CONTABILITA' DIGITALE E IMPRONTA DIGITALE

Un adempimento inutilmente vessatorio per contribuenti e intermediari. 
Claudio Bodini, Consigliere nazionale del CNDCEC con delega all’informatica, descrive così l’obbligo di inviare all’Agenzia delle Entrate, entro il prossimo 31 gennaio, l’impronta digitale per la conservazione sostitutiva dei documenti contabili. 

Con il provvedimento emanato il 25 ottobre 2010, l’Agenzia intendeva dare attuazione a quanto disposto dall’art. 5 del DM 23 gennaio 2004, che consente di utilizzare l’impronta digitale, a validità illimitata, per sostituire le marche temporali che, invece, sono da rinnovare ogni 5 anni.
“Ma negli ultimi 6 anni – denuncia Bodini –, il quadro normativo è decisamente cambiato. 
Nel 2009, la validità delle marche temporali è stata estesa da 5 a 20 anni”. Ecco che, non essendoci più motivi di urgenza, al Consigliere nazionale con delega all’informatica appare incongruo introdurre un obbligo, “ancorché privo di effetti sanzionatori”. A maggior ragione se si considera che quello legato alla dematerializzazione e alla digitalizzazione dei documenti è un istituto nuovo: “In questo modo – aggiunge il Consigliere nazionale – corriamo il rischio di rendere complicato un istituto che, invece, nasce secondo logiche di semplificazione. Il sistema attuale, con la marca temporale, garantisce già l’immodificabilità e la corretta conservazione dei documenti. Dunque, si sarebbe potuto aspettare, dare la possibilità a contribuenti e intermediari di metabolizzare e fare propri i nuovi sistemi informatici, e poi imporre un nuovo adempimento. Perché, come ha sempre sostenuto il Consiglio nazionale, quello della conservazione digitale è un sistema che va incentivato. Ma imporre adempimenti sostanzialmente inutili potrebbe scoraggiare chi ha intenzione di utilizzarlo”.
Per questo, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili propone di “rendere facoltativo”, almeno per il primo periodo, l’invio dell’impronta digitale all’Agenzia. ”Anche perché – spiega Bodini – si tratta di qualcosa di abbastanza complesso, che andrà a gravare su contribuenti e responsabili della conservazione dei documenti, in termini di tempi e costi”.
L’impronta digitale – spiega il CNDCEC in una nota – è un file generato mediante apposita funzione di hash a partire dai documenti rilevanti ai fini delle disposizioni tributarie ovvero da un’evidenza informatica contenente a sua volta l’impronta o le impronte di tali documenti o di loro insiemi. Prima di essere inviata, deve essere sottoscritta elettronicamente e munita di marca temporale.
In più, all’impronta vanno allegati i dati identificativi del contribuente e del soggetto delegato alla conservazione dei suoi documenti. Il tutto da inviare tramite Entratel (o Fisconline), dopo aver superato la verifica dell’Agenzia sulla congruenza dei dati da trasmettere. L’adempimento si conclude con una ricevuta digitale che l’Agenzia invia per confermare l’avvenuta ricezione dell’impronta e degli altri documenti richiesti.
Insomma, “un bel po’ di documenti che il responsabile della conservazione digitale dovrà inviare solo per aver scelto di utilizzare questo sistema, anche perché non esistono tali obblighi per chi continua ad archiviarli col tradizionale metodo cartaceo”. Questo, secondo Bodini, potrebbe “generare una discriminazione” e, di conseguenza, “disincentivare chi sceglie la conservazione digitale dei documenti”. Abbastanza per “perdere l’occasione di trasformare questo sistema in un reale strumento di innovazione e semplificazione a favore del contribuente”.
Fonte: Eutekne

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