CANONE SPECIALE RAI: CHIARIMENTI

Dopo le polemiche suscitate dall’obbligo per imprese e professionisti di pagare il canone “speciale”, è arrivato il chiarimento della Rai.
Annualmente la Rai s’impegna a sensibilizzare i telespettatori verso il pagamento dell’abbonamento alla Tv pubblica italiana. 
L’evasione del canone, infatti, è alquanto elevata e l’azienda - concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo - cerca di tamponare il fenomeno, affidandosi a una “martellante” campagna ad hoc. Quest’anno, però, c’è stato qualcosa di nuovo: nel mirino di “mamma Rai” (come qualcuno l’ha affettuosamente definita) era finito anche il pagamento del canone cosiddetto “speciale”. Circostanza, questa, che aveva (comprensibilmente) mandato in subbuglio il mondo delle professione, che hanno vissuto l’obbligo di pagare l’abbonamento speciale alla Tv, come un ulteriore e ingiustificato balzello. 
Ebbene, ci sono importanti novità. Intendiamoci, l’obbligo di pagare il canone speciale resta, ma con i dovuti distinguo. Ma andiamo con ordine, partendo dal dato normativo. 
Canone speciale. In effetti, ai sensi del R.D.L.21/02/1938 n. 246 e D.L.Lt.21/12/1944 n. 458, il canone speciale è dovuto da tutti coloro i quali detengono uno o più apparecchi adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio o tv fuori dall'ambito familiare, o che li impieghi a scopo di lucro diretto o indiretto. Tale genericità delle norme di riferimento ha evidentemente favorito un’interpretazione estensiva delle stesse, ampliandone la portata applicativa fino a ricomprendere ogni e qualsivoglia apparecchiatura idonea alla ricezione del sevizio, compresi PC, Tablet, Video e etc. etc. Di qui il problema anche per imprese e professionisti, che si sono visti recapitare una lettera recante l’invito a pagare il canone speciale. 
La lettera. Nella specie, la lettera della Rai conteneva la richiesta del pagamento del canone “speciale” per la detenzione di “uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive al di fuori dell'ambito familiare, compresi computer collegati in rete (digital signage e similari), indipendentemente dall'uso al quale gli stessi vengono adibiti”. 
Obbligo in dichiarazione. Evidentemente, la campagna di riscossione è stata strettamente connessa all'entrata in vigore dell'art. 17 del D.L. n. 201/2011 (Manovra c.d. “Salva Italia”), che stabilisce che “le imprese e le società, nella relativa dichiarazione dei redditi, devono indicare il numero di abbonamento speciale alla radio, o alla televisione e la categoria di appartenenza, ai fini della verifica del pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale”. 
Le proteste. Inevitabile il coro di proteste, soprattutto se si considera che i pc in uso presso aziende e professionisti di certo non sono utilizzati a fini di intrattenimento, bensì esclusivamente lavorativi. Proteste che, a quanto pare, hanno colto nel segno. 
Il dietrofront? Nella giornata di ieri si è avuta notizia di un importante chiarimento da parte della Rai, conseguente a un colloquio intercorso tra la stessa e il Dipartimento delle comunicazioni presso il Ministero dello Sviluppo economico: il mero possesso dei computer non comporta il pagamento del canone speciale. Insomma, la norma che prevede l’obbligo di pagamento del canone speciale per i meri possessori di apparecchi “atti o adattabili” alla ricezione delle frequenze Tv, verrà interpretata in maniera restrittiva così da lasciare fuori dal perimetro del canone speciale i device collegati in rete, mentre solo per gli apparecchi adattati alla ricezione effettiva dei canali televisivi, una stretta minoranza, permarrà l'obbligo. Resta da capire se da Viale Mazzini partiranno nuove missive dirette a tutti coloro i quali (aziende e professionisti) negli ultimi due mesi si erano visti recapitare i bollettini con cifre che andavano dai 200 ai 6 mila euro. 
Parere dall’Anc - Nonostante il suddetto chiarimento fornito dalla Rai, permane l’incertezza in merito all’obbligo del pagamento del canone speciale a carico dei professionisti. La dichiarazione di fatto non cambia il dato normativo contenuto nel Decreto Regio del 1938, in quanto non si tratta di una nuova normativa né di una nuova interpretazione autentica di riferimento da parte delle autorità preposte. Proprio su questo punto è intervenuto Giuseppe Pozzato, presidente dell’Associazione nazionale commercialisti. “In considerazione anche del momento economicamente così difficile per il Paese – ha affermato il leader sindacale - i professionisti farebbero volentieri a meno di combattere nuove battaglie e vorrebbero semplicemente potersi occupare del loro lavoro, cercando di svolgerlo al meglio nell’interesse di tutti. L’Associazione Nazionale Commercialisti denuncia l’urgenza di chiarimenti da parte dell’Agenzie delle Entrate e dei Ministeri competenti, affinché si metta fine all’increscioso caos regnante e a quello che si profila come un intollerabile e ingiustificato abuso ai danni dei contribuenti”.
Fonte: Redazione Fiscal Focus

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