L'AVVISO DI RECUPERO DEI CREDITI DI IMPOSTA

L’avviso di recupero dei crediti d’imposta, avviso di accertamento o mero atto impositivo?
SOMMARIO: 1. PREMESSA. LE IPOTESI DI DECADENZA DAL BENEFICIO FISCALE DEL CREDITO D’IMPOSTA. PARTICOLARI PROBLEMI DI ILLEGITTIMITA’ PER VIOLAZIONE DEI PRINCIPI STATUTARI DI CUI ALLA L. N. 212/2000. 2. LA CIRCOLARE 8 LUGLIO 2003 N. 35/E E LA DISCIPLINA DELLE MODALITA’ DI RECUPERO DEI CREDITI D’IMPOSTA INDEBITAMENTE COMPENSATI AI SENSI DELLE LEGGI N. 449/1997 E N. 388/2000. 3. L’ATTIVITA’ DI CONTROLLO DEGLI UFFICI COME NECESSARIO ANTECEDENTE DELL’AVVISO DI RECUPERO. 4. LA STRUTTURA DI BASE DELL’AVVISO DI RECUPERO E LA SUA NATURA DI VERO E PROPRIO ATTO (O AVVISO) DI ACCERTAMENTO. 5. I SUOI EFFETTI GIURIDICI: DICHIARAZIONE DI DINIEGO O REVOCA DELL’AGEVOLAZIONE, EVENTUALE RECUPERO DELL’INTERO CREDITO CONSEGUITO (EFFICACIA RETROATTIVA), POSSIBILE DEFINITIVITA’ DELL’AVVISO, ASSENZA DI PRECLUSIONI. 6. RILIEVI CONCLUSIVI.
1. PREMESSA. LE IPOTESI DI DECADENZA DAL BENEFICIO FISCALE DEL CREDITO D’IMPOSTA. PARTICOLARI PROBLEMI DI ILLEGITTIMITA’ PER VIOLAZIONE DEI PRINCIPI STATUTARI DI CUI ALLA L. N. 212/2000
Alcune agevolazioni fiscali concesse sotto forma di crediti di imposta compensabili ad iniziativa del contribuente con imposte e contributi (previdenziali e assicurativi) dallo stesso dovuti in occasione dei versamenti periodici a seguito di autodichiarazione ed autoliquidazione, secondo il sistema della c. d. autoimposizione (o autotassazione) oggi in vigore, sono state previste dall’art. 4 della Legge 27 dicembre 1997 n. 449 (concernente incentivi fiscali per l’incremento dell’occupazione in aree economicamente depresse) e dall’art. 8 della Legge 23 dicembre 2000 n. 388 (afferente ad incentivi fiscali per la realizzazione di nuovi investimenti in aree svantaggiate; misura quest’ultima ripresa ed estesa, poi, a tutto il territorio nazionale). Deve preliminarmente osservarsi, infatti, che la elargizione della possibilità di utilizzo di crediti d’imposta (commisurati a riduzioni percentuali quantitativamente predeterminate delle somme impiegate per implementare l’attività imprenditoriale, secondo limiti economici individuati entro coefficienti regionali stabiliti con soglie minime e massime di intensità d’aiuto e collegati agli stanziamenti finanziari governativi preventivati ed autorizzati dalla Commissione europea) è in genere unanimemente ritenuta dalla dottrina come una tipica forma di provvedimento legislativo con finalità di agevolazione fiscale, motivato da particolari esigenze economico-politiche che rendono ammissibili anche deroghe ai principi costituzionali dell’uguaglianza (formale) e della parità di trattamento. Tali deroghe si giustificano in ragione del perseguimento di obiettivi di solidarietà sociale e di uguaglianza (sostanziale), che impongono una più corretta ed equa ripartizione del carico tributario tra i cittadini a causa delle condizioni di disagio o di sfavore in cui venga a trovarsi una parte di essi (vuoi per soli motivi di ubicazione territoriale, vuoi per il verificarsi di eventi calamitosi, ecc.), ma pur sempre nella cornice di una puntuale ed imparziale applicazione del basilare principio della capacità contributiva che ispira il complessivo sistema tributario[1]. 
Prescindendo, ai nostri fini, dall’analisi dei presupposti soggettivi ed oggettivi e della procedura di conseguimento ed utilizzo delle misure agevolative in questione, passiamo ad occuparci immediatamente delle ipotesi legislativamente contemplate di decadenza dal diritto alle agevolazioni de quibus.
Infatti, onde evitare il verificarsi di fenomeni elusivi, particolarmente ricorrenti in situazioni caratterizzate dalla possibilità di impiego di benefici fiscali generalizzati, sono state enucleate già in sede normativa una serie di ipotesi di fittizio, simulato o semplicemente scorretto utilizzo del credito d’imposta maturato col decorso del tempo, da ritenersi tassativamente elencate, sanzionate con il disconoscimento del credito stesso conseguente alla decadenza dal beneficio fiscale del contribuente che ha compiuto atti elusivi, cioè in sintesi contrastanti nella sostanza con le finalità primarie perseguite dalla normativa agevolativa (nel nostro caso, l’incremento dell’occupazione e la crescita degli investimenti nelle aree depresse dal punto di vista economico-sociale).
In particolare, secondo l’art. 4, comma 5, della Legge n. 449/1997 (come modificato dall’art. 21 della L. n. 144/1999), il credito può ritenersi legittimamente conseguito, ovvero revocabile in caso contrario: a)- se l’impresa beneficiata, anche di nuova costituzione, realizza un incremento del numero dei dipendenti a tempo pieno e indeterminato; b)- se l’impresa di nuova costituzione non ha assorbito nella sua attività quella di imprese giuridicamente preesistenti, ad esclusione solo delle attività sottoposte a limite numerico o di superficie; c)- se il livello occupazionale raggiunto a seguito delle nuove assunzioni non subisce riduzioni nel corso del periodo agevolato; d)- se l’incremento della base occupazionale è stato calcolato al netto delle diminuzioni occupazionali verificatesi in società controllate dalla beneficiata (ai sensi dell’art. 2359 c.c.) o comunque ad essa facenti capo anche per interposta persona; e)- se i nuovi dipendenti assunti risultavano iscritti nelle liste di collocamento o di mobilità, oppure fruivano della cassa integrazione guadagni nei territori di cui all’obiettivo 1 del Regolamento CEE n. 2052/88 e s. m.; f)- se i contratti di lavoro stipulati ex novo sono a tempo indeterminato; g)- se sono stati rispettati in toto i CCNL rispettivamente applicabili ai nuovi soggetti assunti; h)- se vengono rispettate nei luoghi di lavoro le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dal D. Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 e s. m.; i)- se sono stati rispettati, infine, i parametri delle prestazioni ambientali di cui all’art. 6, comma 6, lett. i), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 20 ottobre 1995 n. 527 e s. m.[2]. In base al seguente comma 6, poi, con successivo decreto del Ministro delle finanze, sarebbero state stabilite anche apposite procedure di controllo antievasione fiscale e contributiva ed in specie avrebbero potuto esser previste in questo modo (cioè, con un provvedimento amministrativo) “altre specifiche cause di decadenza dal diritto al credito”[3]. Inoltre, secondo le clausole punitive di cui al successivo comma 7, “qualora vengano definitivamente accertate violazioni non formali, e per le quali sono previste sanzioni di importo superiore a lire tre milioni, alla normativa fiscale e contributiva in materia di lavoro dipendente, ovvero violazioni alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, prevista dal D. Lgs. n. 626/1994 e s. m. e i., commesse nel periodo in cui si applicano le disposizioni del presente articolo, le agevolazioni sono revocate, si fa luogo al recupero delle minori imposte versate e del maggior credito riportato e si applicano le relative sanzioni”.
Con successiva circolare n. 219/E del 1998 (al punto 9)[4] è stato, poi, disciplinato il procedimento di controllo, suscettibile di avere per esito la revoca parziale o totale del beneficio fiscale usufruito ai sensi della L. n. 449/1997, il quale si articola, qualora da propedeutici controlli effettuati a campione emerga in definitiva una violazione alle previsioni dei commi 8 e 9 dell’art. 4 della citata legge (applicandosi, qui, la revoca parziale) , ovvero alle disposizioni di cui alle lett. a), b), c) e d) dell’art. 8 del D. M. n. 311/1998 (venendo, però, disattese, con riferimento alla lett. d), anche le condizioni sostanziali di concessione del credito fissate nel comma 5 dell’art. 4 della L. n. 449/1997) (provvedendosi, qui, invece, alla revoca totale)[5], in una preventiva comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento di revoca (parziale o totale), contenente l’indicazione delle violazioni riscontrate, alla quale il contribuente potrà replicare fornendo le sue opportune giustificazioni entro 15 giorni dal suo ricevimento, tenendosi presente che per la revoca (parziale o totale) è stato ritenuto esclusivamente competente il Centro di servizio (delle ii. dd. ed ind.) di Pescara.
Passando, ora, ad esaminare le ipotesi di decadenza dal beneficio stabilite nell’art. 8 della L. n. 388/2000 (c. d. Tremonti-Sud), esse possono riassumersi brevemente nel seguente elenco: a)- la mancata entrata in funzione dei beni oggetto di agevolazione entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello di acquisizione o di ultimazione degli stessi; b)- la dismissione, la cessione a terzi o la destinazione dei beni agevolati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa; c)- la destinazione dei beni agevolati a struttura produttiva diversa da quella che ha dato diritto all’agevolazione; d)- il mancato esercizio del riscatto per i beni acquisiti con contratto di leasing; e)- la cessione dei beni agevolati a qualunque titolo a terzi[6]. 
A tal proposito, quindi, verificandosi una o più delle situazioni descritte come casi di decadenza dal beneficio del credito d’imposta per i nuovi investimenti realizzati nelle regioni meridionali a favore di soggetti (società o persone fisiche) titolari di un reddito d’impresa, le quali sono state chiaramente concepite con l’intento di lottare l’elusione nell’utilizzo e nella destinazione finale dei beni agevolati con palese sviamento dalla finalità istitutiva dell’agevolazione de qua, in questi casi, dunque, ai sensi del comma 7 dell’art. 8 prima citato, gli stessi contribuenti beneficiari dell’agevolazione devono procedere autonomamente alla “rideterminazione” del credito d’imposta eventualmente ancora spettante, dopo aver escluso quello relativo ai beni per i quali si è avuta la decadenza dal beneficio stesso. 
Le Circolari emanate a tal proposito dall’Agenzia delle entrate (la n. 41/E del 18 aprile 2001, al punto 10, in specie 10.3 e 10.5, e la n. 38/E del 9 maggio 2002, al punto 10)[7] sono molto esplicite nell’addossare al contribuente stesso l’obbligo di rettificare il credito d’imposta fruibile per effetto della decadenza (totale o parziale) dal bonus fiscale complessivamente utilizzabile, imponendo correlativamente all’interessato di corrispondere entro il termine di versamento a saldo dell’imposta sui redditi dovuta per il periodo in cui si sono verificate le dette ipotesi decadenziali, o più generalmente nei termini previsti per il versamento delle imposte e dei contributi dovuti, la quota del credito eventualmente già utilizzata, pari all’eccedenza indebitamente fruita, maggiorata degli interessi[8].
Come si vede, il sistema dell’autoliquidazione ad opera del contribuente interessato è quello previsto anche in caso di versamento all’erario delle somme indebitamente compensate con crediti d’imposta non più spettanti, sebbene maturati, all’insorgere di una causa di decadenza dall’agevolazione di cui all’art. 8 della L. n. 388/2000, correlata all’avverarsi di alcuna delle circostanze che comportano la revoca (parziale o totale) del credito globale attribuitosi dall’interessato[9].
Può dirsi, dunque, che in conformità a precedenti e diverse discipline agevolative tributarie, di cui alcune ancora in vigore attualmente (si pensi alle agevolazioni per la prima casa)[10], anche in quelle appena considerate la disciplina del beneficio fiscale di cui trattasi si completa di regola sempre con la previsione di specifici casi di decadenza dall’aiuto concesso, il che rappresenta il naturale corollario di ogni compiuta normativa in tema di agevolazioni o di esenzioni. Occorre, infatti, che il legislatore stesso si preoccupi di prevenire eventuali fenomeni elusivi, onde poter assicurare che siano raggiunte quelle finalità economico-politico-sociali dallo stesso perseguite, se si vogliono evitare distorsioni applicative che inficiano il raggiungimento dei risultati concreti che fanno da sfondo al testo di legge approvato in Parlamento.
La prevalente dottrina[11] e la consonante giurisprudenza[12] hanno chiarito, inoltre, che la decadenza da una qualunque agevolazione può essere comminata soltanto dalla legge (in base al principio di legalità o rule of law), non dunque da norme di valore subordinato, quali regolamenti, decreti o altri provvedimenti amministrativi (circolari, ecc.), e può riguardare, come ha precisato da parte sua la giurisprudenza, sia ipotesi in cui il diritto all’agevolazione (alla stregua di un vero e proprio diritto soggettivo) sorga automaticamente in capo al contribuente, in base al semplice realizzarsi dei presupposti e delle condizioni di applicazione del beneficio[13], sia casi in cui è il contribuente a dover proporre apposita istanza di agevolazione, cui fa seguito un provvedimento di c. d. concessione da parte dell’amministrazione finanziaria, che non esercita, però, all’uopo alcun potere discrezionale, essendo comunque normativamente sancite le fattispecie di agevolazione a volta a volta inserite nell’ordinamento tributario[14].
