INDEDUCIBILITÀ COSTI BLACK-LIST

L’indeducibilità dei costi sostenuti nei “paradisi fiscali” 
Dalla disapplicazione della normativa alla natura della prova contraria che deve essere fornita in sede di accertamento o di interpello preventivo.
La regola della indeducibilità dei costi sostenuti nei rapporti commerciali con imprese localizzate nei "paradisi fiscali" (articolo 110 comma 10 Tuir) trova un notevole temperamento nel successivo comma dello stesso articolo. Due sono infatti le condizioni espressamente indicate dal comma 11 per fare in modo che i componenti negativi possano essere considerati deducibili.
La regola della indeducibilità dei costi sostenuti nei rapporti commerciali con imprese situate nei "paradisi fiscali" (articolo 110 comma 10 Tuir) trova un notevole temperamento nel successivo comma del medesimo articolo. Il comma 11 dell’articolo 110 Tuir dispone, infatti, che i componenti negativi possono essere considerati deducibili ad una duplice condizione: 
- gli ammontari dedotti devono essere stati specificatamente indicati in un apposito rigo della dichiarazione dei redditi (previsione normativa definita dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 12 del 2006 come "chiaramente eccezionale e preordinata a supportare l’efficacia dell’azione di controllo");
- in sede di accertamento il contribuente deve dimostrare in alternativa che le operazioni da cui derivano i costi sono state concretamente poste in essere e rispondono ad un effettivo interesse economico del soggetto residente; oppure che le imprese non residenti svolgono principalmente un’attività commerciale effettiva.
I tre fondamentali passaggi
L’ordinario funzionamento della norma vede quindi tre passaggi: 
- il contribuente sostiene il costo, e, se ritiene di possedere o di potersi procurare, gli elementi probatori previsti dal comma 11, procede alla sua deduzione nell’esercizio di competenza; 
- i costi di cui al comma 10 verranno indicati nella dichiarazione, specificando per quali di essi (con una variazione in diminuzione) si ritiene sussistano i presupposti per la deducibilità (non è infatti escluso, perlomeno in astratto, che per taluni fornitori il contribuente ritenga di non poter soddisfare la prova richiesta); 
- in sede di attività di accertamento, al contribuente verranno richiesti, entro i novanta giorni previsti dal comma 11, i documenti necessari a provare la realizzazione di una delle esimenti.
La valutazione preventiva delle prove
L’articolo 11 comma 13 della legge 413 del 1991 si affianca a tale procedura, prevedendo che la valutazione delle prove potrà essere effettuata, in via preventiva, tramite la presentazione di un’istanza di interpello ai sensi dell’articolo 21 della medesima legge (che costituiva l’unica tipologia di interpello vigente all’epoca della promulgazione della norma). Tramite tale valutazione preventiva, sempre che essa si concluda positivamente, il contribuente sarà in grado di evitare il passaggio di cui al punto 3, raggiungendo la certezza della deducibilità ben prima dell’eventuale attività di accertamento dell’ufficio. Non è trascurabile anche il fatto che conformarsi ai pareri dell’Amministrazione finanziaria (o, se adito in seconda istanza, del Comitato Consultivo secondo la procedura prevista dai decreti ministeriali 194 del 1997 e 195 del 1997, come precisata dalla circolare ministeriale n. 135 del 1998) resi ai sensi dell’articolo 21 impedisce che possano applicarsi, per tali operazioni, le sanzioni penali previste in tema di reati in materia di imposte sui redditi (articolo 16 del decreto legislativo n. 74 del 2000). Dopo queste doverose premesse procedurali, l’elemento maggiormente rilevante che dovrà essere analizzato è la natura della prova contraria che dove essere fornita in sede di accertamento o di interpello preventivo.
La prima esimente
Una delle due cause di non applicazione dell’indeducibilità è costituita dallo svolgimento, in via preventiva, di "un’attività commerciale effettiva" da parte delle imprese estere. Tale requisito ha subìto alcune modifiche, nell’iter normativo che ha portato all’attuale articolo 110. Fino all’entrata in vigore della legge 342 del 2000, infatti, la sanzione dell’indeducibilità era limitata ai rapporti tra soggetti del medesimo gruppo (più precisamente in rapporto di controllo diretto o indiretto, o entrambi controllati da società terza). Con l’ampliamento del campo di applicazione della norma a tutte le società "black list", all’esimente in esame venne aggiunto anche il requisito dello svolgimento dell’attività industriale o commerciale effettiva "nel mercato del Paese nel quale hanno sede". Infine tale riferimento è stato eliminato dall’articolo 9 comma 16 della legge 448 del 2001. Si ritiene che l’onere della prova risulti alleviato, poiché sembrerebbe poter essere soddisfatto anche nel caso di società estere che abbiano la sede operativa, oppure operino di fatto, in un altro Stato o territorio diverso da quello in cui sono fiscalmente residenti, anche al di fuori della black list.
