Conferimento d’azienda e cessione partecipazione, nessuna elusione

Secondo la C.T. Prov. di Milano non può essere considerata un’operazione finalizzata ad eludere l’applicazione delle imposte d’atto
Anche per la Terza Sezione della C.T. Prov. di Milano il conferimento d’azienda, seguito dalla cessione delle partecipazioni, non può essere considerato un’operazione finalizzata ad eludere, sul trasferimento del complesso aziendale, l’applicazione delle imposte d’atto secondo la più onerosa disciplina degli atti di cessione d’azienda.
È ormai qualche anno che vanno moltiplicandosi le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria fondate sulla pretesa riqualificazione degli atti di conferimento d’azienda e successiva cessione della partecipazione in atti di cessione d’azienda, con conseguente rideterminazione dell’imposta di registro (e, nel caso di presenza di una componente immobiliare, pure di quelle ipotecaria e catastale) da fissa a proporzionale. I presupposti su cui gli Uffici fondano generalmente le proprie contestazioni sono l’art. 20 del DPR 131/1986 (ai sensi del quale l’imposta deve trovare applicazione sulla base dell’effettivo contenuto giuridico dell’atto e non del suo mero nomen iuris) e l’abuso del diritto.
La sentenza n. 168 dello scorso 29 maggio, a cura della III Sezione della Commissione tributaria provinciale di Milano respinge entrambi questi presupposti, accogliendo il ricorso del contribuente.
In particolare, per quanto attiene l’art. 20 del DPR 131/1986, la sentenza evidenzia come la riqualificazione di un atto, sulla base dei suoi reali effetti giuridici, non possa essere confusa con una riqualificazione basata invece sui suoi presunti effetti economici.
Più ancora, però, la sentenza è chiara nel rispedire al mittente la pretesa natura elusiva del comportamento complessivamente tenuto dalle parti. In particolare, è pregevole il dispositivo della sentenza nella parte in cui sottolinea che “le operazioni poste in essere con gli atti sopra descritti non integrano gli estremi del comportamento abusivo, in quanto la finalità elusiva non è stata posta come elemento predominante e assorbente nei medesimi atti”.
È questo un aspetto cruciale che troppo spesso l’Amministrazione finanziaria pone invece in secondo piano, se è vero come è vero che non mancano anche i casi in cui si arriva addirittura a pretendere di riqualificare in cessioni d’azienda, ai fini delle imposte d’atto, anche le pure e semplici cessioni di partecipazioni totalitarie non precedute da alcun atto prodromico.
L’aspetto cruciale è appunto che, nell’istante in cui le operazioni vengono poste in essere per realizzare anzitutto una finalità economica reale (trasferimento a terzi di un’azienda o riorganizzazione infra-gruppo), il fatto che il contribuente scelga, per realizzarla, tra i diversi strumenti messi a disposizione dall’ordinamento giuridico, la via fiscalmente meno onerosa, è perfettamente lecito e anzi “garantito dalla Costituzione, ex artt. 23 e 41”.
La sentenza della III Sezione della Commissione tributaria provinciale di Milano va così ad inspessire le fila dei precedenti giurisprudenziali favorevoli ai contribuenti, tra le quali si ricordano anche quelli della Commissione tributaria provinciale di Treviso, con ben tre sentenze a cura di due distinte sezioni (Sezione VII, sentenza 22 aprile 2009 n. 41; Sezione VII, 30 giugno 2010 n. 76; Sezione I, 25 gennaio 2009 n. 9), nonché quelli della Commissione tributaria provinciale di Rimini (Sezione II, sentenza 11 maggio 2011 n. 184) e della Commissione tributaria provinciale di Prato (Sezione I, sentenza 29 giugno 2011 n. 65).
Tra le sentenze con esito favorevole al contribuente, seppur sulla base di conclusioni interpretative difformi da quelle citate in precedenza, va inoltre ricordata la sentenza 21 febbraio 2011 n. 54 della Sezione XLII della Commissione tributaria di Milano, secondo la quale la possibilità di procedere alla riqualificazione dei due atti in una cessione d’azienda, in virtù di un utilizzo antielusivo dell’art. 20 del DPR 131/1986, non sembrerebbe essere scartata a priori, ma viene comunque considerata impraticabile, per nullità del relativo avviso di accertamento, in mancanza del previo esperimento delle tutele procedimentali previste, a favore del contribuente, dai commi 4 e 5 dell’art. 37-bis del DPR 600/1973 (tutele procedimentali che, nella prassi sino ad ora riscontrata, sono sistematicamente trascurate dagli Uffici che spiccano gli accertamenti ai fini delle imposte d’atto).
Favorevoli all’Amministrazione finanziaria, si ricordano invece i due precedenti giurisprudenziali della Commissione tributaria provinciale di Firenze (sentenza 3 febbraio 2009 n. 90 della Sezione XIX, depositata il 29 settembre 2009) e della Commissione tributaria regionale della Lombardia (sentenza 13 gennaio 2011 n. 36 della Sezione XXII, depositata il 3 marzo 2011).
Fonte: Eutekne autore Enrico ZANETTI

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