Evasione Fiscale: controlli, accertamento e sanzioni

L'UFFICIO HA L'OBBLIGO DI FORNIRE LA PROVA DELLA PRESENTAZIONE
Accertamento: raddoppio dei termini solo con la denuncia penale
Richiamandosi alla giurisprudenza di merito e di legittimita', la Commissione tributaria provinciale di Lecco ha stabilito che, qualora ricorrano i presupposti per un reato tributario di cui al D.Lgs. n. 74/2000, l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di allegare all'avviso di accertamento la copia della denuncia penale presentata alla Procura della Repubblica, al fine di usufruire del raddoppio dei termini per procedere all'accertamento. La semplice enunciazione nell'atto impositivo dell'inoltro della notizia di reato, nel caso di specie per l'emissione di fatture inesistenti connesse ad operazioni di compravendita di rottame, non legittima l'Ufficio a beneficiare del raddoppio dei termini, perche' impedisce al Giudice tributario di verificare la sussistenza dei presupposti indicati nell'art. 43, comma 3, D.P.R. n. 600/1973.
L’Amministrazione Finanziaria, in data 7 aprile 2011, notificava ad una società di capitali un avviso di accertamento, contestando maggiori imposte per IRES, IRAP ed IVA, per complessivi 46.878 euro, oltre sanzioni e interessi, relativi al periodo di imposta 2004.
La materia del contendere si inquadra nelle c.d. operazioni “Black Steel”, in forza delle quali si procura un danno all’erario a seguito dell’emissione, da parte della società cedente, di fatture fittizie per acquisti di rottame metallico in totale evasione di imposta.
L’Ufficio contestava alla società in questione il coinvolgimento nelle suddette operazioni fraudolente, in qualità di cessionaria di operazioni soggettivamente inesistenti. In merito, la Guardia di Finanza, in cooperazione con l’Ufficio, informava la Procura della Repubblica, denunciando il reato ai sensi dell’art. 8, D.Lgs. n. 74/2000.
La società contribuente, nella persona del proprio rappresentante legale, proponeva ricorso innanzi alla CTP di Lecco, chiedendo l’annullamento dell’atto impositivo sulla base dei seguenti rilievi:
a) decadenza dall'azione accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria per decorrenza del termine ordinario e per l’impossibilità di invocare il raddoppio dei termini ex art. 43, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, introdotto con la legge n. 248/2006, perché la presunta notizia di reato era stata trasmessa al Pubblico Ministero dopo la scadenza del termine quadriennale decorrente dall’anno successivo a quello cui l’accertamento si riferiva;
b) illegittimità dell'accertamento ai fini IRAP perché l’art. 8, D.Lgs. n. 74/2000, rubricato “Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” non contempla tra le fattispecie di reato l’evasione di tale imposta, alla quale non poteva essere applicato il raddoppio dei termini di accertamento;
c) nel merito, la mancata prova, da parte dell’Ufficio, del coinvolgimento della società accertata nelle operazioni di acquisto contestate, in quanto tali acquisti erano regolarmente documentati da fatture contabilizzate nei modi e nei termini previsti dalla legge;
d) errata valutazione di indeducibilità di costi inerenti ad operazioni di compravendita di rottame, i cui correlati ricavi avevano concorso a formare il reddito dichiarato al Fisco;
e) erronea ripresa dell’IVA correttamente assolta con il meccanismo del reverse charge (che consiste nell’integrazione da parte del cessionario della fattura ricevuta dal cedente senza IVA, con duplice annotazione del documento sia sul registro degli acquisiti che delle vendite), secondo quanto stabilito in materia di cessione di metalli ferrosi dall’art. 74, commi 7 e 8, D.P.R. n. 633/1972, nonché dall'art. 35, D.L. n. 269/2003, che prescrivono che tali operazioni siano assoggettate ad imposta sul valore aggiunto da parte del cessionario e non dal cedente;
f) illegittimità dell’avviso di accertamento per la lesione del principio costituzionale della capacità contributiva (art. 53 Cost.), perché era scaturita una tassazione sul reddito lordo senza tenere in considerazione la deducibilità dei costi inerenti l’attività di impresa;
g) in ultimo, illegittimità delle sanzioni, sia per la declarata decadenza del potere accertativo, sia per l’insussistenza di un danno erariale, avendo la società assolto l’IVA poi usata in compensazione, che per la sussistenza della causa di non punibilità ex art. 5, D.Lgs. n. 472/1997, ritenendosi estranea dalle condotte fraudolente contestate.
