Per i beni in godimento, non obbligatoria la certificazione scritta di data certa

In mancanza della certificazione, è possibile documentare gli elementi essenziali diversamente
Non è obbligatoria la certificazione scritta di data certa dalla quale si evince la data di inizio dell’utilizzazione del bene. In assenza di detta certificazione, il contribuente può, in ogni caso, documentare diversamente gli elementi essenziali dell’accordo. Si ricorda che l’articolo 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies, del DL n. 138/2011, convertito dalla L. n. 148/2011, contempla una nuova ipotesi di tassazione per l’uso di beni intestati fittiziamente a società. La norma può essere così riassunta:
- si tassa come reddito diverso la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell’impresa a soci o familiari dell’imprenditore. Infatti, è stata inserita la lettera h-ter nell’articolo 67 del TUIR, rubricato come redditi diversi;
- i costi relativi ai beni concessi in godimento non sono, in ogni caso, ammessi in deduzione dal reddito imponibile delle società o dell’imprenditore.
In merito alla certificazione, la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria manifestata, peraltro, sia nella circolare n. 24 del 15 giugno 2012 sia nella circolare n. 36 del 24 settembre scorso, è alquanto criticabile.
Nella prima circolare si afferma che, per esigenza di certezza e di documentabilità, al fine di verificare gli accordi tra le parti, è opportuno che il corrispettivo annuo per il godimento del bene e le altre condizioni contrattuali risultino da apposita certificazione scritta di data certa, ma antecedente a quella di inizio dell’utilizzazione del bene. Nel secondo documento di prassi, viene precisato che gli elementi essenziali della certificazione sono l’indicazione del corrispettivo pattuito, l’inizio e la durata del godimento del bene nonché la prova documentale che detti elementi risultino in modo certo e oggettivo. In più, continua il documento, “la predisposizione di adeguata documentazione di data certa, in cui sono evidenziati i contenuti del rapporto, appare utile nel precipuo interesse delle parti, in quanto idonea ad evidenziare la mancanza di volontà di porre in essere arbitraggi fiscali sulla base di scelte di convenienza economica dell’ultimo momento. Si precisa, tuttavia, che in assenza della predetta documentazione il contribuente può, comunque, diversamente dimostrare quali sono gli elementi essenziali dell’accordo”.
Quest’ultima precisazione è salutata con favore, visto che, nella maggior parte dei casi, non risulterà accordo alcuno tra concedente e utilizzatore del bene. Tuttavia, individuare gli altri documenti utili per dimostrare l’utilizzo in godimento del bene è ardua impresa. Si possono, per esempio, utilizzare documenti bancari come bonifici o negoziazione di assegni, scambi di corrispondenza postale, fax, e-mail, posta elettronica certificata. Importante, a parere dell’Agenzia delle Entrate, che si evinca la data certa del documento, al fine di non porre in essere “arbitraggi fiscali”.
Ci si chiede quali siano le conseguenze dell’assenza totale della predetta documentazione. Occorre porre l’accento sull’argomento, visto che il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 16 novembre 2011, che prevede le modalità e i termini di comunicazione all’Anagrafe Tributaria dei dati relativi ai beni dell’impresa concessi in godimento ai soci o familiari, stabilisce che devono essere comunicati anche i beni concessi in godimento nei periodi d’imposta precedenti al 2012, ricordando che la prima scadenza utile per comunicare i citati dati è il 31 marzo 2013.
La normativa non prevede nulla su “un’apposita certificazione”
Analizzando la normativa, questa nulla stabilisce sia per quanto riguarda la necessità di redazione di “un’apposita certificazione” sia per ciò che concerne la predisposizione di altri documenti dai quali emergono gli elementi essenziali dell’accordo; né il menzionato Provvedimento dispone in tal senso. Quindi, quest’obbligo è previsto da semplici documenti di prassi che, come già noto, vincolano (e neanche) l’Agenzia delle Entrate e non certo i contribuenti, atteso che le circolari in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi (Cass., ord. n. 14409 del 10 agosto 2012). D’altro canto, qualora l’Amministrazione finanziaria volesse controllare la posizione del contribuente, non bisogna dimenticare che l’articolo 2, comma 36-sexiesdecies, del DL n. 138/2011, dispone che, in via alternativa, l’impresa concedente, il socio o il familiare dell’imprenditore hanno l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai beni concessi in godimento. In caso di mancata comunicazione ovvero in caso di dati incompleti o non veritieri, è stabilita in solido una sanzione amministrativa pari al 30% della differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo del bene concesso in godimento. Ne consegue che solo l’arma del controllo è quella che il Fisco può utilizzare, con “copertura normativa”, per verificare l’effettiva concessione in godimento del bene aziendale.
 Pertanto, la mancanza di un accordo scritto di data certa tra concedente ed utilizzatore del bene difficilmente può generare l’applicazione di sanzioni amministrative. Queste, invece, possono essere applicate qualora le parti omettano di osservare le disposizioni concernenti la nuova ipotesi di tassazione per l’uso di beni intestati a società utilizzati dai soci o dai familiari dell’imprenditore. In pratica, si applica la sanzione per infedele dichiarazione, sia per il concedente che per l’utilizzatore del bene, prevista dall’articolo 1, comma 2, del DLgs n. 471/1997.
Fonte: Eutekne autore Francesco BARONE

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