La prassi in tema di "attività commerciale effettiva"
Con riferimento alla portata della prova contraria, l’Amministrazione finanziaria (risoluzione n. 46 del 16 marzo 2004) ha precisato che: 
- non è rilevante fornire prova dell’esistenza della società estera da un punto di vista meramente "formale" (es. tramite la produzione di atto costitutivo, certificato di iscrizione presso il registro delle imprese, ecc.);
- la dimostrazione deve riguardare l’esercizio di un’attività commerciale tra quelle contemplate dall’articolo 2195 del codice civile;
- deve essere provata l’esistenza di una adeguata struttura organizzativa (impianto produttivo, dipendenti, ecc.). In tal senso la risoluzione citata ha fatto rinvio alla circolare n. 29 del 2003, in tema di prove necessarie per la dimostrazione, ai sensi dell’articolo 167 comma 5 Tuir, dell’esistenza di una effettiva attività industriale o commerciale (svolta, come attività principale, nello Stato o territorio a fiscalità privilegiata, secondo quanto precisato espressamente dalla lettera a), comma 5, articolo 167 Tuir). 
La documentazione richiesta dalla circolare n. 29 del 2003
Tra gli elementi documentali ritenuti rilevanti dalla circolare n. 29 del 2003, e richiamati dalla risoluzione 46 del 2004 anche ai fini dell’articolo 110 comma 10, vi sono:
1. bilancio; 
2. certificazione del bilancio; 
3. prospetto descrittivo dell'attività esercitata; 
4. contratti di locazione degli immobili adibiti a sede degli uffici e dell'attività; 
5. copia delle fatture delle utenze elettriche e telefoniche relative agli uffici e agli altri immobili utilizzati; 
6. contratti di lavoro dei dipendenti che indicano il luogo di prestazione dell'attività lavorativa e le mansioni svolte; 
7. conti correnti bancari aperti pressi istituti locali; 
8. estratti conto bancari che diano evidenza delle movimentazioni finanziarie relative alle attività esercitate; 
9. copia dei contratti di assicurazione relativi ai dipendenti e agli uffici; 
10. autorizzazioni sanitarie e amministrative relative all'attività e all'uso dei locali.
L’assenza di alcuni elementi probatori non risulta necessariamente pregiudizievole al soddisfacimento dei requisiti previsti dalla norma. Nel caso in cui non siano prescritte autorizzazioni sanitarie o amministrative per operare in un certo Stato o territorio, sarà sufficiente evidenziarlo all’Agenzia delle Entrate. Inoltre la risoluzione 46 del 2004 ha specificato che "si tratta di indicazioni esemplificative e non esaustive, posto che l’istante è tenuto a presentare, in relazione alla peculiarità della fattispecie, anche altri documenti comprovanti la condizione richiesta ai fini della disapplicazione della norma".
La seconda esimente
Il secondo motivo di disapplicazione dell'articolo 110 comma 10 è costituito dalla concreta esecuzione delle operazioni e dalla loro rispondenza ad un effettivo interesse economico.
Con riferimento a tale prova alternativa la prassi dell’Amministrazione finanziaria ha precisato che"l’effettività dell’operazione può essere dimostrata esibendo la documentazione doganale di importazione ed ogni altro elemento di prova documentale imposto dalla normativa o dalla prassi di settore (ad esempio: contratto di fornitura ovvero ordine di acquisto; fattura del fornitore; eventuale autofattura della società residente per l’estrazione della merce dal deposito IVA; documentazione attestante il pagamento del bene acquistato)" (risoluzione n. 127 dell’Agenzia delle Entrate del 6 giugno 2003). 
La rispondenza ad un effettivo interesse economico, naturalmente riferita all’impresa residente che dovrà procedere alla deduzione dei componenti negativi, è stata ampiamente precisata dalla prassi, che ha evidenziato come questa "dovrà pertanto acquisire e conservare tutti i documenti utili per poter risalire alla logica economica sottesa alla scelta di instaurare rapporti commerciali con un fornitore residente in un paese a fiscalità privilegiata" (ris n. 46 del 16 marzo 2004). La logica economica potrà essere evidenziata con elementi quali "l’entità del prezzo praticato, la qualità dei prodotti forniti e la tempistica e puntualità della consegna…".
Nel caso affrontato dalla risoluzione n. 46 del 2004 l’istante, che ha ottenuto la disapplicazione, ha dimostrato che i beni erano acquistati ad un prezzo nettamente inferiore a quello ordinariamente praticato sul mercato. La risoluzione n. 127 del 2003 ha precisato che per le transazioni commerciali tra imprese appartenenti allo stesso gruppo economico è opportuno "dimostrare la congruità dei prezzi praticati in conformità al disposto dell’articolo 76 comma 5 del Tuir" (leggasi 110 comma 7). Come già anticipato, se la congruità dei prezzi e la loro corrispondenza alle condizioni di mercato sono elementi che possono essere richiesti in sede di dimostrazione dell’esimente relativa all’interesse economico del soggetto residente, altrettanto non può dirsi nel caso l’esimente scelta dal contribuente sia quella dell’effettiva attività commerciale svolta dall’impresa estera. Nella sussistenza delle condizioni sopra elencate, eventualmente valutate dall’Agenzia in sede di accertamento o di interpello, la deducibilità dei costi non troverà più il limite normativo dell’articolo 110 comma 10 Tuir, fermo restando l’obbligo di separata indicazione in dichiarazione.
Fonte: Fisco oggi.it

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