INDENNITÀ SUPPLETTIVA DI CLIENTELA

Con Parere n. 5 del 16 febbraio 2012, la Fondazione Studi Consulenti del lavoro ha illustrato i criteri di calcolo dell'indennità suppletiva di clientela. 
Nello specifico è stato chiesto se all'agente competa, all'atto dello scioglimento del rapporto, l'indennità suppletiva di clientela calcolata sulla base dei criteri stabiliti dall'AEC Industria siglato il 20/03/2002 e, in particolare, secondo quanto previsto dall'articolo 10, oppure se si debba applicare la disposizione contenuta nel comma 3 dell'articolo 1751 del c.c. il quale prevede che "L'importo dell'indennità non può superare una cifra equivalente ad un'indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione." 
In risposta al suddetto quesito, la fondazione studi dei consulenti del lavoro ha richiamato la normativa vigente in materia precisando che, in caso di scioglimento del contratto, l'indennità suppletiva di clientela è dovuta ove si verifichino congiuntamente due condizioni, elencate all'art. 17, Direttiva n. 653/86/CEE, e all'art. 1751, C.c.: 
► l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; 
► il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti. 
Al verificarsi di tali requisiti, quindi, l'agente avrà diritto all'indennità, a meno che non si verifichino alcune fattispecie estintive del diritto, previste dalle norme sopra citate: 
► risoluzione del contratto per inadempimento dell'agente, tale, per la sua gravità, da non consentire la prosecuzione del rapporto, nemmeno provvisoriamente: non sarà sufficiente un inadempimento anche se di non scarsa importanza, ma occorre una giusta causa che non consenta al preponente di continuare la collaborazione con l'agente; 
► Nei contratti a termine, anche in caso di ingiustificata risoluzione del contratto da parte dell'agente, non spetterà l'indennità di scioglimento del rapporto, né quella di clientela, ferma restando la possibilità per l'agente di chiedere il risarcimento di eventuali danni patiti; 
► recesso volontario dell'agente qualora non avvenga per inadempimento del preponente di non scarsa importanza o per circostanza attribuibile all'agente (età, infermità, malattia) tale da non consentire la prosecuzione del rapporto; 
► cessione ad un terzo, da parte dell'agente, previo accordo con il preponente, della propria posizione contrattuale. 
Venendo al quesito, la Fondazione studi parte dal presupposto che l'agente abbia effettivamente, come richiesto dal cod. civ. e confermato dall'AEC Industria, "procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.". 
Sulla specifica si è osservato che dopo anni di non consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, si è avuta una svolta con l'attuazione nell'ordinamento interno italiano della Direttiva 86/653/CEE della Comunità Europea in materia di agenzia, che ha comportato numerose modificazioni della disciplina del codice civile, creando, di fatto, numerosi problemi interpretativi. In particolare, una volta stabilito che le disposizioni del codice civile potessero essere modificate soltanto in senso più favorevole all'agente, si è posto il problema di stabilire se la comparazione tra i due regimi, quello di legge e quello contrattuale collettivo, allo scopo di determinare quale fosse più favorevole all'agente, dovesse avvenire ex post o ex ante. 
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità prevalente è sempre stata concorde nel ritenere che, trattandosi il contratto di agenzia di un rapporto di durata, la valutazione dovesse essere effettuata con riferimento alle condizioni esistenti e prevedibili al momento della stipulazione del contratto. In merito, la Corte di Giustizia ( sentenza 23 marzo 2006 c-465/04) ha stabilito che l'indennità di cessazione del rapporto che risulta dall'applicazione dell'art. 17, n. 2, di tale direttiva non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un'indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest'ultima disposizione, a meno che non sia provato che l'applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all'agente commerciale un'indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall'applicazione della detta disposizione. In conclusione, la soluzione non può che essere quella che, con la valutazione ex post, risulta in concreto favorevole all'agente. 
Pertanto, a seguito del citato chiarimento della Corte di giustizia UE, la Corte di Cassazione con sentenza n. 21309/2006 ha stabilito che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell'agente comporta che l'importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive"."
Fonte: Redazione La Lente sul Fisco

Commenti