In particolare, la giurisprudenza ha puntualmente e lucidamente messo in evidenza, in linea generale, che “in materia di agevolazioni tributarie, nell’ipotesi in cui la norma di esenzione richieda, espressamente od implicitamente, l’iniziativa del contribuente per l’applicazione del beneficio (…), domanda, istanza o richiesta sono elementi della fattispecie costitutiva del diritto all’agevolazione e la loro necessaria presentazione, non di rado, risulta anche soggetta, implicitamente od esplicitamente, a termine stabilito a pena di decadenza dal diritto al beneficio (…)” e, proseguendo, ha affermato pure che “la domanda del contribuente, volta ad ottenere l’applicazione delle agevolazioni, costituisce la regola tendenzialmente generale anche nel caso in cui essa costituisca mera sollecitazione al riconoscimento del diritto da parte dell’ufficio; ciò si desume -oltrechè dall’ovvia constatazione dell’opportunità dell’iniziativa per il contribuente stesso- anche dall’art. 19, comma primo, lett. h) del D. Lgs. n. 546 del 1992 (sul nuovo processo tributario), laddove è stato introdotto “ex novo” (rispetto alla formulazione del previgente art. 16, comma primo, del DPR n. 636 del 1972, come sost. dall’art. 7 del DPR n. 739 del 1981), tra gli altri atti autonomamente impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie, quello del “diniego di agevolazioni”; siffatta generalissima previsione presuppone, appunto, l’esistenza di una regola, altrettanto generale, che abilita in ogni caso il contribuente a formulare domanda di agevolazione, la quale, in ambedue le ipotesi dianzi prefigurate (elemento della fattispecie costitutiva del diritto relativo, ovvero mera sollecitazione a riconoscerlo) rappresenta la forma propria d’esercizio del diritto fatto valere (cfr., per una conferma, anche l’art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi)[15]. 
Successivamente all’acquisizione della domanda di agevolazione, l’amministrazione finanziaria può sia deliberare il tempestivo “diniego” della richiesta avanzata dal contribuente, sia procedere in prosieguo di tempo alla “revoca” dell’agevolazione già anteriormente goduta; ciò, comunque, mai può fare, però, in base a poteri meramente discrezionali, ma solo in forza di precise e preventive disposizioni di legge autorizzative[16]. Pertanto, in dottrina, si è con precisione sottolineato che impropriamente si definisce “revoca” quel provvedimento amministrativo che in null’altro consiste se non in una decisione di annullamento in via di autotutela del provvedimento (anch’esso dal contenuto vincolato) di elargizione del beneficio previamente adottato dall’amministrazione[17].
Resta inteso in definitiva, però, che ove il conseguimento dell’agevolazione o dell’esenzione sia condizionato dalla legge regolatrice della materia al compimento di una determinata attività da parte del contribuente (c. d. agevolazione condizionata), solo e sempre la legge istitutiva può eventualmente sanzionare con la decadenza dal diritto al beneficio l’inattività, o la tardività del comportamento del contribuente; sono, invece, da ritenersi illegittimi eventuali provvedimenti amministrativi (regolamenti, circolari, ecc.) che deteriorino la posizione del contribuente, condizionando ad ulteriori adempimenti dei soggetti interessati il conseguimento del beneficio, sotto pena di decadenza dallo stesso[18]. 
La stessa legge agevolativa, poi, può introdurre, se del caso, anche retrodatazioni o anticipazioni degli effetti da essa prodotti, operanti sulla base di una “fictio iuris” come deroga alla normale efficacia ex nunc della domanda di applicazione del beneficio fiscale[19]. 
Ciò, ad esempio, accade quando il regime agevolativo, come nel nostro caso, ha durata prolungata nel tempo, coinvolgendo più annualità d’imposta successive e susseguentisi (c. d. agevolazione pluriennale); al riguardo, infatti, si ritiene che l’eventuale provvedimento di diniego o di revoca non possa di regola travolgere diritti ormai quesiti (del contribuente), sempre che ciò non sia consentito espressamente dalla normativa tributaria nel caso specifico[20].
L’esame della disciplina fiscale di favore appena delineata sinteticamente è riferita all’originario assetto della normativa concernente le agevolazioni di cui all’art. 4 della L. n. 449/1997 ed all’art. 8 della L. n. 388/2000; questa sistemazione regolamentativa, come si è avuto modo di osservare, poggiava sull’attribuzione automatica ex lege dei benefici fiscali concessi, cioè rimettendosi per la sua applicazione alla semplice utilizzazione in concreto da parte dei contribuenti coinvolti come destinatari della normativa de qua [21]. 
Il quadro normativo di riferimento è, poi, significativamente mutato, sia dal lato sostanziale che da quello formale, nel corso del 2002; precisamente a far data dall’8 luglio 2002, in quanto l’art. 10, comma 1-bis, del D. L. 8 luglio 2002 n. 138, conv. in Legge 8 agosto 2002 n. 178 (pubblicata in Gazz. Uff. serie generale n. 187 del 10 agosto 2002, suppl. ord.), ha introdotto (per quanto attiene l’aspetto formale della procedura di concessione del beneficio) l’onere della presentazione di apposita istanza al Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate (ex Centro di servizio delle ii. dd. e ind.) per poter fruire del contributo (o bonus) fiscale di cui all’art. 8 della L. n. 388/2000[22]. (ed analoga sorte ha subito l’art. 4 della L. n. 289/1997, delle cui vicissitudini normative si omette la descrizione per esigenze di sintesi). Di tal guisa, la fruizione automatica dell’agevolazione in questione si è trasformata in applicazione solo dopo apposita istanza del contribuente ed in assenza di diniego espresso da parte dell’amministrazione finanziaria, visto che la legge (al comma 1-ter del citato art. 10) ha previsto che il beneficio si intende concesso se, decorsi trenta giorni dalla data di presentazione dell’istanza, non si riceve alcuna comunicazione di rigetto della stessa (in base al principio amministrativo del silenzio-assenso)[23]. Sempre secondo tale nuova disciplina, poi, sarebbe spettato all’Agenzia delle entrate dettare, inoltre, opportune disposizioni per stabilire le specifiche tecniche di presentazione dell’istanza da parte dei contribuenti, provvedendo, perciò, ad individuare i modelli di domanda e la modalità di trasmissione della stessa (individuata, poi, in quella telematica) (cfr. il comma 1-quinquies del suddetto art. 10).
Stando così le cose, allora, si era venuta a creare una disparità nel regime concessorio dell’agevolazione ex art. 8 della L. n. 388/2000 tra le situazioni di coloro cui si applicava ancora la disciplina del beneficio anteriore all’8 luglio 2002 e coloro che avevano cominciato a richiederlo da tale data: vigeva, infatti, il sistema di concessione automatico nel primo caso e quello subordinato ad una previa concessione amministrativa, sia pure in forma silente, nel secondo, nel qual caso si aveva una tipica ipotesi di agevolazione c. d. condizionata, come sopra chiarito. 
Su tale critica evenienza è, quindi, intervenuto lo stesso legislatore, emanando una prima volta il D. L.12 novembre 2002 n. 253, col quale viene stabilito in particolare (all’art. 1, lett. a)) che, con attenzione a coloro che avevano conseguito il diritto al contributo anteriormente alla data dell’8 luglio 2002, occorreva comunque che costoro comunicassero con una specifica istanza all’Agenzia delle entrate, a pena di decadenza dal contributo conseguito automaticamente, i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati, essendo una finalità primaria della legge agevolativa quella “di assicurare una corretta applicazione delle disposizioni in materia di agevolazione per gli investimenti nelle aree svantaggiate di cui all’art. 8 della Legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni, nonché di favorire la prevenzione di comportamenti elusivi” (così è detto al comma 1, art. 1 citato). La stessa norma dispone, poi, che con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del D. L. n. 253/2002, sarebbe stato approvato il modello di comunicazione dei dati richiesti al fine del monitoraggio delle istanze prodotte, da farsi sia perché costituisce un valido strumento di contrasto all’elusione in materia, sia per poter effettuare la pianificazione dei flussi di spesa occorrenti per assicurare pieni utilizzi dei contributi attribuiti sotto la forma di crediti d’imposta (così è previsto al comma 1, art. 1 del citato decreto). Nello stesso provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate doveva, poi, essere anche stabilito il termine per l’effettuazione della comunicazione suddetta, che avrebbe dovuto essere “comunque non successivo al 31 gennaio 2003” (cfr. la lett. a), comma 1, art. 1 del detto decreto), termine, dunque, da ritenersi perentorio, in quanto collegato alla decadenza dall’agevolazione conseguente alla mancata presentazione della comunicazione de qua nel termine ancora da stabilirsi.
Successivamente, il legislatore è ritornato ancora una volta sulla specifica materia, con l’art. 62, comma 1, lett. a), della Legge 27 dicembre 2002 n. 289, il quale, sopprimendo espressamente la previgente disposizione legislativa del D. L. n. 253/2002 e facendo salvi “gli atti e i provvedimenti adottati” e “gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base delle predette disposizioni” (cfr. il comma 7 del citato art. 62), conteneva, poi, disposizioni identiche a quelle già adottate in precedenza, tranne che per il termine ultimo di presentazione della comunicazione prevista per coloro che avevano maturato il diritto all’agevolazione anteriormente all’8 luglio 2002, che veniva fissato ora ex novo al 28 febbraio 2003[24]. Il provvedimento è stato, poi, effettivamente emanato dal direttore dell’Agenzia delle entrate il 24 gennaio 2003 (pubblicato in Gazz. Uff. serie generale n. 28 del 4 febbraio 2003, con allegati i relativi modelli CVS, CTS, ecc.), prevedendo specificamente al punto 4.1 che, per la segnalazione dei dati relativi agli investimenti agevolati effettuati nelle aree svantaggiate da parte dei soggetti che hanno conseguito anteriormente all’8 luglio 2002 il diritto al contributo di cui all’art. 8 L. 388/2000, “le comunicazioni … sono presentate, a pena di disconoscimento del beneficio, in via telematica all’Agenzia delle entrate dal 31 gennaio 2003 al 28 febbraio 2003”[25]. 
Dopo aver esposto nelle sue linee generali di sviluppo essenziali le modificazioni succedutesi, in particolare, alla stesura originaria dell’art. 8 della L. n. 388/2000, occorre a questo punto chiedersi se può configurarsi l’eventuale illegittimità del provvedimento amministrativo del direttore dell’Agenzia delle entrate, che, con riferimento a coloro cui si applica il regime previgente all’8 luglio 2002 della norma in questione, ha previsto, per un verso, l’obbligo della presentazione della comunicazione dei dati di cui all’art. 62 della L. n. 289/2002 non oltre il 28 febbraio 2003 e, per altro verso, la decadenza dall’intero beneficio, anche per la parte già fruita, cioè con efficacia ex tunc, in caso di mancata ottemperanza nei termini all’obbligo della stessa comunicazione, così come già disposto a livello normativo. Tale provvedimento amministrativo, infatti, appare emanato in palese violazione dell’art. 3 della Statuto del contribuente di cui alla L. n. 212/2000[26]. 
Tale ultima norma, infatti, dispone che “le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dall’adozione dei provvedimenti di attuazione in essi previsti” (comma 2) ed inoltre che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo” (comma 1). Orbene, deve considerarsi proprio che l’emanazione del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, adottato ex art. 62 della L. n. 289/2002, non è stata anteriore di sessanta giorni rispetto alla scadenza del termine per l’effettuazione dell’adempimento della comunicazione dallo stesso imposto (difatti, il provvedimento de quo risale al 24 gennaio 2003, mentre il termine finale in esso dettato scadeva il 28 febbraio 2003); d’altro canto, poi, è stato pure previsto, come su esposto,che il mancato rispetto del termine in questione avrebbe comportato la perdita ab origine del beneficio (il provvedimento, invero, parla di “disconoscimento del beneficio” sic et simpliciter, mentre la legge attuata da tale provvedimento -il comma 1, lett. a) dell’art. 62 L. n. 289/2002- parla, più nettamente e significativamente, di “decadenza dal contributo conseguito automaticamente”).
In effetti, l’apparente contrasto normativo è evidente, ma per potersi concludere per la illegittimità del provvedimento considerato occorre, però, stabilire preliminarmente se l’art. 62 della L. n. 289/2002, di cui il provvedimento stesso è attuazione, integra i requisiti richiesti dall’art. 1, comma 1, dello Statuto del contribuente, che ne disciplina la modificabilità, posto che in tal caso la citata norma ben potrebbe apportare deroghe o modifiche alle disposizioni di principio sancite nel medesimo. Tali requisiti sono dati dalla ricorrenza di una previsione espressa di legge (cioè, di una fonte normativa pariordinata allo Statuto) e dalla circostanza che non si tratti in ogni caso di una legge speciale[27]. In conseguenza, occorre, allora, ragionare sostenendo che, per quanto appena detto, una norma di principio statutaria, ad es. l’art. 3, dettata con legge ordinaria (L. n. 212/2000), che sancisce in linea di massima la necessità della previsione di un termine dilatorio minimo (di sessanta giorni) per l’efficacia dei nuovi adempimenti posti a carico dei contribuenti e l’irretroattività delle nuove disposizioni tributarie, può essere derogata solo da un’altra legge ordinaria generale, che non abbia cioè carattere speciale e che contenga all’uopo una espressa previsione normativa di deroga allo Statuto del contribuente.
Ma una simile conclusione circa la modificabilità dello Statuto ci sembra eccessiva, nonostante il dettato del su citato art. 1, comma 1, in esso contemplato, che ha introdotto nell’ordinamento tributario una fattispecie di riserva di legge rinforzata, la quale risulta che non possa trovar luogo nell’attuale ordinamento giuridico italiano retto da una costituzione dal carattere rigido. Infatti, la dottrina maggioritaria[28] è solita insegnare che solo quando, come durante la vigenza in Italia dello Statuto Albertino, “il nostro ordinamento era retto da costituzione flessibile”, allora “ogni atto legislativo è libero di condizionare risolutivamente la propria permanenza in vigore alle circostanze più diverse (…) ed è perciò anche libero -eventualmente- di porsi come immodificabile o modificabile soltanto a determinate condizioni, in tal modo limitando le leggi future (che non potrebbero -allora- abrogare la clausola di immodificabilità contenuta nella legge anteriore)”; “ma in sistemi a rigidità costituzionale, dove la potenzialità innovativa dei diversi tipi di fonti è preventivamente regolata in generale e con norme che devono considerarsi cogenti, almeno per quanto riguarda le fonti primarie, è dubbio che particolari leggi possano validamente limitare l’efficacia abrogativa delle leggi successive, disponendo, ad esempio, la propria immodificabilità (ipotesi tutt’altro che scolastica: si pensi alle leggi che dispongono esenzioni fiscali per un determinato tempo o addirittura in perpetuo, come nei riguardi della rendita del debito pubblico), ovvero consentendo soltanto di essere abrogate espressamente; ed è poi ancora più dubbio che possano previamente autorizzare la propria abrogazione ad opera di fonti di grado subordinato”.
