FATTURE PER OPERAZIONI INESISTENTI: INTERVENTO DELLA CASSAZIONE

REATI FISCALI
Fatture soggettivamente inesistenti: si tiene conto dei costi?
Intervento della Cassazione a proposito dei delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti e di omessa dichiarazione dei redditi.
Il legale rappresentante di una s.r.l., esercente il commercio di rottami metallici, veniva indagato in relazione ai delitti di cui agli artt. 2 e 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che puniscono, rispettivamente, la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e l'omessa dichiarazione dei redditi con una soglia di punibilità fissata pari 77.468,53 per ciascuna imposta evasa superiore.
Per questi fatti, il g.i.p. presso il Tribunale di Brindisi disponeva il sequestro preventivo dei conti correnti bancari c/o postali, depositi a risparmio, dossier titoli e cassette di sicurezza presso tutti i soggetti operanti sul territorio nazionale nel settore della raccolta e gestione risparmio ed intermediazione finanziaria, intestati all’indagato per un importo non superiore a 334.686,90 euro.
Nel proporre istanza di riesame ex art. 324 c.p.p., la difesa evidenziava l’insussistenza del delitto di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 nel caso di fatture per operazioni solo soggettivamente inesistenti, utilizzate nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi; inoltre non era provato il superamento della soglia di punibilità prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.
Il tribunale di Brindisi annullava il decreto impugnato e disponeva che i beni in sequestro fossero restituiti all'avente diritto a cura del p.m. se non sottoposti ad altro vincolo di natura reale.
Ad avviso del tribunale, in primo luogo non era ravvisabile il contestato delitto ex art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto, sulla base della complessiva attività investigativa, la s.r.l. aveva effettivamente commercializzato un quantitativo di materiale ferroso corrispondente a quello risultante dalle fatture negli anni oggetto dei controlli incrociati; si era perciò trattato di operazioni poste in essere realmente - e quindi non oggettivamente fittizie - ma tra soggetti diversi da quelli indicati nelle fatture. Di conseguenza, non era ravvisabile il delitto in esame, delineato come un reato di danno, strutturato nella condotta di chi si avvale in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto di fatture o altri documenti afferenti operazioni inesistenti, condotta, inoltre, caratterizzata dalla componente di dolo specifico di evasione tributaria.
Quanto al delitto previsto dall’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, secondo il tribunale non appariva superata la soglia di punibilità prevista dal delitto di omessa dichiarazione, in quanto dovevano considerarsi tra i costi effettivi sostenuti dalla società nell'esercizio 2007, utili a determinare il reddito imponibile su cui applicare l'aliquota IRES, anche le somme corrispondenti alle fatture in esame, poiché afferivano a costi comunque realmente sostenuti dalla s.r.l. e non già fittizi, sicché non risultava stata superata la soglia di punibilità prevista dall’art. 5.
Il p.m. ricorreva per cassazione, denunciando la violazione di legge, contestando la tesi del tribunale, il quale aveva sposato la "certezza" dei costi indicati in ciascuna fattura soggettivamente falsa, laddove invece era plausibile che l'acquisto fosse stato effettuato per costi inferiori a quelli dichiarati; in altri termini, stante la fittizietà dei soggetti indicati nella fatture, i costi non potevano essere considerati veritieri e/o attendibili.
La Cassazione ha respinto il ricorso perché inammissibile.
In punto di diritto, la Suprema Corte ha affermato il principio secondo il quale «la definizione di operazione soggettivamente inesistente ai fini dell'applicazione della disciplina sanzionatoria penale corrisponde all'operazione obiettivamente non intercorsa fra i soggetti indicati nella fattura o in altro documento fiscale equipollente; è dunque irrilevante, sotto tale profilo, l'utilizzazione del bene o della prestazione da parte di un terzo soggetto potendo tale circostanza assumere valenza per l'eventuale esclusione del requisito della inerenza del costo dell'operazione sostenuto dal committente (in senso conforme, cfr. Cass., Sez. III, 26 novembre 2008, n. 3203; si veda anche, più di recente, Cass., Sez. III, 14 gennaio 2010, n. 10394, la quale ha precisato che il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo al l'IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura).
Ciò posto, essendo, sul punto, la censura sul punto del p.m. generica e non circostanziata, essendo limitata alla richiesta di una "valutazione diversa" del fumus del reato, il motivo è stato ritenuto inammissibile.
La medesima soluzione è stata affermata in relazione al delitto ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000: a fronte dell’articolato apparato argomentativo del provvedimento impugnato, il p.m. si era limitato a contestare la valutazione delle risultanze degli atti di indagine, ipotizzando una sovrafatturazione degli acquisti recati dalle due fatture.
La Cassazione ha avuto perciò buon gioco nell’osservare che si tratta di una censura di merito, fondata su una deduzione di mero fatto, non deducibile nel giudizio di legittimità, atteso che, secondo il disposto dell'art. 325 c.p.p., il ricorso avverso le ordinanze aventi di ad oggetto misure cautelari reali è possibile solo per violazione di legge.
Fonte: Ipsoa (Sentenza Cassazione penale 14/11/2011, n. 41444)

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