dover procedere a
un’impercorribile ricostruzione postuma delle giacenze invendute al 31 dicembre
dell’anno 2019, 2018 e 2017.
Possibili risultati più vaghi per le attività di commercio
al dettaglio
Ciò perché, stante l’assenza di un inventario delle rimanenze, che solo se
rilevate annualmente dal contribuente acclarerebbero con certezza l’invenduto
di ogni fine periodo, rischieranno di essere emanati accertamenti che, ad
esempio, potranno non tener adeguatamente conto che un enorme acquisto di merce
fiscalmente rilevante come costo in data 20 dicembre dell’anno X potrebbe aver
consentito percezione di ricavi evasi sia nell’anno X che nell’anno X+1,
mentre, al contrario, i verificatori potrebbero supporre non solo che un
determinato bene sia stato venduto in un dato periodo, ma che il corrispettivo
di riferimento sia stato anche presuntivamente incassato in quello stesso
periodo.
Tralasciando qui i profili di violazione potenzialmente emergenti dall’ipotesi
di utilizzo concatenato di presunzioni nell’accertamento tributario, non vi è
chi non veda come la difficoltà di effettuare accertamenti di maggiori ricavi
incassati mediante ricostruzioni indirette sarà oltremodo complessa e con
possibili risultati maggiormente vaghi per le attività commerciali che vendono
al dettaglio e, quindi, non già in fattura, ma a corrispettivo indistinto.
Fonte: Eutekne autore Antonio ZAPPI
Commenti
Posta un commento