Pertanto, preferendo seguire questo più corretto ordine di idee, va ribadito che per un principio immanente nel nostro ordinamento ogni legge è suscettibile di essere abrogata o soltanto derogata sia espressamente che tacitamente, cioè anche per semplice incompatibilità con altra legge successiva che regoli diversamente la stessa materia (lex posterior derogat priori)[29]; e ciò può, invero, avvenire anche con efficacia retroattiva[30]. La questione di illegittimità prima evidenziata, quindi, deve essere diversamente inquadrata in un’altra prospettiva, poiché non concerne più l’art. 62 della L. n. 289/2002 -ed il provvedimento amministrativo attuativo dello stesso- per contrasto con l’art. 3 dello Statuto del contribuente, ma involge lo stesso art. 1 dello Statuto, della cui legittimità costituzionale è più che lecito e seriamente possibile dubitare per violazione del principio di gerarchia delle fonti del diritto, come sostenuto dall’orientamento dottrinale su riportato.
E’ però possibile addurre, in favore della legittimità della deroga apportata con la L. n. 289/2002 ai principi statutari di cui all’art. 3 della L. n. 212/2000 anche ulteriori e puntuali argomentazioni.
In rimo luogo, è da dire che, pur volendo accogliere acriticamente il principio di immodificabilità per legge susseguente dello Statuto del contribuente, previsto nel suo art. 1, comma 1, non si comprende affatto la ragione per cui solo le leggi “speciali” non possono derogarvi neppur espressamente, mentre, seguendo secondo logica l’interpretazione letterale della disposizione stessa, ben potrebbero derogarvi, purchè in modo espresso e non tacito, tutte le altre tipologie di leggi parlamentari (o formali), quali le leggi “generali”, “eccezionali”, “singolari” o addirittura “personali”. Invero, secondo l’opinione dominante in dottrina[31], proprio tra la legge “generale” e quella “speciale” sussiste una sostanziale assimilazione funzionale, considerato che il criterio differenziale tra le due categorie è soltanto di indole quantitativa, mentre può dirsi che entrambe hanno invece gli identici caratteri della generalità e dell’astrattezza, tipici di ogni provvedimento legislativo fonte di norme ordinarie. Diversamente, “eccezionali” sono le norme che derogano alle leggi “generali”, come accade ad esempio anche nel caso di sospensione dell’obbligo di pagare le imposte[32]. Da quanto detto si desume, allora, che l’art. 62 della L. n. 289/2002 (ed il relativo provvedimento amministrativo di attuazione), non potendosi ritenere norma speciale, in quanto emanata in deroga (sia pur implicita) a norme generali (quelle statutarie), può tutt’al più inquadrarsi alternativamente, secondo diverse impostazioni logiche (come si vedrà appresso), vuoi nella categoria delle leggi eccezionali, vuoi anche in quella delle leggi generali, per cui è da concludere che in ogni caso (cioè, qualunque impostazione si segua) ben può derogare alle disposizioni generali di principio contenute nello Statuto del contribuente, stando al lampante dettato dell’art. 1, comma 1, dello stesso Statuto, che esclude in assoluto solo eventuali deroghe apportate con leggi speciali.
In secondo luogo, va poi detto che la tesi della supremazia delle norme statutarie su quelle scaturenti da leggi ordinarie successive viene fondata pure sulla considerazione che lo Statuto è stato adottato in attuazione delle disposizioni programmatiche riconducibili, direttamente o indirettamente, alla materia tributaria presenti nella nostra Costituzione (si pensi agli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.), che del resto sono state anche espressamente elencate nello stesso art. 1, comma 1, dello Statuto. Però, non si ritiene che possa attribuirsi il pregio che si vorrebbe in dottrina a questo criterio della valenza costituzionale delle norme statutarie, al fine di suffragare la tesi dell’inderogabilità assoluta dello Statuto per legge successiva[33]. Infatti, il compito delle norme statutarie, così come statuito in molteplici recenti pronunce della Cassazione[34], è quello di fornire i principi generali dell’ordinamento tributario costituzionalmente ispirati, che valgono, però, come mero criterio interpretativo delle norme tributarie future, in ciò consistendo unicamente il loro carattere vincolante. Tale forza cogente, dunque, si riduce in sostanza ad una pura e semplice funzione ermeneutica, nel senso che di fronte a qualsiasi dubbio o incertezza applicativa delle leggi tributarie questi debbano essere risolti dall’interprete, in applicazione dell’art. 12 delle Preleggi, nel modo più conforme al dettato dei principi statutari, dato che peraltro essi sono stati ritenuti compatibili dallo stesso legislatore con i superiori principi costituzionali, richiamati appunto anche nell’art. 1, comma 1, dello Statuto. 
Del resto, la dottrina tributarista ha chiarito pure che il criterio interpretativo analogico, di cui all’art. 12 delle Preleggi, valevole ed invocabile in ogni caso di lacuna legis , può ben trovare applicazione nel settore delle leggi agevolative, che, secondo la più avvertita dottrina, siccome in genere eliminano le restrizioni patrimoniali già apportate dalle leggi tributarie restituendo ai contribuenti l’integrità della loro sfera patrimoniale, ripristinano l’efficacia delle leggi ordinarie regolatrici dei rapporti economici tra privati, del cui regime giuridico seguono, dunque, le sorti; invece, solo occasionalmente sono da ritenersi di natura “eccezionale”, ai sensi dell’art. 14 delle Preleggi, e cioè nei casi in cui oltre a derogare a singole norme tributarie sono, secondo una interpretazione sistematica, anche derogatorie dei principi generali dell’ordinamento tributario e, quindi, come tali sottratte all’applicazione del procedimento interpretativo analogico[35]. Sicchè, può rilevarsi come, nel caso in cui la norma agevolativa sia qualificale “eccezionale”, essa è anche insuscettibile di interpretazione analogica e, quindi, le diventano inapplicabili gli stessi principi statutari, che hanno per l’appunto, come visto, una spiccata funzione ermeneutica, essendo adoperabili esclusivamente come criteri interpretativi costituzionalmente orientati ad efficacia prevalente su qualsiasi altra contrastante interpretazione teoricamente possibile di una qualsivoglia disposizione tributaria.
Ora, nel caso dell’art. 62 della L. 289/2002 (e del suo provvedimento di attuazione) non si è in presenza di alcun dubbio o incertezza interpretativa, in quanto la norma dispone chiaramente, seppure in deroga tacita (e non espressa, come preteso dall’art. 1) all’art. 3 dello Statuto, circa il tipo di adempimento da compiere da parte dei contribuenti interessati ed il termine entro cui effettuarlo (in claris non fit interpretatio), per cui nessuna alternativa interpretativa è concepibile a proposito dell’esecuzione della disposizione contenuta nella norma agevolativa de qua [36], invocandone successivamente la illegittimità per violazione di specifici principi statutari. Inoltre, la norma in argomento può ben qualificarsi “eccezionale”, dato che lungi dal ristabilire lo status quo dell’ordine giuridico comune sovvertito da una legge tributaria, detta invece modifiche ad una legge agevolativa in deroga a principi generali, quali l’irretroattività delle norme e la certezza dei rapporti giuridici, sia pure a fini antielusivi e di giustizia tributaria; le sono così inapplicabili sia la regola interpretativa dell’art. 12 delle Preleggi, che le norme di principio dello Statuto del contribuente. 
In effetti, va però soggiunto pure che, nel nostro caso, data la repentinità con cui è avvenuta l’attuazione del mutamento legislativo in corso, riconducibile all’art. 62, comma 1, lett. a), della L. n. 289/2002, che è veramente divenuto operativo in un ristretto torno di tempo, è stato ben possibile che si siano verificate ipotesi in cui dei contribuenti, pur adempiendo nel termine stabilito alla nuova disposizione con la presentazione della comunicazione richiesta dalla legge (e dal relativo provvedimento amministrativo di attuazione), abbiano comunque commesso delle irregolarità nella compilazione dei modelli predisposti per la comunicazione stessa, sia direttamente, sia ad opera di un intermediario autorizzato alla presentazione in via telematica della medesima comunicazione. Ricorrendo una simile evenienza, si può allora condividere l’opinione di chi[37] ritiene oltremodo gravoso far ricadere sui contribuenti le conseguenze negative derivanti da controlli svolti dall’amministrazione finanziaria, che possono giungere fino alla revoca dell’agevolazione per irregolarità formali commesse nella compilazione delle istanze prodotte. Infatti, dovendo comunque ritenersi garantita la tutela dell’affidamento del contribuente, può sostenersi che in questi casi vada applicata almeno la disposizione esimente dall’irrogazione delle sanzioni prevista per i contribuenti che si siano comportati in buona fede, ai sensi dell’art. 10, comma 2 dello Statuto[38]. 
Lo stesso può ribadirsi in caso di emanazione di un provvedimento di recupero del credito d’imposta maturato automaticamente, ma disconosciuto perchè è mancata la presentazione nel termine di cui all’art. 62, comma 1, lett. a), della L. n. 289/2002 della comunicazione dei dati indispensabili per il successivo monitoraggio di tutte le istanze presentate da parte di chi aveva conseguito il diritto al beneficio anteriormente all’8 luglio 2002. In tal caso, quindi, oltre al recupero del credito indebito e dei relativi interessi, non dovrebbero esser dovute le sanzioni.
E c’è da aggiungere, infine, al riguardo, che peraltro la stessa Agenzia delle entrate ha interpretato nel senso della inderogabilità e, quindi, della perentorietà a pena di decadenza dal beneficio il termine del 28 febbraio 2003 fissato dalla L. n. 289/2002 (e ripreso nel relativo provvedimento amministrativo di attuazione del direttore dell’Agenzia medesima)[39]. 
Inoltre, ulteriore conforto alla delineata opinione può trarsi ancora da alcuni provvedimenti amministrativi[40] che hanno ammesso la possibilità di inviare comunicazioni correttive all’amministrazione, ma solo per coloro che hanno comunque trasmesso le comunicazioni (con il mod. CVS) entro il prescritto termine del 28 febbraio 2003 e purchè le stesse istanze siano state accettate dall’amministrazione destinataria delle medesime (il Centro Operativo di Pescara); da ciò, infatti, è facile indirettamente arguire che resta, pertanto, irrimediabilmente perduto il diritto al bonus fiscale per quei contribuenti che non abbiano rispettato il suddetto termine, non essendo ad essi logicamente consentito rimediare nemmeno con la presentazione di una comunicazione correttiva all’errore costituito dalla mancata presentazione nel termine proprio della stessa comunicazione originaria[41]. 
2. LA CIRCOLARE 8 LUGLIO 2003 N. 35/E E LA DISCIPLINA DELLE MODALITA’ DI RECUPERO DEI CREDITI D’IMPOSTA INDEBITAMENTE COMPENSATI AI SENSI DELLE LEGGI N. 449/1997 E N. 388/2000 
Occorre a questo punto sottolineare, ancora una volta, che una precipua finalità antielusiva presiedeva, per espressa ammissione del legislatore, alla ratio legis sottesa all’introduzione della procedura di monitoraggio prevista dalle leggi nn.178 e 289 del 2002. Questa è stata avviata l’8 luglio 2002 con l’imposizione dell’obbligo di una preventiva comunicazione al Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate di tutti i dati e le notizie ritenuti utili all’uopo, adempimento esteso, come detto, anche a tutti coloro che avessero per ventura già in precedenza conseguito il diritto all’agevolazione, essendo stato predisposto in tal caso un apposito e distinto modello di comunicazione, denominato CVS. Infatti, in tale ultima ipotesi la prescritta comunicazione non serve affatto a conseguire, attraverso il silenzio-assenso dell’amministrazione decorsi trenta giorni dalla sua presentazione, il godimento del beneficio fiscale de quo, sebbene necessiti che comunque venga presentata, tanto che la sua deficienza è stata legislativamente sanzionata con la pena della decadenza dal contributo conseguito automaticamente; e la ragione di ciò risiede ovviamente nella considerazione che solo in tal modo è divenuto possibile realizzare, essenzialmente in funzione antielusiva, ma anche per valutare a priori gli stanziamenti finanziari necessari, un monitoraggio complessivo su tutti i contribuenti che fruiscono del beneficio i questione[42].
Per quanto riferito nel paragrafo precedente, poi, può ormai classificarsi come “condizionata” (e non più “automatica”) l’agevolazione di cui al vigente testo dell’art. 8 della L. n. 388/2000, così come formatosi per sedimentazioni successive a seguito delle svariate modificazioni normative subite nel tempo.
Con particolare riferimento a questa tipologia di agevolazione, che si intende guardare più da vicino in ragione delle sue maggiori peculiarità, accade allora che in tutti i casi di decadenza dal beneficio, conseguenti sia all’assenza dei presupposti di legge legittimanti l’utilizzo del beneficio, che all’inosservanza di alcuni momenti della procedura formale di conseguimento dello stesso, gli uffici finanziari devono, poi, provvedere al recupero del credito d’imposta indebitamente utilizzato; tale procedimento di recupero del credito illegittimo si è sovrapposto ed aggiunto (nell’ambito di tutte le agevolazioni fiscali concesse per l’incremento dell’occupazione, o per l’incentivo a nuovi investimenti produttivi) alla facoltà, di cui può sempre avvalersi il contribuente mediante autoimposizione, di riversare spontaneamente alle scadenze stabilite, attraverso il mod. F24, le somme indebitamente compensate, oltre i relativi interessi e sanzioni.
Collateralmente al monitoraggio delle comunicazioni presentate, infatti, è stato preventivato l’avvio di una generalizzata attività di controllo mirato sui soggetti beneficiari delle agevolazioni in discorso[43]. Tale attività è finalizzata, dunque, al recupero con appositi provvedimenti amministrativi emessi dagli uffici finanziari competenti delle somme indebitamente utilizzate dai contribuenti come crediti di imposta in compensazione di imposte e contributi da versare periodicamente. La procedura per il recupero e gli schemi dei provvedimenti da usare in concreto a questo fine sono stati disciplinati minutamente con una specifica circolare dell’Agenzia delle entrate dell’8 luglio 2003 n. 35/E[44], nella cui trattazione si sono suddistinte in via generale le fasi del monitoraggio, del controllo mirato e delle modalità di recupero vero e proprio, sempre secondo i modelli già previsti dal provvedimento del direttore dell’Agenzia del 24 gennaio 2003, di cui si è fatto sopra parola[45]. 