Avverso il ricorso della contribuente, l’Amministrazione finanziaria si costituiva in giudizio ribadendo la correttezza del proprio operato.
Decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Lecco
I giudici di primo grado hanno accolto il ricorso presentato dalla società ricorrente, dichiarando l’illegittimità dell’avviso di accertamento e condannando l’Ufficio alla rifusione delle spese di lite.
L’accoglimento del ricorso si basa, in sintesi, sul fatto che grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare l’avvenuta presentazione della denuncia di reato, per poter usufruire del raddoppio dei termini di accertamento, nel caso in cui il contribuente ne contesti la decadenza.
In merito, l’art. 43, D.P.R. n. 600/1973 statuisce (comma 3) che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini [omissis] sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.
La disposizione in esame ha comportato molteplici difficoltà interpretative, sollevate alla Corte costituzionale che, con sentenza del 25 luglio 2011, n. 247 (cfr. “”, con commento di R.Fanelli, “”, il Quotidiano IPSOA del 29 luglio 2011), ha precisato che i termini raddoppiati si applicano automaticamente “in presenza di una speciale condizione obiettiva”, vale a dire l’obbligo di denuncia penale in presenza di un reato tributario.
Al fine di limitare la discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria, la Corte costituzionale ha ribadito la necessità di presentare la denuncia penale “senza ritardo”, ai sensi del comma 2 dell’art. 331 c.p.p. Spetta al giudice “vagliare autonomamente” se ricorrano i presupposti per disconoscere l’applicabilità del raddoppio dei termini.
Nel caso di specie, l’avviso di accertamento era stato notificato in data 7 aprile 2011, nonostante il termine di decadenza ex lege fosse il 31 dicembre 2009 (art. 43, comma 1, D.P.R. n. 600/1973), mentre la notizia di reato era stata comunicata al Pubblico Ministero il 4 marzo 2010 e notificata al contribuente il 10 marzo 2010.
La Commissione tributaria di Lecco, sulla scorta dei suddetti precetti, richiamandosi altresì ad altra giurisprudenza di merito, ha ritenuto di non riconoscere l’applicabilità del raddoppio dei termini di accertamento, non essendo sufficiente la “semplice enunciazione nell’atto di accertamento” dell’inoltro della notizia di reato alla Procura della Repubblica.
Occorre che l’Ufficio produca ulteriori elementi a riprova della presentazione della denuncia penale per poter beneficiare dell’allungamento dei suddetti termini (v. CTP Milano, sentenza n. 231/40/2011 – “”, con commento di D.Irollo, “”, il Quotidiano IPSOA del 28 novembre 2011).
Investita della problematica, anche la Corte di Cassazione ha precisato che non basta “un semplice sospetto di una attività illecita” per essere obbligati a presentare una denuncia penale, bensì occorre “individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare”, individuando tali elementi nella sussistenza di un fatto penale e nella ragionevole percepibilità di questo da parte del soggetto agente (v. Cass. SS.UU. penali, 11 febbraio 2008, n. 15400).
Pertanto, l’Ufficio che vuole avvalersi del raddoppio dei termini è, in primis, obbligato ad allegare ai propri atti impositivi la copia della denuncia penale presentata alla Procura della Repubblica, perché l’omessa allegazione, “se non sanata in corso di causa” non permette al giudice di valutare autonomamente la legittimità dell’applicazione del raddoppio dei termini di cui all’art. 43 citato.
Null’altro ha stabilito la Commissione Tributaria Provinciale di Lecco in quanto l’accoglimento del primo rilievo formale considerato una preliminare eccezione, ha sollevato i giudici dal dover trattare le altre eccezioni di parte.
Fonte: Ipsoa autore Chiara Rossini
articolo sole 24 ore

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