PER I COSTI BLACK LIST SERVE UN CONTRADDITTORIO VERO

LA SENTENZA DELLA CTR LOMBARDIA
Per i costi black list serve un contraddittorio "vero".
E' il principio espresso dai giudici della Commissione tributaria regionale lombarda, con la sentenza n. 175/44/11, depositata il 14 novembre scorso. Il contraddittorio che l'Amministrazione finanziaria è chiamata ad instaurare con il contribuente in base alle disposizioni legislative vigenti, deve essere effettivo e reale, al fine di portare a conoscenza dell'accertato la valutazione effettuata in merito alle prove che ha fornito per vincere la presunzione legale relativa di indeducibilità dei c.d. costi black list, di cui all'art. 110, comma 10, TUIR.
L’Amministrazione finanziaria notificava ad una società per azioni residente in Italia, un avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA, relativo all’anno di imposta 2004, accertando maggiori imposte per 671.032 euro (ai fini IRES) e per 117.767 euro (ai fini IRAP).
L’accertamento trovava il suo fondamento nell’art. 110, comma 10, TUIR, ovvero nella disciplina dei c.d. “costi black list”, e conseguiva al mancato riconoscimento in deduzione di acquisti di beni effettuati dalla società presso propri fornitori svizzeri. Secondo gli organi preposti al controllo fiscale, tali costi, che costituivano circa il 60% di quelli sostenuti dalla società nel corso dell’anno, non erano giustificati in modo idoneo da vincere la presunzione di cui al citato articolo.
Infatti, nonostante la società avesse prodotto dichiarazioni che attestavano il pagamento delle imposte cantonali e municipali svizzere, l’Amministrazione finanziaria non le aveva ritenute sufficienti a provare l’effettiva commercialità dell’attività svolta dai fornitori svizzeri, né aveva giudicato provata la convenienza economica delle operazioni poste in essere tra i soggetti coinvolti.
E’ opportuno ricordare che le transazioni commerciali concluse con operatori economici stabiliti in Paesi a fiscalità privilegiata (cosiddetti Paesi black list, ovvero non rientranti nell’elenco dei Paesi white list) sono oggetto di particolare attenzione da parte del Fisco italiano, in quanto considerateoperazioni ad elevato rischio di evasione fiscale.
Per limitare tale rischio, l’ordinamento tributario subordina a precisi oneri probatori la deducibilità dei costi derivanti dalle predette transazioni ed impone di segnalare i medesimi costi all’Amministrazione finanziaria, attraverso la loro separata indicazione nella dichiarazione dei redditi.
Inoltre, è previsto l’obbligo, per i soggetti passivi IVA, di comunicare telematicamente all’Agenzia delle Entrate i dati relativi a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute nei confronti di soggetti economici aventi sede, residenza o domicilio nei citati Paesi (afr. art. 1, D.L. n. 40/2010, convertito da legge 22 maggio 2010, n. 73).
L’art. 110, comma 10, TUIR reca una presunzione legale relativa in base alla quale, fino a prova contraria, sono da considerasi indeducibili, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, le spese e gli altri componenti negativi derivanti dalle transazioni intercorse fra imprese residenti ed imprese domiciliate in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati.
Per vincere la presunzione di indeducibilità dei costi, le società residenti devono dimostrare che l’impresa estera (nel caso di specie l’impresa svizzera), svolge prevalentemente un’attività commerciale effettiva ovvero che l’operazione posta in essere risponde ad un effettivo interesse economico e che la stessa ha avuto concreta esecuzione. Con la circolare 26 gennaio 2009, n. 1/E, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le esimenti di cui sopra sono tra loro alternative, per cui al soggetto residente cade l’obbligo di dimostrare o il requisito della commercialità o quello dell’interesse economico (cfr. G.Pizzitola, “”, il Quotidiano IPSOA del 27 gennaio 2009).
Le prove possono essere addotte prima di effettuare la transazione con una società estera, presentando all’Agenzia delle Entrate apposita istanza di interpello antielusivo, ai sensi dell’art. 11, comma 13, legge 30 dicembre 1991, n. 413, oppure in sede di controllo fiscale.