Tralasciamo, per l’irrilevanza ai nostri fini, la descrizione dell’attività di individuazione dei soggetti da sottoporre a controllo, che vengono infine elencati in una lista di segnalazione (check- list), predisposta mediante una apposita procedura di “monitoraggio” che tiene conto dei versamenti effettuati tramite il modello F24, e destinati al vaglio degli uffici operativi per la successiva attività di controllo e di accertamento.
Passiamo, invece, qui di seguito ad analizzare subito l’attività di controllo preliminare al recupero, espletabile sempre da parte degli uffici finanziari, per poi esaminare finalmente il provvedimento stesso emanato per il recupero (c. d. avviso di recupero) sotto i profili della sua natura e dei suoi effetti giuridici.
3. L’ATTIVITA’ DI CONTROLLO DEGLI UFFICI COME NECESSARIO ANTECEDENTE DELL’AVVISO DI RECUPERO
La citata circolare n. 35/E/2003, al punto 3, descrive le indispensabili attività istruttorie di controllo che devono precedere in genere l’emanazione dell’avviso di recupero.
Queste attività propedeutiche all’accertamento vero e proprio si sostanziano innanzitutto nella predisposizione di adeguate metodologie di controllo elaborate attraverso il consueto strumento della check-list, che tracciano i percorsi necessari al riscontro della sussistenza dei presupposti e delle condizioni fissati dalla legge per poter usufruire dell’agevolazione di cui trattasi, nonché per la corretta determinazione del credito spettante. Queste metodiche di controllo tengono, poi, conto necessariamente anche dell’evoluzione normativa che, nel tempo, ha caratterizzato il singolo credito, adeguando conseguentemente le “voci” di riscontro in relazione ai diversi interventi legislativi avutisi in materia. 
Come esposto, dunque, nella medesima circolare, stante la complessità delle esigenze poste dal controllo in subiecta materia, è in via generale stabilita la modalità istruttoria dell’ “accesso mirato” come formalità tipica di effettuazione del controllo, teso a verificare in loco presso la sede dell’impresa la ricorrenza dei requisiti di legittimità per la spettanza del credito (si pensi al riscontro inerente l’avvenuto inizio e la successiva realizzazione del nuovo investimento produttivo, alla effettiva presenza dei beni agevolati nei locali aziendali, ecc.). Gli esiti di tali verifiche brevi devono, quindi, essere trasfusi in un pedissequo processo verbale di constatazione, che costituisce, una volta notificato al contribuente ed acquisito agli atti d’ufficio, la fondamentale fonte di prova in sede istruttoria per l’emanazione del successivo e finale avviso di recupero.
Viene, inoltre, assicurato il diritto di difesa al contribuente, in quanto è pacifico che, sia durante che dopo la verifica condotta dall’ufficio operativo, egli stesso, o il professionista che ne cura gli interessi, possono formulare le loro osservazioni e rilievi da sottoporre all’esame dell’ufficio, ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del contribuente, onde chiarire alcuni aspetti dubbi della posizione fiscale del soggetto interessato prima che venga emanato alcun avviso di recupero del presunto credito usufruito indebitamente. 
4. LA STRUTTURA DI BASE DELL’AVVISO DI RECUPERO E LA SUA NATURA DI VERO E PROPRIO ATTO (O AVVISO) DI ACCERTAMENTO 
Sempre nella circolare n. 35/E/2003, al punto 4, vengono illustrati due schemi di provvedimento (gli allegati n. 6 e n. 7 alla medesima circolare) utilizzabili per il recupero dei crediti di imposta che, a seguito dei riscontri sia formali che sostanziali effettuati dagli uffici finanziari, risultino essere stati indebitamente utilizzati dal contribuente in compensazione dei versamenti dovuti a titolo di imposte e contributi vari.
Col primo schema, come spiegato nella circolare, si intende fornire un modello di provvedimento esclusivamente riferito al recupero del credito d’imposta, di cui all’art. 4 della Legge 27 dicembre 1997 n. 449, indebitamente fruito nonostante vi fosse stato un provvedimento di revoca definitivo del Centro Operativo di Pescara; col secondo schema, poi, si delinea un modello di provvedimento a motivazione libera e indistintamente finalizzato al recupero delle tipologie di credito riconducibili sia a quella scaturente dalla legislazione agevolativa per l’incremento dell’occupazione, che a quella prevista per l’incentivo degli investimenti nelle aree svantaggiate (entrambe elencate con tutti i relativi riferimenti normativi rispettivamente nelle lett. A) e B) del punto 1 della citata circolare). Tale ultimo schema potrà, pertanto, essere utilizzato anche per il recupero del credito d’imposta di cui all’art. 4 della L. n. 449/1997 nei casi di indebito utilizzo dello stesso per omessa presentazione al Centro Operativo di Pescara dell’istanza di ammissione al beneficio, ovvero in assenza di provvedimento di autorizzazione del Centro medesimo.
Viene precisato, poi, nella circolare che l’ufficio, in caso di coesistenza in capo ad un unico contribuente di entrambe le tipologie di credito indebitamente utilizzato (cioè, quello per l’incremento dell’occupazione e quello per investimenti nelle aree svantaggiate), dovrà procedere al recupero in relazione alle singole fattispecie con distinti atti. Invece, con riferimento ad una stessa tipologia di credito, anche se in relazione a più annualità ed a diversi codici tributo, dovrà di regola emanarsi un unico atto, pur in presenza di differenti normative succedutesi nel corso del tempo e che hanno interessato la posizione del contribuente verificato.
Nella motivazione dell’avviso di recupero, come sottolinea poi la circolare, devono essere distintamente enucleate le specifiche situazioni giuridiche esaminate con riferimento alla normativa applicabile nei diversi periodi considerati.
Si evidenzia, infine, che gli schemi di provvedimento potrebbero essere opportunamente modificati ed integrati dagli stessi uffici finanziari in relazione alle esigenze motivazionali ovvero contabili delle specifiche analisi elaborate in sede di conclusione dell’istruttoria precedentemente svolta nell’ambito dell’attività di controllo.
Passando, ora, ad un esame più ravvicinato dell’avviso di recupero, va evidenziato che nella circolare si segnala che gli schemi di provvedimento sopra menzionati (cioè, quello riferito al solo art. 4 L. 449/97 e quello polifunzionale) contengono distinti prospetti da compilare a cura dell’ufficio: -nel primo prospetto A) devono essere riportati, per ciascun anno interessato dall’illegittimo utilizzo del credito, i dati analitici dei singoli importi oggetto di recupero con l’indicazione delle modalità di compensazione utilizzate (cioè, in sede di dichiarazione periodica, ovvero col solo modello F24) e delle relative date rilevate, nonché l’ammontare degli interessi dovuti con riferimento a ciascuna indebita compensazione; -nel secondo prospetto B) deve essere indicato il totale dell’importo da versare, entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto, a titolo di credito recuperato, interessi e sanzioni connesse alle singole violazioni riscontrate, equivalendo l’illegittima compensazione ad omesso versamento da parte del contribuente che vi era tenuto. La circolare si sofferma di poi ad impartire dettagliate istruzioni per il calcolo sia degli interessi, che delle sanzioni.
In conclusione, dunque, con l’avviso di recupero in argomento il contribuente è invitato al versamento, entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto, del complessivo credito indebitamente compensato, unitamente ai relativi interessi e sanzioni, nonché alle spese di notifica dell’atto. In mancanza si provvederà alla riscossione coattiva mediante iscrizione a ruolo a seguito della definitività dell’atto.
Nelle avvertenze finali dell’avviso di recupero sono indicati i codici tributo da utilizzare per i versamenti e la consueta esplicitazione della ricorribilità dell’atto, dell’autorità dinanzi a cui proporre il ricorso e del relativo termine di decadenza di sessanta giorni. In particolare, è possibile riscontrare come nelle stesse avvertenze viene enunciato che avverso l’avviso di recupero del credito d’imposta sia ammesso ricorso “solo per i vizi propri dell’atto”.
Dopo aver brevemente riassunto finora la struttura di base dell’avviso di recupero istituito dalla normativa (e dalle disposizioni amministrative) in materia e le istruzioni ministeriali impartite in concreto, si possono adesso svolgere alcune considerazioni circa la natura giuridica dell’atto in esame, rinviando al paragrafo successivo la descrizione dei suoi effetti. 
L’atto, come detto, nella sostanza risulta costituito da una “comunicazione” della motivazione del recupero che precede l’esposizione, nei successivi prospetti A) e B), rispettivamente delle indebite compensazioni recuperate (con indicazione esplicita del relativo codice tributo, della data di utilizzo, della modalità di utilizzo -dichiarazione o mod. F24-, del corrispondente importo utilizzato e degli interessi sullo stesso dovuti alla data di emissione dell’atto) e delle somme complessivamente dovute a titolo di credito indebito, interessi e sanzioni.
L’atto di recupero così congegnato e scaturente essenzialmente da una rettifica della dichiarazione presentata o dei versamenti effettuati con mod. F24 può configurarsi, in effetti, ad un primo esame come il semplice esito di un controllo formale della dichiarazione effettuato dall’ufficio e comunicato al contribuente, cui è annessa contestualmente e nello stesso atto anche la liquidazione delle somme ritenute dovute dall’ufficio medesimo. Tale esito viene, dunque, “comunicato” al contribuente, affinché lo stesso sollevi in prima battuta le opportune eccezioni (chiarimenti, rilievi, esibizione di documenti) prima non formulate, dato che a questo fine svolge un ruolo determinante la parte motivazionale dell’atto di recupero, consistente magari anche nel richiamo del contenuto del processo verbale di constatazione in cui sono stati sintetizzati i risultati dell’eventuale attività di controllo sostanziale svolta in precedenza dall’ufficio[46]. 
Stando, quindi, al prevalente aspetto di controllo formale che assume l’atto di recupero, esso potrebbe assimilarsi ad un avviso ex art. 36-ter del DPR 29 settembre 1973 n. 600 (cioè, del decreto sull’accertamento delle imposte sui redditi), il quale anche si risolve in un mero controllo formale della dichiarazione da tenere concettualmente distinto sia dall’attività di accertamento vero e proprio, che da quelle più prettamente di liquidazione e di riscossione coattiva mediante iscrizione nei ruoli[47]. Secondo il vigente testo dell’art. 36-ter (novellamente introdotto dall’art. 13 del D. Lgs. 9 luglio 1997 n. 241, unitamente all’art. 36-bis, nei quali è stato sostanzialmente suddiviso il sostituito art. 36-bis prima maniera del DPR n. 600/73), invero, l’avviso deve essere preceduto da una preventiva comunicazione al contribuente, avente lo scopo di esporre la motivazione dell’attività di controllo espletata dall’ufficio e di sollecitarne osservazioni e rilievi in uno spirito di collaborazione tra privato e fisco; essa difettava nella vecchia formulazione degli avvisi ai sensi del previgente art. 36-bis, in cui la motivazione dell’atto si riduceva a schematiche indicazioni standardizzate riportate in modo automatico su di una cartella esattoriale (quindi, con immediata iscrizione a ruolo)[48]. Solo dopo la comunicazione ex art. 36-ter, da ritenersi non autonomamente impugnabile[49], segue poi la notifica della cartella esattoriale; a tal proposito, dandosi esclusiva rilevanza all’atto di liquidazione riportato nell’iscrizione a ruolo da cui solo scaturirebbe l’efficacia di rettifica della dichiarazione, qualche autore ha parlato di “rettifica esecutiva”[50], qualche altro di “atto formalmente unico a contenuto complesso”[51]. 
Da questa breve analisi, quindi, si può immediatamente concludere che l’avviso di recupero dei crediti di imposta di cui ci si occupa non può, allora, assolutamente equipararsi ad un avviso ex art. 36-ter. 
Infatti, come su visto, nell’atto di recupero è inglobata sia la comunicazione della motivazione dello stesso, che la liquidazione delle somme accertate come dovute dal contribuente a titolo di recupero delle imposte e dei contributi indebitamente compensati con dei crediti non spettanti. L’atto ha, quindi, in primo luogo una indubbia valenza di diniego o di revoca dell’agevolazione de qua e contiene l’espressa esposizione delle relative ragioni di fatto e di diritto; a questa parte dell’atto fa seguito ed è ad essa direttamente collegata quella relativa alla immediata liquidazione delle somme recuperate ed al riepilogo di quanto complessivamente dovuto tra imposte, interessi e sanzioni.
Ora, quanto all’efficacia di diniego dell’agevolazione promanante dall’avviso in esame, è da dire che sotto questo profilo l’atto di recupero è difficilmente rapportabile all’avviso di rettifica automatizzato. Infatti, va preliminarmente evidenziato che già l’avviso, emanato ai sensi del previgente art. 36-bis DPR 600/73, oggi abrogato, era stato ritenuto inutilizzabile per disconoscere una esenzione che il contribuente si era attribuito in dichiarazione, in quanto la procedura di rettifica formale contemplata dalla norma veniva considerata applicabile esclusivamente alle sole questioni, di fatto o di diritto, riguardanti la correttezza dei calcoli esposti in dichiarazione e la spettanza di detrazioni e deduzioni richieste[52]. Analoga considerazione può, quindi, ripetersi per il vigente art. 36-ter, senza timore di incorrere in alcun equivoco, data l’esatta corrispondenza delle due norme quanto a contenuto e ratio legis (e del resto, i crediti d’imposta da dichiarazione, di cui parla la lett. d) del nuovo 36-ter come determinabili anche in sede di rettifica formale, nel silenzio della legge, non è affatto detto che comprendano anche le misure di natura agevolativa con identica denominazione). Peraltro, è da osservare pure che l’attività di rettifica formale ex art. 36-bis DPR 600/73 (oggi, 36-bis e 36-ter) è stata per lo più inquadrata nella fase di liquidazione della dichiarazione, anche se a volerla accostare all’attività di accertamento vero e proprio si è giunti ad enucleare, poi, una accezione ampia del termine “accertamento”, da intendere cioè in senso lato[53]. 
