ANCHE I COSTI DELLE FATTURE FALSE SONO DEDUCIBILI

I costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti sono deducibili in quanto trova applicazione un regime probatorio differente rispetto all'Iva. A confermare questo importante principio è la Cassazione con la sentenza 9537/2011 depositata il 29 aprile 2011.
A una società coinvolta in una frode "carosello" nella commercializzazione di metalli non ferrosi, veniva contestata l'indeducibilità dei costi sostenuti. La rettifica era anche supportata dal riconosciuto coinvolgimento nella frode dell'amministratore della società, nell'ambito del procedimento penale.
La Suprema Corte, accogliendo, invece, le tesi del contribuente ha riformato la pronuncia della commissione regionale rilevando un vizio nella motivazione e ribadendo, nel contempo, la validità di un orientamento, favorevole al contribuente, in tema di deducibilità dei costi da parte dell'utilizzatore di fatture soggettivamente false.
La sentenza pone l'accento sul fatto che il regime probatorio dei costi, nella ricostruzione del reddito di impresa in sede conteziosa, ha subìto nel corso degli anni un sicuro ampliamento. Infatti, nell'articolo 75 del vecchio Tuir è stata inserita la previsione che i costi sono ammessi in deduzione anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, allorché sussistano elementi certi e precisi attraverso i quali il contribuente può dimostrare di averli effettivamente sostenuti. Va detto che nei giudizi tributari, non di rado, questo principio non viene applicato dai giudici.
La sentenza, poi, precisa che mentre in tema di Iva, a fronte di fatture soggettivamente inesistenti, stante l'assenza di uno dei requisiti essenziali della fatturazione (il soggetto emittente), l'amministrazione può pretendere l'indetraibilità del tributo, salvo il contribuente non provi la sua buona fede e pertanto la totale estraneità alla frode, in tema di imposte sui redditi, l'indeducibilità del costo non discende automaticamente, stante il differente regime probatorio ammesso per provarne la deducibilità. 
Inoltre, il richiamo acritico alla sentenza penale di condanna secondo la Cassazione, non è sufficiente, necessitando una «seria analisi e spiegazione della consistenza della ritenuta inesistenza soggettiva delle operazioni», dal momento che vi è un consolidato indirizzo della Corte (sentenze 890/2006, 1756/2006 e 2067/1998) secondo il quale vi è difetto di motivazione quando il giudice di merito «omette di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento».
Va rilevato che circa le conseguenze delle fatture soggettivamente inesistenti, normalmente alla base delle frodi carosello, dopo una prima interpretazione molto rigorosa della Suprema Corte, si sta ora formando un orientamento decisamente più elastico e più condivisibile che consente, da una lato, al contribuente di provare l'effettivo sostenimento di quei costi, anche al di fuori delle scritture contabili, purché collegato a elementi certi e precisi, e, dall'altro, al giudice di riconoscerne la deducibilità. 
Non emerge dalla lettura della sentenza se l'Agenzia, abbia contestato nella circostanza, come avviene normalmente negli ultimi anni, anche la norma sull'indeducibilità dei costi riconducibili a reato. In ogni caso, ora, alla luce di questa pronuncia - che chiarisce il regime probatorio di deducibilità dei costi stessi - sarebbe opportuna una maggiore prudenza da parte degli uffici nel contestare tali violazioni, che stanno obiettivamente penalizzando molte imprese, le quali, in molti casi, hanno la sola colpa di aver inconsapevolmente acquistato beni da soggetti rivelatisi, successivamente, evasori fiscali.
Fonte: il sole 24 ore autore Francesco Falcone

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