Le semplificazioni partano dalle norme antiriciclaggio

Pubblico l'intervento, su Eutekne di oggi, dell'amico Collega Giancarlo Murgia, Presidente dell'Ordine dei Dottori Commercialisti di Cagliari.
Norme eccessive e poco chiare rendono difficili le segnalazioni e favoriscono, nell’opinione pubblica, l’associazione fra commercialisti e «furfanti»
L’Italia è il Paese delle oltre 100.000 leggi, molte delle quali inapplicate o inapplicabili, il cui unico effetto è quello di procurare fastidiosi mal di testa e infinite preoccupazioni ai destinatari delle medesime. Viene, allora, spontaneo domandarsi se l’emanazione delle stesse sia realmente finalizzata a disciplinare un qualche aspetto della vita della Nazione o, piuttosto, a fornire la giustificazione per comminare sanzioni, le più delle volte sproporzionate ed incomprensibili.
Come categoria professionale, purtroppo, siamo al centro di questo coacervo di norme non chiare, contraddittorie, in continua e stucchevole mutazione, con scadenze e proroghe che cambiano con un andamento che si potrebbe definire, ottimisticamente, schizofrenico. Ritengo che, attualmente, le norme che meglio identificano questa patologica emanazione di leggi, siano quelle concernenti il contrasto al riciclaggio di denaro, la cui disciplina ha visto il succedersi di disposizioni che integravano, modificavano e aggiornavano il provvedimento originario, senza mai convincere né chiarire, semmai peggiorando, la ragionevolezza e razionalità del quadro d’insieme.
La rapida elencazione normativa può forse meglio rendere l’idea della confusione in materia.
Si comincia con il DLgs. 56/2004, a cui si aggiunge il decreto MEF 141/2006, poi il provvedimento del 24 febbraio 2006 dell’UIC, quindi il DLgs. 231/2007; e ancora la circolare n. 125367 del MEF, che chiarisce la normativa previgente al 231/2007, poi un successivo DLgs. 151/2009, che integra e modifica il precedente 231/2007, ancora un altro Decreto Ministro della Giustizia del 16 aprile 2010 e, infine, non possono mancare un provvedimento del Direttore UIF del 4 maggio 2011 e un ulteriore decreto MEF del 28 settembre 2011. E scusate se l’elencazione è verosimilmente parziale e non esaustiva.
A fronte di questa poderosa mole di normative, i nostri detrattori, posto le pochissime segnalazioni di operazioni sospette inviate da commercialisti, ci associano ai furfanti che realmente riciclano denaro sporco, finanziano il terrorismo e compiono davvero i reati alla cui repressione il legislatore aveva pensato emanando le suddette disposizioni.
Come se non bastasse, col solito italico sistema del tintinnìo delle manette, si annunciano serrati controlli sui professionisti, invece che sui delinquenti che realmente traggono beneficio dal riciclaggio di denaro sporco, determinando, nelle categorie interessate, dei veri e propri stati d’ansia e, financo, di vera paura.
La nostra categoria, che, per specificità delle proprie competenze, è proprio al centro del ciclone, dovrà sbrigarsi ad affrontare e risolvere due problemi di vitale importanza.
Il primo, come formazione: instaurare tavoli di confronto e di approfondimento con le nostre controparti istituzionali, al fine di definire una comune e valida linea d’azione, che sia accettata dai nostri controllori e, quindi, legittima, mettendoci al riparo dalle sanzioni applicabili e riuscendo, magari, a rendere più agevoli gli adempimenti che ci toccano.
Per inciso, l’Ordine di Cagliari con quello di Oristano, con l’Ordine degli Avvocati di Cagliari, ha organizzato, per il 5 giugno 2012, un convegno su questo tema, che metterà a confronto professionisti, Guardia di Finanza, Banca d’Italia e Procura della Repubblica, allo scopo di arrivare ad interpretazioni condivise sugli adempimenti obbligatori gravanti proprio su noi professionisti.
Il secondo aspetto su cui lavorare è, invece, quello di una costante e forte pressione sul legislatore, affinché cambi le cervellotiche norme in vigore.Nessuno può sostenere, se non certi giornalisti in evidente malafede, che i professionisti agevolino, con le mancate comunicazioni, il riciclaggio di denaro sporco. È una visione offensiva e distorta della realtà, che coinvolge la quasi totalità dei colleghi. Se qualcuno lo ha fatto che paghi a caro prezzo la sua connivenza col crimine, non solo con sanzioni pecuniarie, ma con la privazione della libertà, se lo merita.
Non si può mettere in croce la nostra categoria, fatta di oltre 113.000 iscritti, solo perché qualcuno è un delinquente e si comporta come tale. Se non ci solo segnalazioni, vuol dire che le disposizioni non sono chiare e che davvero abbiamo difficoltà a comprendere come dobbiamo comportarci. Anche perché, ricordiamocelo bene, una segnalazione sbagliata potrebbe comportare delle gravissime e (spesso) irrimediabili ripercussioni sulla persona che erroneamente abbiamo “attenzionato”.
Allora, all’attuale Consiglio Nazionale e a quello futuro spetterà l’arduo compito di difenderci da norme inutilmente vessatorie, di fatto prive di efficacia per il contrasto dei reati per cui erano state emanate.

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