Fatti questi rapidi cenni sulla natura giuridica del controllo formale ex art. 36-ter DPR 600/73, può, in definitiva, convenirsi sulla estraneità a questa categoria dell’avviso di recupero dei crediti di imposta, la cui peculiarità sta proprio nella sua atipicità.
In primis, è da rilevare che la parte motiva dell’atto in esso racchiusa, così come la comunicazione precedente l’emanazione della cartella esattoriale ex art. 36-ter DPR 600/73, tende a riportare nel comune sistema di partecipazione del contribuente all’attuazione del tributo (di cui è principale manifestazione, appunto, l’obbligo di comunicazione al privato di tutti gli atti dell’amministrazione che possono incidere sulla sua posizione giuridica, ai sensi dell’art. 6 dello Statuto) l’atto di liquidazione rinvenibile solo nella seconda parte di cui è composto l’avviso di recupero (prospetti A) e B), assimilabili ad una cartella ex 36-ter), il quale di per se stesso è privo di motivazione.
In secondo luogo, l’atto di recupero nel suo complesso può indubbiamente ritenersi appartenente alla categoria dell’avviso di accertamento vero e proprio, in base alle seguenti considerazioni.
Per un verso, va sottolineato che l’avviso di recupero, come detto nelle stesse avvertenze generali poste alla fine dell’atto, è impugnabile “solo per i vizi propri” dello stesso. La giurisprudenza della Cassazione[54] ha già avuto modo di vagliare nel passato questa definizione a proposito della ricorribilità degli atti di imposizione in genere ed è pervenuta alle seguenti definitive conclusioni, seguite unanimemente dalla dottrina anche in tema di atto di diniego di esenzione o di agevolazione[55]. Con detta espressione, allora, si suole semplicemente indicare che il provvedimento in cui essa appare integra gli estremi di un atto autonomamente impugnabile; questo principio, poi, è oggi esplicitato espressamente nell’art. 19, comma 3 del D. Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, ma è stato sempre presente nell’ordinamento, anche sotto la vigenza del DPR 26 ottobre 1972 n. 636, poiché l’art. 16, comma 3 di questo decreto individuava soltanto nell’ingiunzione, nel ruolo e nell’avviso di mora gli atti che potevano eventualmente essere impugnati anche per motivi diversi da quelli relativi ai vizi loro propri; e segnatamente ciò può avvenire con esclusivo riguardo alla mancata notificazione dell’avviso di accertamento o della cartella esattoriale che avrebbero dovuto precedere l’emanazione dei suddetti atti, afferenti la sola fase esecutiva.
L’avviso di recupero, pertanto, siccome non può sostenersi che sia un atto meramente esecutivo o un semplice atto di liquidazione, dai quali si distingue nettamente se non altro proprio per la manifesta dichiarazione, in esso riprodotta, di impugnabilità “solo per i vizi propri”, potrebbe annoverarsi forse, per esclusione, nella generica e residuale categoria di cui all’art. 19, comma 1, lett. i), del D. Lgs. n. 546/1992, che comprende “ogni altro atto” impositivo del quale la legge prevede l’autonoma impugnabilità. Ma, al fine di pervenire ad una più esatta ed esaustiva interpretazione della natura giuridica dell’avviso di recupero, non può prescindersi ancora una volta dal riferirsi alle analisi giurisprudenziali condotte sul tema sia dalla Cassazione che dalla Corte Costituzionale, i cui unanimi risultati attinti dopo attenta e prolungata elaborazione teorica ci soccorrono nella soluzione del problema e vanno, quindi, qui richiamati espressamente.
L’atto di diniego di una esenzione, o in genere di una agevolazione, in cui si sostanzia appunto anche l’avviso di recupero dei crediti d’imposta, è stato dalla Cassazione sempre inteso come una species del più ampio genus costituito dalla categoria dell’ “avviso di accertamento”, genericamente inteso come un provvedimento amministrativo dal carattere decisorio, posto che in apicibus già il provvedimento con cui, al contrario, l’amministrazione riconosce un’esenzione (ad es., quella decennale dall’ILOR) ha un valore “costitutivo” non del diritto all’agevolazione, -che viene solo contestabilmente “accertato”, sulla base dell’esistenza dei presupposti stabiliti dalla legge-, ma del diritto alla restituzione dell’imposta indebitamente pagata[56].
Il supremo collegio ha, quindi, affermato che, nel caso di impugnazione dell’atto di diniego di una esenzione, la controversia riguarda un provvedimento della Finanza diretto a definire l’ambito di un’esenzione chiesta dal contribuente con riferimento (anche) al reddito dichiarato per un determinato periodo d’imposta, rispetto alla quale dichiarazione il provvedimento medesimo aveva, manifestamente, il valore sostanziale di un avviso di rettifica, correggendola nella parte riflettente l’esenzione; secondo questo insegnamento, perciò, l’atto di diniego rientra nella categoria degli atti di accertamento, che l’art. 16 del DPR n. 636/72, con la dizione “avviso di accertamento”, annovera fra quelli impugnabili; e per la stessa Cassazione, allora, è pacifico che l’espressione “avviso di accertamento”, agli effetti della citata norma, non designa soltanto gli atti così denominati nella terminologia legislativa (altrimenti, soprattutto con riguardo ai nuovi tributi, si perverrebbe all’inaccettabile risultato di escludere la tutela giurisdizionale rispetto ai numerosi accertamenti per i quali le singole leggi d’imposta usano una diversa denominazione), bensì deve essere interpretata in senso sostanziale, nel significato di atto, avente efficacia nei confronti del soggetto passivo del tributo, conclusivo di un procedimento o di un sub-procedimento di accertamento, sicchè sono impugnabili tutti i provvedimenti, comunque denominati, che accertano o dichiarano, in tutto o in parte, l’obbligazione tributaria ovvero un elemento di essa[57]. 
In altra occasione, con riferimento all’impugnazione di un avviso di liquidazione, la Cassazione ha affermato che pure detto avviso è assimilabile all’ “accertamento”, dovendosi intendere l’espressione medesima, contenuta nell’art. 16 del DPR n. 636/72, nel testo originario, non già in senso restrittivo e formalistico, con riferimento al solo accertamento “di valore” (versandosi in un caso di imposte indirette, ed in specie di registro), ma in senso ampio e sostanziale, includendovi tutti gli atti, comunque aventi contenuto oggettivamente diretto alla determinazione della sussistenza o della misura della obbligazione tributaria; per tale Cassazione, allora, l’atto di accertamento -che in questa accezione lata abbraccia tutta la fase genetica dell’obbligazione tributaria- attiene ai modi della venuta in essere dell’obbligazione medesima, al procedimento di formazione del rapporto obbligatorio d’imposta; pertanto, essa conclude affermando che la tutela del contribuente, ammessa l’equiparazione dell’avviso di liquidazione all’avviso di accertamento, anche anteriormente alla novellazione di cui al DPR n. 739/1981, risulta così assicurata[58].
Altra volta, sempre la Cassazione ha statuito che l’atto con cui l’amministrazione finanziaria riconosce spettare o meno al contribuente l’esenzione concessa dalla legge nel concorso di determinati requisiti concretizza pur sempre -anche quando tali requisiti siano rigidamente predeterminati dalla norma in guisa che non sussista rispetto ad essi alcun margine di apprezzamento discrezionale- un “operato” dell’ufficio, e cioè un provvedimento (o un atto) avente consistenza e natura di decisione amministrativa (o di provvedimento amministrativo), giacchè è idoneo a risolvere un potenziale conflitto di interessi circa la ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie legale di esenzione[59].
In altre pronunce, è stato, poi, ancora ribadito pedissequamente dallo stesso supremo collegio che, seguendo una interpretazione estensiva della nozione di avviso di accertamento, rientri in questa categoria giuridica anche l’atto di accertamento della non spettanza di un’agevolazione[60].
Sempre la Cassazione sottolinea, inoltre, chiaramente che siccome la norma che accorda un’agevolazione tributaria contribuisce a definire il presupposto del tributo, ne deriva che il diniego dell’agevolazione o il suo riconoscimento in misura ridotta rispetto alla richiesta del contribuente implica accertamento della debenza del tributo; pertanto, detti atti vanno inquadrati, secondo il consolidato orientamento del supremo collegio, nella categoria degli avvisi di accertamento[61]. 
Per completare il quadro delle opinioni giurisprudenziali in materia, si consideri pure, da ultimo, che per la Cassazione anche il provvedimento di revoca dell’accertamento con adesione del contribuente ai fini dell’imposta sul reddito e dell’IVA (di recente reintrodotto dal D. Lgs. n. 218/97) -che, peraltro, è cosa diversa dall’accertamento con adesione stesso- è inerente al rapporto tributario e alla concreta applicazione dell’imposta, con la conseguenza che tale atto, in considerazione dello scopo che ha e degli effetti che produce -quale atto necessariamente presupposto dall’avviso di accertamento (tanto vero che ad esso ha fatto seguito, nel caso di specie, la notifica di un avviso di rettifica per lo stesso anno d’imposta)- non può non essere soggetto alla giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie, dovendosi ritenere ricompreso, con interpretazione estensiva, nella nozione di avviso di accertamento[62]. 
La Corte Costituzionale, dal canto suo, ha, poi, confermato autorevolmente questo indirizzo intepretativo, ponendosi in materia all’unisono con la Cassazione, ed ha così avuto modo di affermare che, sussistendo la natura legale dell’obbligazione tributaria, tutti gli atti, sia pur mancanti di tipicità ed anzi di natura eccezionale (come, ad es., la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di condono tributario), che hanno la comune finalità dell’accertamento della sussistenza e dell’entità del debito tributario, sono tra loro equivalenti, qualunque sia la denominazione ad essi data dal legislatore; tali atti, per la suprema corte, siccome suscettibili di produrre una lesione diretta ed immediata della situazione soggettiva del contribuente, sono pure immediatamente impugnabili dinanzi ai giudici tributari[63]. 
Fatta questa debita premessa, dunque, ed evitando di occuparci ex professo della natura dell’accertamento tributario (“costitutiva”, se si ritiene che l’obbligazione tributaria sorga solo dall’atto amministrativo, o “dichiarativa”, se si opina, di contro, per la fonte legale della stessa ed il carattere dichiarativo dell’atto) e correlativamente della natura della giurisdizione tributaria (di “impugnazione-annullamento”, poiché vertente su meri interessi sottesi e legati alla sorte dell’atto impugnato, oppure di “impugnazione-merito”, perché avente ad oggetto veri diritti soggettivi ed in definitiva il rapporto tributario sostanziale, per la cui introduzione in giudizio l’impugnazione dell’atto funge da mero veicolo)[64], occorre ora dire che oggi gli atti di diniego e di revoca delle agevolazioni fiscali sono espressamente inclusi nell’elenco degli atti autonomamente ed immediatamente impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. h), del D. Lgs. n. 546/92, per cui la tipicità che connota tali atti può assumersi come derivante dal contenuto e dall’efficacia sostanziali degli stessi, più che dalla forma e dalla denominazione da loro assunta in base alle leggi che nel tempo li prevedono variabilmente, pur venendo ormai a far parte tali atti di una sola categoria unitaria normativamente contemplata.
Essi possono tranquillamente definirsi quali provvedimenti amministrativi, di natura decisoria e con efficacia dichiarativa, tendenti ad accertare la sussistenza o meno dei requisiti e delle condizioni legali da cui solamente deriva il diritto all’agevolazione.
Va infine evidenziato, peraltro, che l’avviso di recupero in esame costituisce in effetti una tipica manifestazione di provvedimento recante una pronuncia amministrativa di diniego o di revoca dell’agevolazione, equiparabile ad un avviso di accertamento, in quanto ridetermina le imposte ed i contributi dovuti, pur lasciando immodificata la relativa base imponibile. Tale fattispecie legale è stata, ad esempio, anche richiamata dal legislatore tributario in tema di condono mediante la chiusura delle liti fiscali pendenti (ex art. 16 della L. n. 289/2002), dove, infatti, sono stati pure ammessi alla definizione gli atti di diniego e di revoca di agevolazioni o di esenzioni, purchè nello stesso contesto dell’atto fossero stati quantificati anche il tributo o il maggior tributo e/o le relative sanzioni conseguentemente irrogabili[65] (come avviene, per esempio, parimenti nel caso degli avvisi di rettifica e liquidazione per revoca delle agevolazioni prima casa)[66]. Questi, come si è visto, non sono altro che gli elementi caratteristici anche dell’avviso di recupero dei crediti d’imposta illegittimamente utilizzati, dove accoppiato al provvedimento di diniego o di revoca vi è pure la determinazione del tributo preteso e dei relativi accessori (interessi e sanzioni).
5. I SUOI EFFETTI GIURIDICI: DICHIARAZIONE DI DINIEGO O REVOCA DELL’AGEVOLAZIONE, EVENTUALE RECUPERO DELL’INTERO CREDITO CONSEGUITO (EFFICACIA RETROATTIVA), POSSIBILE DEFINITIVITA’ DELL’AVVISO, ASSENZA DI PRECLUSIONI
Rifacendoci alla più consolidata ed univoca giurisprudenza, sia della Cassazione (anteriore e successiva alla istituzione della speciale sezione tributaria), che della Corte Costituzionale, nonostante innegabili contrasti manifestatisi in dottrina sull’argomento[67], possiamo, quindi, con sufficiente suffragio interpretativo asserire che l’avviso di recupero analizzato in questa circostanza, della cui natura giuridica ci siamo appena occupati, presenta i seguenti rilevanti effetti giuridici.