Molteplici sono i documenti probatori che l’impresa residente può fornire a supporto della legittimità della deducibilità dei costi in questione e che, per prassi, sono riconosciuti idonei dall’Ufficio, come ad esempio, il bilancio della società estera, il suo atto costituivo, i prospetti descrittivi della’attività svolta, i contratti pendenti, gli estratti conto bancari che diano evidenza delle transazioni finanziarie, etc..
In particolare, secondo la prassi dell’Amministrazione finanziaria, l’impresa residente deve fornire la prova che, nella transazione con il fornitore localizzato in un Paese a regime di fiscalità privilegiata, sussistono migliori condizioni rispetto a quelle offerte nel mercato interno o in quello di Paesi a fiscalità ordinaria.
La normativa in questione prevede, però, che l’Ufficio, prima di emettere un atto di accertamento ai sensi dell’art. 110, TUIR, debba instaurare un contraddittorio con il contribuente al fine di dargli la possibilità di fornire le prove della correttezza dell’operazione svolta.
Nel confronto, infatti, l'Amministrazione finanziaria è chiamata a esplicitare le proprie valutazioni al contribuente e a permettergli di produrre ulteriore documentazione probatoria prima di procedere all'accertamento.
Tanto premesso, la S.p.a., dopo aver fornito i documenti richiesti in sede pre-contenziosa senza ricevere alcun riscontro in merito, aveva proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento ricevuto, innanzi ai giudici di primo grado di Milano.
In tale sede aveva poi presentato ulteriore documentazione probatoria a supporto di quella già fornita precedentemente, al fine di dimostrare la legittima deducibilità dei costi di cui alle fatture di acquisto svizzere, pari complessivamente a 1.256.542 euro.
Avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto i motivi proposti dalla società (in quanto, secondo i giudici, aveva dimostrato l’effettiva commercialità e il proprio interesse economico nelle transazioni effettuate, da cui, per altro, aveva ricavato un reddito imponibile pari a 776.880 euro), l’Ufficio aveva presentato appello in Commissione tributaria regionale, al fine di ottenere il rigetto della sentenza.
Nello specifico, l’Amministrazione finanziaria invocava la non ammissibilità delle ulteriori prove prodotte, in primis, in sede contenziosa e omesse nella precedente fase contraddittoria, denunciando la violazione dell’art. 32, comma 4, D.P.R. n. 600/1973.
La CTR lombarda ha però ritenuto non fondato l’appello promosso dall’Amministrazione finanziaria, giudicando corretta la valutazione dei giudici di prime cure e sufficienti i documenti presentati dalla S.p.a..
La decisione si basa sul fatto che la società, sin dal contraddittorio, ha prodotto tutte le prove necessarie per vincere le esimenti relative all’indeducibilità dei costi black list.
Gli ulteriori documenti prodotti nel corso del contenzioso sono da considerare esclusivamente un completamento di quanto già fornito all’Ufficio in sede amministrativa.
I giudici di seconde cure hanno ritenuto che l’Agenzia delle Entrate non avesse garantito alla società il “diritto alla difesa”, in quanto quest’ultima era venuta a conoscenza della decisione di disconoscere i costi dedotti solo in seguito alla notifica dell’avviso di accertamento.
Infatti, tra le parti non era stato instaurato un vero e proprio contraddittorio in quanto l’Ufficio non aveva esplicitato alla società la valutazione fatta a seguito della documentazione prodotta in sede amministrativa.
L’Ufficio aveva disconosciuto le deduzioni indicate nella dichiarazione dei redditi dell’anno 2004, ritenendo le transazioni con i fornitori svizzeri inesistenti e simulate, ma di tutto ciò aveva informato la S.p.A. solo con la notifica dell’atto impositivo.
Per tale ragione, la Commissione tributaria regionale ha sostenuto che i “nuovi” documenti presentati dalla ricorrente devono senz’altro ritenersi accolti, anche alla luce del fatto che quelli richiesti in sede amministrativa sono stati prontamente prodotti e quelli successivi costituiscono una mera integrazione ad illustrazione delle prove già addotte.
Nel merito, infine, le attestazioni rilasciate dalle autorità estere (svizzere) di assoggettamento delle transazioni effettuate alle imposte locali (cantonali), sono da annoverare quali documenti idonei e da soli sufficienti a vincere la presunzione di indeducibilità dei costi sostenuti.
Fonte: Ipsoa

Commenti