Esso serve innanzitutto a dichiarare la negazione o la revoca dell’agevolazione pretesa dal contribuente, posto che il diritto al contributo, suscettibile come tale di influire sull’entità dell’obbligazione tributaria normalmente dovuta dall’interessato, discende al pari di quest’ultima direttamente ex lege. Questa innegabile considerazione spinge, dunque, in favore della natura dichiarativa, piuttosto che costitutiva, dell’avviso di recupero e del suo dispositivo, contenuto nella parte motiva dell’atto; tale carattere dichiarativo si espande de plano proprio al precipuo effetto di negare o revocare l’agevolazione, che promana dall’atto, tanto è vero che restano dovute in conseguenza del diniego o della revoca tutte le imposte ed i contributi non versati (coi relativi accessori) a far data dal momento in cui il contribuente ha iniziato a beneficiare illegittimamente dell’agevolazione. Diversamente, se l’efficacia dell’atto fosse costitutiva, esso dovrebbe produrre effetti solo per l’avvenire, senza poter spingersi a porre in discussione la situazione pregressa del contribuente interessato. Anche a voler ritenere il provvedimento di diniego quale atto di annullamento in via di autotutela di una precedente concessione al contribuente del diritto ad usufruire dell’agevolazione, promanante sempre dall’amministrazione, resterebbe comunque esclusa l’efficacia retroattiva dello stesso, se non vi fosse la legge agevolativa a prevedere espressamente la necessità del recupero da parte dell’ufficio delle somme utilizzate indebitamente dal contribuente come crediti d’imposta maturati. Appare, quindi, anche più consonante con le disposizioni della normativa agevolativa de qua qualificare in termini dichiarativi l’efficacia dell’avviso di recupero, oltre che coerente con la sistemazione teorica data alla natura del provvedimento in questione in seno alla maggioritaria giurisprudenza. 
Non si spiegherebbe altrimenti come la giurisprudenza stessa abbia potuto constatare, ad esempio, che, nel passato, la normativa agevolativa prevedesse la possibilità, per il contribuente, di richiedere di beneficiare di un’esenzione addirittura senza alcun limite di tempo (salvo il rispetto delle speciali preclusioni operanti in materia tributaria) ed in specie anche in sede contenziosa, contestualmente alla proposizione dell’opposizione avverso l’atto che, esplicitamente o implicitamente, avesse escluso il beneficio, ovvero l’atto che avesse negato il rimborso di quanto fosse risultato essere stato pagato senza titolo in caso di tempestiva applicazione del beneficio stesso (ciò sempre ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs. n. 546/92 e, prima, dell’art. 16 del DPR n. 636/72)[68] . 
A fondamento dell’atto di recupero ed in esso incorporato, come già detto, vi è, quindi, il provvedimento di diniego o di revoca dell’agevolazione.
Il diniego può scaturire dal preliminare rigetto dell’apposita istanza presentata dal contribuente in base ad un obbligo di legge, quando l’amministrazione finanziaria ritiene che non sussistano nel caso concreto i presupposti ed i requisiti richiesti dalla normativa agevolativa. Ma il provvedimento di diniego può essere anche adottato, in caso di agevolazione condizionata, a causa del mancato rispetto da parte del contribuente di un termine decadenziale entro cui andava presentata (in base a disposizione di legge) una apposita denuncia atta a far conseguire o mantenere, secondo i casi, il beneficio fiscale[69]; in tale ultima ipotesi, viene sanzionata una violazione meramente formale (trattasi, infatti, di diniego per mera tardività dell’istanza di agevolazione), poiché si esime l’ufficio dallo svolgere un’indagine sostanziale sulla ricorrenza dei requisiti di legge nel caso di specie. Invero, la normativa che disciplina le modalità di conseguimento del diritto all’agevolazione può contenere anche tali eccezionali previsioni, considerato il carattere cogente e vincolante della stessa. Viceversa, non sarebbe ammissibile che disposizioni amministrative di rango inferiore alla legge possano prevedere simili condizioni che incidono pesantemente sull’ottenimento del diritto all’agevolazione, almeno secondo la prevalente opinione dottrinale e giurisprudenziale, come si è cercato di chiarire.
Diversamente, poi, la revoca è un provvedimento che interviene quando il contribuente ha già conseguito il diritto al beneficio fiscale e può escluderlo in tutto o anche solo in parte, sicchè viene ad avere di regola efficacia retroattiva, obbligando il contribuente alla restituzione di quanto già indebitamente goduto. Anche qui è da notare, ancora una volta, che non si tratta di un provvedimento discrezionale dell’amministrazione (fondato, cioè, su di una nuova valutazione di opportunità dotata di efficacia ex nunc), ma di una applicazione necessitata delle tassative ipotesi di decadenza dal beneficio già conseguito previste nella normativa agevolativa, che svolgono una fondamentale funzione antielusiva, come spiegato.
L’avviso di recupero è, infine, suscettibile di divenire definitivo per mancata impugnazione nei termini da parte del contribuente. Alla definitività dell’avviso di recupero segue, poi, l’iscrizione a ruolo delle somme dovute e la notifica della relativa cartella esattoriale, impugnabile quest’ultima, come in ogni altro caso, per vizi propri oltre che per inesistenza o nullità della notifica del propedeutico avviso di recupero[70]. E’, però, da notare, come sottolineato in giurisprudenza, che il successivo e conseguente provvedimento di iscrizione a ruolo, in caso di persistente mancato versamento delle somme dovute, può prescindere dal formarsi della definitività dell’atto, quando la revoca del beneficio non investe la determinazione del reddito imponibile, restando dunque esclusa l’applicazione dell’art. 15 del DPR n. 602/73[71]. 
Resta, infine, da osservare che l’avviso di recupero non ha alcun effetto preclusivo di fronte ad analoghe istanze di agevolazione producibili in futuro dallo stesso contribuente interessato, nel senso che, quantunque sia stata negata o revocata l’agevolazione nei suoi confronti, ciò non esclude che, poi, mutate le circostanze del caso, gli sia possibile richiedere ex novo l’applicazione dei benefici fiscali ed ottenerli in costanza della nuova situazione in cui egli venga a trovarsi. 
6. RILIEVI CONCLUSIVI
Dal discorso che si è venuto svolgendo emergono alcuni punti fermi su cui conviene ritornare per ribadirli.
Spiccata rilevanza ha l’eventuale carattere eccezionale che può assumere la legge che istituisce e regolamenta l’agevolazione fiscale; è per questo che con essa è possibile anche derogare ai principi generali dell’ordinamento tributario stabiliti nello Statuto del contribuente, che del resto hanno mero valore ermeneutico..
Inoltre, il provvedimento di diniego o di revoca del beneficio, sottoposto di solito ad una rigida disciplina legislativa, ha ordinariamente efficacia dichiarativa ed esplica effetti anche retroattivi, prescrivendo, come di regola avviene, il recupero a favore del Fisco di somme illegittimamente utilizzate dal contribuente, qualora non spettasse il bonus fiscale; ovviamente, con riferimento al diritto all’agevolazione fino ad allora fruito, ne inibisce anche il futuro godimento, salvo il conseguimento da parte del contribuente di un nuovo diritto al beneficio in base a diversi presupposti.
Nell’avviso di recupero possono ravvisarsi tutti i caratteri propri del provvedimento di diniego in aggiunta alla liquidazione delle somme pretese dall’amministrazione finanziaria; esso, alla stregua di un ordinario avviso di accertamento, cui è pienamente assimilabile, può essere immediatamente impugnato, può acquistare definitività per mancata impugnazione della parte a ciò interessata e non è preclusivo per il contribuente del conseguimento di un ulteriore diritto al godimento del beneficio fiscale con esso disconosciuto.
Fonte: Giancarlo Settimio TOTO - Funzionario tributario della Direzione Regionale Entrate della Campania
CIRCOLARE

[1] Cfr., ad esempio, anche per ulteriori richiami: N. D’Amati, Agevolazioni ed esenzioni tributarie, in Noviss. Dig. It., Appendice, vol. I, Torino, 1980, pp. 153-155 e pp. 163-164; R. Zennaro e F. Moschetti, Agevolazioni fiscali, in Dig. IV ediz.-Discipline Privatistiche-Sez. Comm.le, vol. I, Torino, 1987, pp. 64-66 e pp. 77-78; M. Basilavecchia, Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni (diritto tributario), in Enc. Dir., Aggiornamento, vol. V, Milano, 2001, pp. 48-50; S. La Rosa, Esenzione (a) Diritto tributario), in Enc. Dir., vol. XV, Milano, 1966, pp. 567-569; Idem, Esenzioni ed agevolazioni tributarie, in Enc. Giur. It., vol. XIII, Roma, 1989, pp. 1-3; Idem, Le agevolazioni tributarie, in A. Amatucci (diretto da), Trattato di diritto tributario, vol. I, tomo I, Padova, 1994, pp. 401-406. 
[2] Per alcune notazioni ministeriali in merito si veda la Circolare 18 settembre 1998 n. 219/E, al punto 7, http://dt.finanze.it e in Il fisco, n. 36/1998, pp. 11929 e ss.
[3] In verità questa disposizione, citata nel testo, sembra inopportuna oltre che impropria, considerato che la materia fiscale, in cui si inserisce anche la disciplina delle agevolazioni, è retta dalla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.; perciò, nella fattispecie esaminata giammai disposizioni ministeriali (fonte di grado inferiore rispetto alla legge formale) potrebbero ampliare il novero delle ipotesi già legislativamente previste di decadenza dal diritto al credito di cui si discorre (sul rapporto tra la norma agevolativa ed il principio di legalità, in specie, si vedano: N. D’Amati, Agevolazioni ed esenzioni tributarie, cit., p. 163, in nota 24; R. Zennaro e F. Moschetti, Agevolazioni fiscali, cit., pp. 73-74; M. Basilavecchia, Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni (diritto tributario), cit., p. 56; S. La Rosa, Esenzione (a) Diritto tributario), cit., pp. 572-573; Idem, Esenzioni ed agevolazioni tributarie, cit., pp. 3-4).
Altra cosa è, invece, la disciplina dettagliata delle modalità operative dei controlli da effettuare al fine di verificare il rispetto della normativa agevolativa in genere e la ricorrenza delle cause di decadenza dal beneficio, la quale, sia pure nei limiti delle previsioni legislative in materia, ben può essere devoluta ad una fonte di rango subordinato alla legge ordinaria (quale il decreto ministeriale), posto che comunque l’amministrazione finanziaria, cui è istituzionalmente attribuito il compito del controllo, farà uso dei suoi ordinari poteri di accertamento intesi ad applicare la normativa tributaria secondo le consuete modalità di esercizio (si rammenti il disposto degli artt. 32, 33 e ss. del DPR n. 600/73 e degli artt. 51, 52 e ss. del DPR n. 633/72). In effetti, si è poi successivamente avuto il D. M. 3 agosto 1998 n. 311 (pubblicato in Gazz.Uff. serie generale n. 199 del 27/09/1998), con il quale sono state disciplinate sinteticamente le tipologie di controllo da avviare (mediante ordinarie ispezioni da parte degli uffici competenti) (art. 7) ed i casi di revoca dell’agevolazione con conseguente recupero delle somme dovute e contestuale applicazione delle sanzioni di legge (mediante espresso rinvio alle disposizioni già contenute nell’art. 4 della L. n. 449/1997) (art. 8). 
[4] Già citata supra in nota n. 2.
[5] Invero, la citata circolare si riferisce in proposito alla verifica in sede di controllo anche di una sola delle violazioni previste dall’art. 8 del D. M. n. 311/1998, lettere a), b), c) e d), dovendosi, però, verificare nel caso dell’ultima lettera menzionata pure la contemporanea assenza delle condizioni sostanziali previste dall’art. 4, comma 5 della L. n. 449/97.
[6] Cfr.: G. Berardo e V. Dulcamare, Il credito d’imposta a favore delle aree svantaggiate fra monitoraggio e decadenza, in Corr. Trib., n. 16/2003, p. 1286.
[7] Le menzionate circolari sono direttamente consultabili in http://dt.finanze.it .
[8] Disposizioni in merito sono contenute specificamente nella su riferita circolare n. 41/E del 2001, al punto 7.
[9] La c. d. Tremonti-bis, di cui all’art. 4 della Legge 18 ottobre 2001 n. 383, ha introdotto, poi, anche in materia di agevolazioni per i nuovi investimenti finalizzati al rilancio dell’economia generale (fruibili su tutto il territorio nazionale), la fattispecie della “revoca dell’agevolazione” (al comma 6 del citato art. 4), che è prevista nel caso in cui i beni oggetto dell’investimento vengano ceduti a terzi, dimessi, destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore o del lavoratore autonomo, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa o dell’attività di lavoro autonomo, entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello della loro acquisizione o ultimazione, ovvero entro il quinto periodo d’imposta successivo in caso di beni immobili (si veda al riguardo la Circolare 17 ottobre 2001 n. 90/E, al punto 4, http://dt.finanze.it). Conseguentemente, a seguito della revoca in questione, dovrà procedersi alla rideterminazione del reddito imponibile relativo all’esercizio in cui si è verificato uno degli eventi sopra indicati, seguendo le delucidazioni riportate anche nella suddetta circolare. 
[10] Ci si riferisce, in particolare, alle disposizioni di cui all’art. 2 del D. L. 7 febbraio 1985 n. 12, conv. in L. 5 aprile 1985 n. 118, all’art. 3 della L. 31 dicembre 1991 n. 415, all’art. 1 del D. L. 23 gennaio 1992 n. 16, conv. in L. 24 marzo 1993 n. 75, ed all’art. 7 della L. 23 dicembre 1998 n. 448.
[11] Cfr.: R. Zennaro e F. Moschetti, Agevolazioni fiscali, cit., pp. 70 e 74; M. Basilavecchia, Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni (diritto tributario), cit., p. 59; S. La Rosa, Esenzione (a) Diritto tributario), cit., pp. 572-573; Idem, Esenzioni ed agevolazioni tributarie, cit., p. 6. Contra: N. D’Amati, Agevolazioni ed esenzioni tributarie, cit., p. 163, il quale ritiene che in materia tributaria, premesso che le esenzioni o le agevolazioni in generale “non limitano, ma integrano, …, la disciplina tributaria della particolare fattispecie giuridica”, “è, peraltro, ovvio che, non essendo la riserva di legge assoluta, ma relativa, modifiche alle norme tributarie possono essere apportate da fonti normative di grado inferiore quando non si tratti di materia esclusiva”. 
[12] Cfr. da ultimo: Cass., sez. trib., sent. 26 aprile 2004 n. 7943, http://dt.finanze.it; Cass., sez. trib., sent. 17 dicembre 2003 n. 19372, ivi; Cass., sez. trib., sent. 9 maggio 2003 n. 711, ivi; Cass., sez. trib., sent. 18 marzo 2002 n. 3925, ivi. Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali cfr.: R. Zennaro e F. Moschetti, Agevolazioni fiscali, cit., p. 71, in nota n. 38.
[13] Cfr.: C. T. C., sez. XII, dec. 5 ottobre 1984 n. 8557, in Comm. Trib. Centr., 1984, I, 618; C. T. C., sez. XII, dec. 25 giugno 1980 n. 6832, ivi, 1980, I, 681; C. T. C.., sez. XI, dec. 27 novembre 1980 n. 11534, in Giur. Imp., 1981, 697; C. P. Padova dec. 23 novembre 1979 n. 602, in Giust. Civ. Rep.,1981, II, p.1688; ulteriori riferimenti sono citati in R. Zennaro e F. Moschetti, Agevolazioni fiscali, cit., p. 74, in nota n. 72.
[14] Cfr.: Cass., sez. trib., sent. 24 gennaio 2001 n. 1004, http://dt.finanze.it , conf.: Cass., sez. trib., sent. 29 agosto 2002 n. 12655, Cass., sez. trib., sent., 21 maggio 2002 n. 7403, Cass., sez. trib., sent. 24 aprile 2002 n. 6031, tutte ivi; Cass., sez. trib., sent. 17 dicembre 2003 n. 19372, ivi; Cass. civ., sez. I, sent. 15 aprile 1985 n. 2482, in Giust. Civ. Rep., 1985, I, 1680, conf.: Cass. civ., sez. I, sentt. 15 aprile 1985 nn. 2483, 2484, 2485, tutte ibidem; C. T. C., sez. XXIV, dec. 18 settembre 1984 n. 8111, in Comm. Trib. Centr., 1984, I, 541; Cass. civ., sez. I, sent. 26 maggio 1981 n. 3459, in Giust. Civ. Rep., 1981, II, 3623, conf.: Cass. civ., sez. I, sentt. 9 novembre 1981 nn. 5915 e 5917, ibidem. 
[15] Cfr. le sentenze della Cassazione citate nella nota precedente n. 1004/2001, n. 12655/2002, n. 7403/2002 e n. 6031/2002.
[16] Cfr. in dottrina: R. Zennaro e F. Moschetti, Agevolazioni fiscali, cit., pp. 71-72; M. Basilavecchia, Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni (diritto tributario), cit., pp. 59-60; S. La Rosa, Esenzioni ed agevolazioni tributarie, cit., p. 5.
In giurisprudenza si vedano le pronunce già citate sopra in nota n. 12.
[17] Cfr.: S. La Rosa, Esenzioni ed agevolazioni tributarie, cit., p. 5.
[18] Cfr.: S. La Rosa, Esenzione (a) Diritto tributario), cit., pp. 572-573. Contra: N. D’Amati, Agevolazioni ed esenzioni tributarie, cit., p. 163, in nota n. 24, il quale sostiene viceversa e più problematicamente che “la soluzione, tuttavia, non può essere così netta: il principio di legalità non si può ritenere scalfito per il fatto che la concessione dell’agevolazione venga condizionata, con atti normativi diversi dalle leggi, ad alcuni adempimenti che ne rendono più efficace il controllo; si tratta, semmai, di vedere, caso per caso, se tali adempimenti siano tali da precludere effettivamente l’accesso al beneficio, in contrasto con la norma di esenzione; in questo caso, però, non si può ritenere violato l’art. 23 (perché una norma d’imposizione a carattere generale esiste), ma l’eventuale diversa norma costituzionale alla quale è ricondotto il beneficio tributario”. 
[19] Cfr. criticamente sul punto: A. Amatucci, L’interpretazione della legge tributaria, in Idem (diretto da), Trattato di diritto tributario, vol. I, tomo 2, Padova, 1994, p. 603, il quale cita pure (in nota n. 14) giurisprudenza di Cassazione, la quale ritiene vietata la retroattività solo riguardo a diritti quesiti costituzionalmente tutelati anche indirettamente, quali non sono le posizioni debitorie o creditorie scaturenti dall’esenzione tributaria e contributiva, che non rientrano nel novero dei diritti soggettivi garantiti dalla carta costituzionale (Cass. civ. sent. n. 1323/1983).
Sempre in giurisprudenza anche la decisione della C. T. C., sez. XXIV, 18 settembre 1984 n. 8111 (citata supra in nota n. 14) , incidentalmente, ammette che la normativa tributaria possa derogare alla consueta efficacia ex nunc della domanda di applicazione del beneficio fiscale.
[20] Cfr. sul punto, in giurisprudenza, la decisione della C. T. C. citata da ultimo nella nota precedente.
In dottrina, cfr.: S. La Rosa, Esenzioni ed agevolazioni tributarie, cit., p. 6; Idem, Esenzione (a) Diritto tributario), cit., p. 571; M. Basilavecchia, Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni (diritto tributario), cit., p. 59; R. Zennaro e F. Moschetti, Agevolazioni fiscali, cit., p. 70.
[21] Per alcuni commenti dottrinali alla disciplina sostanziale risalente a tale primigenia configurazione delle agevolazioni esaminate, cfr. ad esempio: F. Mattarelli, Questioni relative alle agevolazioni fiscali per le “aree svantaggiate”. Art. 8 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, in Il fisco, n. 35/2001, p. 11631 e ss.; R. M. Simone, Gli incentivi alle imprese. Valutazioni di convenienza fiscale tra l’art. 8 della L. n. 388/2000 e la L. n. 488/1992, ivi, n. 32/2001, p. 10935 e ss.; Idem, I principali chiarimenti della circolare n. 38/E del 9 maggio 2002 relativi al bonus investimenti ex art. 8 della L. n. 388/2000, ivi , n. 27/2002, p. 10349 e ss.; M. Clementi e G. Luschi, Investimenti nelle aree svantaggiate di cui all’art. 8 della L. 23 dicembre 2000, n. 388. Spunti di riflessione e profili comparativi con le altre norme agevolative, ivi , n. 47/2001, p. 14974 e ss.; E. Zanetti, La disciplina dell’incentivo per investimenti nelle aree svantaggiate e il “difficile” rapporto con la Tremonti-bis, ivi , n. 1/2002, p. 50 e ss.; G. Berardo e V. Dulcamare, Il credito d’imposta per gli investimenti nelle aree svantaggiate, in Corr. Trib., n. 16/2001, p. 1187 e ss.; Eidem,L’Agenzia delle entrate chiarisce l’applicazione dell’art.8 della Finanziaria 2001 (commento alla circolare 9 maggio 2002 n. 38/E), ivi, n. 23/2002, p. 2096 e ss.; Eidem, Ancora dubbi sul credito d’imposta per gli investimenti nelle aree svantaggiate, ivi, n. 5/2002, p. 400 e ss.
Con specifico riguardo alla c. d. Tremonti-bis (cioè, all’art. 4 della Legge 18 ottobre 2001, n. 383), vedasi, tra gli altri: G. Ferranti, I primi chiarimenti sulla “Tremonti-bis”: l’investimento in beni immobili (commento alla circolare 17 ottobre 2001 n.90/E), in Corr. Trib., n. 43/2001, p. 3209 e ss.; L. Miele, La detassazione “Tremonti-bis” e la cumulabilità con altre agevolazioni, ivi , p. 3225 e ss.
[22] Cfr. in dottrina, su questa diversa disciplina dell’agevolazione in parola: R. M. Simone, Il punto sul bonus investimenti di cui all’art. 8 della L. n. 388/2000, dopo la conversione in legge del decreto legge omnibus 8 luglio 2002, n. 138, in Il fisco, n. 35/2002, p. 13170 e ss.; B. Ianniello, Le modifiche alla disciplina del credito d’imposta per le aree svantaggiate. L’estensione del credito d’imposta per gli investimenti nelle aree svantaggiate (commento al D. L. 8 luglio 2002 n. 138, art. 10 ed alla relativa circolare 6 agosto 2002 n. 66/E), in Corr. Trib., n. 36/2002, p. 3240 e ss.; G. Berardo e V. Dulcamare, L’Agenzia delle entrate chiarisce il “nuovo” credito d’imposta per le aree svantaggiate, ivi , n. 33/2002, p. 3003 e ss.
[23] Si veda in merito la Circolare 3 giugno 2003 n. 32/E, al punto 3.1.2, http://dt.finanze.it.
In dottrina, cfr. al riguardo: M. Camerino, Credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate. Chiarimenti ed altre novità, in Il fisco, n. 40/2003, p. 6293.
[24] Su questa travagliata vicenda legislativa vedasi, in dottrina, per molteplici e svariati profili di novità della legislazione cui si è accennato nel testo: M. Camerino, Credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate. Chiarimenti ed altre novità, cit., p. 16354; G. Berardo e V. Dulcamare, Il “bonus investimenti” diventa operativo (commento alle risoluzioni dell’Agenzia delle entrate 28 gennaio 2003 , n. 16/E e 5 febbraio 2003, n. 23/E), in Corr. Trib., n. 8/2003, p. 651 e ss.; Eidem, Il credito d’imposta a favore delle aree svantaggiate fra monitoraggio e decadenza, cit., p. 1285 e ss.; B. Ianniello, Aspetti applicativi della “Tremonti-Sud” (commento alle risoluzioni del 22 gennaio 2003, n. 11/E e n. 13/E), ivi, n. 9/2003, p. 750 e ss.
[25] Il provvedimento può tra l’altro leggersi anche in Boll. Trib., n. 3/2003, n. 183.
[26] Cfr. sul punto, anche per altri rinvii: M. Pollarolo, Il blocco degli investimenti nelle aree svantaggiate viola lo statuto del contribuente (commento adesivo alla decisione della CTP di Caltanissetta del 10 marzo 2004, n. 26), www.rivista.ssef.it , n. 4/2004. Nella sentenza esaminata dal citato articolo si ha riguardo ai profili di illegittimità del D. L. n. 253/2002 e della L. n. 289/2002 sempre per violazione dell’art. 3 dello Statuto del contribuente, in quanto con la prima norma si disponeva la sospensione immediata dell’utilizzo dell’agevolazione e con la seconda si confermava la precedente, prevedendo per l’appunto l’efficacia retroattiva della sospensione in essa stabilita; in tal modo si sarebbe perpetrata una violazione della suddetta norma statutaria, che sancisce specifici termini dilatori per l’entrata in vigore delle nuove disposizioni tributarie (di sessanta giorni) e l’irretroattività delle stesse, principi entrambi disattesi nel caso di specie. Sulla base di queste argomentazioni, quindi, la commissione adita ha annullato l’avviso di recupero del credito utilizzato, emanato sulla scorta delle menzionate disposizioni normative in un caso di indebito utilizzo del credito nel periodo di sospensione (c. d. blocco) della possibilità di fruirne da parte degli interessati. 
[27] Sulla c. d. clausola di fissità o principio di stabilità, che è stato posto a fondamento della normativa di principio contenuta nello Statuto del contribuente, cfr., tra i tanti contributi in dottrina, l’articolo citato nella nota precedente, anche per ulteriori rinvii, ed inoltre: G. Falcone, Il valore dello Statuto del contribuente, in Il fisco, n. 36/2000, p. 11038 e ss.; C. Buccico, Lo Statuto del contribuente. Principi e lacune, ivi , n. 19/2001, p. 7005 e ss.
In particolare, sul tema della irretroattività delle disposizioni tributarie a mente dell’art. 3 dello Statuto, cfr.: G. Bernoni, Sentenze della Cassazione e Statuto del contribuente, in Il fisco, n. 28/2001, p. 9508 e ss. 
[28] Cfr., per tutti, V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, L’ordinamento costituzionale italiano (Le fonti normative), 6° ediz. Aggiornata, Padova, 1993, p. 214. L’A. segnala anche l’esempio dell’art. 1 della Legge 8 giugno 1990 n. 142, che, “nel qualificarsi “legge generale” ai sensi dell’art. 128 Cost., dispone l’inderogabilità dei propri principi ad opera di leggi successive, se non mediante “espressa modificazione delle sue disposizioni” ”; ora, l’A. acutamente osserva che “sebbene qui si tratti di deroga e non di abrogazione (la deroga operando peraltro, … , come una forma limitata di abrogazione) val bene quale esempio”: “premesso infatti che l’art. 128 Cost. nulla dice in ordine alla derogabilità delle “leggi generali della Repubblica” che menziona (e la disposizione è comunemente intesa come un’esclusione della potestà regionale di disporre nell’area riservata a tali leggi), si può fondatamente dubitare della legittimità di siffatta limitazione della funzione legislativa (statale) futura”.
E’ da osservare, inoltre, che la L. n. 142/1990 è stata, poi, abrogata e trasfusa nel D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, il cui art. 1, comma 4, riporta la medesima disposizione sopra commentata, imponendo il divieto di deroghe implicite al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al citato decreto. E’ risaputo, però, come sia la futura legislazione statale, sia l’autonomia normativa pur riconosciuta, a livello statutario, a Comuni e Province possano comunque superare il limite inderogabile teoricamente fissato nel vigente T. U. enti locali rispettivamente sia in senso orizzontale, che in senso verticale. Del resto, già con riguardo all’analogo principio contenuto nella previgente L. n. 142/1990 era stato già osservato quanto segue. “La legge 142/1990 è legge tanto più importante in quanto di diretta attuazione della Costituzione in una materia in cui la disciplina costituzionale è del tutto carente.E’ noto, infatti, che la Costituzione si limita a riconoscere e tutelare l’esistenza di Comuni e Province, senza però disciplinarne direttamente alcun aspetto organizzativo e funzionale e rinviando, appunto, per la loro regolamentazione ad una legge generale di principi”. “Trova così giustificazione la previsione di cui al 3° comma dell’art. 1 in esame per la quale non sono ammesse modifiche tacite della Legge 142/1990 da parte di leggi della Repubblica, e perciò sia statali che regionali, successive nel tempo. Si tratta naturalmente di una disposizione che ha un significato politico, di richiamo per il futuro legislatore, piuttosto che un valore più propriamente giuridico; ciò in forza della considerazione che la legge 142/1990 è comunque legge ordinaria, e perciò dotata della forza propria di tali atti, e come tale destinata a “cedere” nei confronti di una eventuale altra legge ordinaria successiva nel tempo” (R. Lipparini, in L. Papiano, L’autonomia locale. Commentario alla legge 8 giugno 1990 n. 142 sulle autonomie locali, Bologna, 1991, p. 11).
Non vediamo, pertanto, come possano non sottoscriversi queste puntuali e chiare osservazioni svolte con riguardo alla L. n. 142/1990 anche con riferimento all’analoga disposizione normativa di cui all’art. 1, comma 1 della L. n. 212/2000 (c. d. Statuto del contribuente). 
[29] Sempre secondo il Crisafulli (op. cit., p. 207), detto principio della lex posterior è “limitato di regola dall’altro della “irretroattività” delle leggi” e “risulta spesso temperato -in pratica- dalla prevalenza accordata alla norma anteriore, se “speciale”, nei confronti di quella successiva, “generale” ”. Infatti, in base ad un mero criterio quantitativo una norma (qualsiasi norma) può essere più o meno generale in dipendenza dell’ampiezza della materia regolata (cfr.: V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, I, Introduzione al diritto costituzionale italiano, 2° ediz., Padova, 1970, 21). 
[30] Cfr. ancora V. Crisafulli, op. cit, II, 1, p. 59, dove viene sottolineato che il principio dell’irretroattività di cui all’art. 11 delle Preleggi non vale per le leggi “formali” ordinarie, che possono derogarvi salvo che in materia penale in cui vige il disposto dell’art. 25 Cost.
[31] Cfr. per tutti: C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, tomo I, 9° ediz., Padova, 1975, p. 307. L’A. svolge, tra l’altro, l’acuta osservazione secondo cui, in sintesi, “ogni gruppo di norme è speciale rispetto ad altre, in definitiva, a meno che non ve ne siano di “universali” ” .
[32] L’esempio è fatto proprio dall’A. citato nella nota precedente e nell’op. e locuz. ivi indicate.
[33] Per un esempio di questo orientamento dottrinale cfr., per tutti ed anche per altri rinvii, M. Pollarolo, Il blocco degli investimenti nelle aree svantaggiate viola lo statuto del contribuente (commento adesivo alla decisione della CTP di Caltanissetta del 10 marzo 2004, n. 26), cit. , p. 3.
[34] Cfr.: Cass., sez. trib., sent. 14 aprile 2004 n 7080, http://dt.finanze.it; Cass., sez. trib., sent. 10 dicembre 2002 n. 17576, ivi e in Il fisco, n. 1/2003, 137 e ss.; Cass., sez. trib., sent. 30 marzo 2001 n. 4760, http://dt.finanze.it
[35] Cfr.: N. D’Amati, Agevolazioni ed esenzioni tributarie, cit., p. 163; R. Zennaro e F. Moschetti, Agevolazioni fiscali, cit., pp. 84-85; S. La Rosa, Esenzione (a) Diritto tributario), cit., pp. 571-572.
[36] Invero, la stessa Cassazione ha già fatto virtuale applicazione dei principi statutari quali criterio interpretativo da seguire in casi dubbi, pur non potendoli praticamente applicare in base al principio tempus regit actum, in quanto trattavasi della decisione di situazioni sorte ed esauritasi precedentemente all’entrata in vigore dello Statuto. Così, ad esempio, in una pronuncia (Cass., sez. trib., sent. 27 agosto 2001 n. 11274, http://dt.finanze.it) è stato applicato l’art. 3 della L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente), sia per quanto riguarda la violazione del principio di irretroattività che quella del termine dilatorio minimo di sessanta giorni posto a tutela del diritto di difesa del contribuente, in un caso di erroneo utilizzo della procedura dell’accertamento parziale, introdotta dall’art. 3 della Legge 30 dicembre 1990 n. 413, con effetto dal 1° gennaio 1992, per periodi di imposta precedenti l’entrata in vigore della citata legge; infatti, costituisce di certo una questione interpretativa quella afferente il dubbio circa l’estensione dell’efficacia della L. n. 413/1991 anche a periodi di imposta anteriori alla sua emanazione, visto che essa nulla disponeva al riguardo.
In un’altra pronuncia, poi, (Cass., sez. trib., sent. 22 dicembre 2000 n. 16097, http://dt.finanze.it) è stato ritenuto applicabile l’art. 6 dello Statuto, concernente il divieto di richiedere al contribuente documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria, in una fattispecie in cui si era di fatto verificato un contrasto interpretativo circa l’applicazione dell’art. 145 c.p.c. (norma generale) e l’art. 35 del DPR n. 633/1972 (norma speciale) in materia di esatta individuazione del rappresentante legale destinatario della notifica di un atto diretto alla società rappresentata; in tal caso, il dubbio andava risolto, secondo il supremo collegio, in base alle comunicazioni ufficiali di variazione del soggetto rappresentante già presentate dalla società all’A. F., senza addossare ancora al contribuente le conseguenze della mancata esibizione di ulteriori documenti richiesti dall’ufficio procedente, atteso che “a nulla rileva il fatto che la variazione risultasse (anche) da altri atti”. 
[37] Cfr.: G. Berardo e V. Dulcamare, Il credito d’imposta a favore delle aree svantaggiate fra monitoraggio e decadenza, cit , pp. 1289-1290.
[38] Cfr. ad es.: A. Giordano, Riflessioni in materia di tutela dell’affidamento del contribuente, www.rivista.ssef.it, n. 8-9/2004.
[39] Vedasi la Circolare n. 32/E/2003, al punto 3.1, già citata supra in nota n. 23.
[40] Ci si riferisce alla Circolare 3 giugno 2003 n. 31/E, http://dt.finanze.it, ed alla Nota della D. R. E. della Sicilia 12 giugno 2003- Prot. n. 2003/54341, sul relativo sito intranet e in Italia oggi del 30/07/2003. 
[41] Cfr. per una ulteriore conferma di questa tesi la risposta ad un quesito pubblicata nella rubrica dedicata alla Consulenza, in Boll. Trib., n. 22/2003, p. 1678.
[42] Cfr. in merito la Risoluzione dell’Agenzia delle entrate 22 gennaio 2003 n. 11/E, http://dt.finanze.it e in Il fisco, n. 4/2003, p. 619 e ss.; in dottrina si veda pure: B. Ianniello, Aspetti applicativi della “Tremonti-Sud” (commento alle risoluzioni del 22 gennaio 2003, n. 11/E e n. 13/E), cit. , p. 750. 
[43] Si veda al riguardo la Circolare dell’Agenzia delle entrate 14 agosto 2002 n. 72/E, al punto 8, http://dt.finanze.it.
[44] La circolare è consultabile: http://dt.finanze.it.
[45] Il provvedimento è stato citato supra in nota n. 25.
[46] Cfr., in giurisprudenza, in questo senso, con riferimento all’esenzione venticinquennale dall’imposta fabbricati, ai sensi dell’art. 15 della Legge 6 agosto 1967 n. 765: Cass. civ., sez. I, sent. 7 maggio 1991 n. 5028, in Giust. Civ. Rep., 1991, I, p. 1905; Cass. civ., sez. I, sent. 26 aprile 1991 n. 4615, ibidem e in Comm. Trib. Centr., 1991, II, p. 1472.
[47] Cfr. chiaramente sul punto in dottrina: F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. I. Parte generale, 6° ediz., Torino, 1999, p. 169 e ss.
[48] Cfr. in dottrina: F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. I. Parte generale, cit., p. 170; A. Fantozzi, Diritto tributario, 3° ediz., Torino, 2003, p. 257; R. Lupi, Manuale professionale di diritto tributario, 2°.ediz., Milano, 1999, pp.268-269.
[49] Cfr.: R. Lupi, Diritto tributario. I. Parte generale, 7° ediz., Milano, 2000, 167-168; A. Fantozzi, Diritto tributario, cit., p. 257, in nota n. 31, ove anche ulteriori rinvii.
[50] Cfr.: S. La Rosa, Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, p. 112.
[51] Cfr.: P. Russo, Manuale di diritto tributario. I. Parte generale, 4° ediz., Milano, 2002, p. 282.
[52] Cfr.: R. Lupi, Manuale professionale di diritto tributario, cit., p. 267 e in nota n. 52, il quale A. si rifà ad un preciso insegnamento giurisprudenziale (Cass. civ., sez. I, sent. 1 marzo 1991 n. 2174, in Giust. Civ. Rep., 1991, II, 2181 e in Comm. Trib. Centr., 1991, II, p. 1036). 
[53] Per un riepilogo di queste diverse impostazioni dottrinali e giurisprudenziali cfr.: A. Fantozzi, Diritto tributario, cit., p. 258 e in nota n. 32.
[54] Cass., sez. trib., sent. 22 novembre 2002 n. 16464, http://dt.finanze.it ; Cass., sez. trib., sent. 24 aprile 2002 n. 6029, ivi; Cass., sez. trib., sent. 20 novembre 2001 n. 14582, ivi.
[55] Cfr. : M. Basilavecchia, Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni (diritto tributario), cit., p. 60.
[56] Cfr.: Cass., sez. trib., sent. 9 maggio 2003 n. 7116, http://dt.finanze.it; contra: CTR Lazio, sez. 8°, dec. 18 gennaio 2004 n. 150021, ivi, per la quale, invece, l’atto di riconoscimento dell’esenzione non è propriamente dichiarativo della situazione giuridica, ma è altresì costitutivo del rapporto tributario e si inscrive nella categoria dei provvedimenti amministrativi dalla dottrina e dalla giurisprudenza definiti di “accertamento costitutivo”; perciò, sempre secondo tale decisione, il pagamento delle imposte avvenuto prima della verifica della sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti dalla legge non si configura quale versamento su obbligo inesistente, ma, al contrario, come atto dovuto dal contribuente nell’attesa della pronuncia amministrativa.
Si rammenta, però, che l’orientamento prevalente della Cassazione è di segno nettamente contrario, facendo discendere direttamente ex lege il diritto all’agevolazione, tanto che si ritiene che il contribuente abbia anche diritto al rimborso delle imposte pagate indebitamente prima di ottenere l’eventuale concessione dell’esenzione o dell’agevolazione di cui trattasi; si vedano al riguardo le pronunce più sopra citate in nota n. 12.
[57] Cfr.: Cass. civ., sez. I, sent. 25 novembre 1980 n. 6262, http://dt.finanze.it.
[58] Cfr.: Cass., sez. un., sent. 3 febbraio 1980 n. 661, http://dt.finanze.it.
[59] Cfr.: Cass. civ., sez. I, sent. 13 novembre 1986 n. 6647, http://dt.finanze.it.
[60] Cfr.: Cass. civ., sez. I, sent. 14 novembre 1990 n. 11006, http://dt.finanze.it; Cass. civ., sez. I, sent. 7 settembre 1991 n. 9429, in Giust. Civ. Rep., 1991, II, 2178; Cass. Civ., sez. I, sent. 21 ottobre 1995 n. 10992, ivi, 1995, II, 2429.
[61] Cfr.: Cass. civ., sez. I, sent. 7 dicembre 1996 n. 10926, http://dt.finanze.it, cui adde C.T.C., sez. V, dec. 10 luglio 1997 n. 3783, ivi. 
[62] Cfr.: Cass., sez. un., sent. 26 marzo 1999 n. 185, http://dt.finanze.it.
[63] Cfr.: C. Cost., sent. 6 dicembre 1985 n. 313, http://dt.finanze.it ; C. Cost., sent. 1 aprile 1982 n. 63, ivi.
[64] Cfr. sul punto, ad esempio: Cass. civ., sez. I, sent. 17 maggio 1984 n. 3047, in Rass. Trib., 1984, II, 457. In proposito ci permettiamo di rinviare pure, per ulteriori cenni alla tematica, al nostro seguente lavoro: G. S. Toto, Ancora sul giudicato tributario, in Giur. Merito, n. 4/2004, pp. 825-827.
[65] Cfr. l’interpretazione offerta in merito dalla Circolare dell’Agenzia delle entrate 21 febbraio 2003 n. 12/E, al punto 11.3.2, http://dt.finanze.it.
[66] Cfr.: A. Buscema, La Cassazione sulla chiusura delle liti pendenti. Non è definibile la controversia concernente l’atto meramente esattivi, http://fiscooggi.it, edizione del 15 aprile 2004, p. 1.
[67] Basta consultare la parte generale di tutta la manualistica tributaria in materia di natura dell’obbligazione tributaria e dell’atto di accertamento per avere riscontro di questo acceso dibattito.
[68] Cfr., in tema di agevolazioni tributarie consistenti nell’esenzione decennale dall’ILOR -per gli stabilimenti industriali da impiantare nei territori del mezzogiorno- e nella riduzione decennale dell’IRPEG -per le imprese costituite in forma societaria nei territori medesimi-, previste dagli artt. 101 e 105 del DPR 6 marzo 1978 n. 218: Cass., sez. trib., sent. 18 marzo 2002 n. 3925, gia citata supra in nota n. 12; conf.: Cass. civ., sez. I, sent. 21 ottobre 1995 n. 10992, cit. in nota n. 60. 
[69] Cfr., in tema di agevolazioni tributarie concesse nel settore edilizio: Cass. civ., sez. I, sent. 20 aprile 1994 n. 3772, in Giust. Civ. Rep., 1994, I, 2096, e in Riv. Dir. Trib., 1994, II, 408.
[70] Cfr., ad es., ex multis: Cass. Civ., sez. I, sent. 12 settembre 1997 n. 9032, in Giust. Civ. Rep., 1997, I, 449-450.
[71] Cfr.: Cass. civ., sez. I, sent. 9 aprile 1992 n. 4360, in Giust. Civ. Rep., 1992, I, 2027, la quale verte in tema di esenzione venticinquennale dall’imposta sul reddito dei fabbricati, trattandosi di un caso in cui la revoca conseguiva all’accertamento di una infrazione edilizia cui era immediatamente seguita l’iscrizione a ruolo dell’imposta medesima.

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