Rebus ragguaglio del reddito nel passaggio da società di persone a società di capitali

Il ragguaglio si rende necessario per l’esistenza di due distinti periodi di imposta nell’esercizio in cui avviene la trasformazione
L’esistenza di due distinti periodi di imposta nell’esercizio in cui avviene la trasformazione da società di persone in società di capitali (e viceversa) rende necessario procedere alla determinazione del reddito dei singoli periodi. Al riguardo, l’art. 110, comma 5, del TUIR stabilisce che, nelle ipotesi di periodo d’imposta superiore o inferiore a dodici mesi, i redditi di cui all’art. 90 (proventi immobiliari) sono ragguagliati alla durata di esso.
Tale ragguaglio deve, inoltre, essere eseguito anche ai fini delle disposizioni contenute:
- nei commi 2 e 6 dell’art. 102 (ammortamento dei beni materiali e spese di manutenzione);
- nell’art. 104 (ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili);
- nell’art. 106 (svalutazione dei crediti e accantonamenti per rischi su crediti);
- nei commi 1 e 2 dell’art. 107 (accantonamenti per lavori ciclici di manutenzione di navi e aeromobili e per le imprese concessionarie della costruzione e dell’esercizio di opere pubbliche).
Per tali componenti negativi occorre, quindi, calcolare i dodicesimi di “competenza” di ciascun periodo di imposta (e, quindi, sia per la società di persone che per la società di capitali).
In relazione agli ammortamenti, il calcolo degli stessi in capo alla trasformata deve essere effettuato sul costo originario dei beni, trasferendo nel bilancio della società post-trasformazione il relativo fondo ammortamento. Non si ritiene corretto, al contrario, trasferire il valore del bene al netto del fondo accumulato, iniziando il calcolo degli ammortamenti dal nuovo valore netto. Tale comportamento, infatti, non risulta coerente con l’operazione di trasformazione. che non è assimilabile ad una cessione.
Maggiore incertezza sussiste riguardo alla deduzione delle spese relative a più esercizi (ad esempio, oneri pluriennali) e dei beni immateriali (avviamento, brevetti e così via); per la deduzione di tali voci, infatti, il TUIR non stabilisce alcun ragguaglio ad anno. Pertanto, una prima soluzione è quella secondo cui in ciascuno dei due periodi d’imposta dell’esercizio si debba imputare una quota intera di deduzione. Medesima conclusione potrebbe desumersi dalla risoluzione 1° aprile 2003 n. 82, laddove si legge che “Il ragguaglio alla superiore o minore durata del periodo di imposta, previsto nell’ultimo periodo del citato art. 90, comma 4, del TUIR, si applica a quei componenti negativi di reddito la cui deducibilità è stabilita forfetariamente sulla base di percentuali che sono state calcolate in ragione della normale durata del periodo d’imposta pari a dodici mesi. Ne sono un classico esempio le quote di ammortamento dei beni materiali […] ne consegue che il ragguaglio alla durata del periodo d’imposta non si applica, invece, a quei componenti negativi la cui deducibilità è stabilita in misura fissa indipendentemente dalla durata del periodo di imposta”.
La seconda soluzione è quella secondo cui, anche per le immobilizzazioni immateriali, deve prevalere il comportamento adottato a livello contabile-civilistico che dovrebbe correttamente prevedere il ragguaglio ad anno. Pertanto, seppure in assenza di una espressa previsione normativa, si dovrebbe effettuare il ragguaglio su base annua anche ai fini fiscali. Analogo ragionamento può essere svolto per i costi pluriennali. Chi scrive ritiene preferibile, da un punto di vista sistematico, questa seconda tesi, ma la citata prassi dell’Agenzia delle Entrate non può essere ignorata.
Ulteriore fattispecie da esaminare è quella dei componenti positivi la cui tassazione è stata differita per disposizione di legge; è il caso, ad esempio, delle plusvalenze frazionate in più esercizi.
L’art. 86, comma 4, del TUIR stabilisce che le plusvalenze concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto.
La ripartizione in quote costanti avviene, quindi, negli esercizi successivi; nella trasformazione in corso d’anno, abbiamo visto, l’esercizio resta unico, ma si divide in due periodi di imposta. Dal punto di vista letterale, se ne dovrebbe dedurre che nei due autonomi periodi di imposta dovrebbe gravare un’unica quota di plusvalenza frazionata; motivi di ordine sistematico inducono, al contrario, ad affermare che ognuno degli stessi sarà gravato di un’intera quota costante delle plusvalenze, nella convinzione che il termine “esercizio” utilizzato in seno all’art. 86, comma 4, del TUIR sia sinonimo di “periodo di imposta”. Un supporto a tale conclusione si trova nelle istruzioni alla dichiarazione dei redditi, laddove viene precisato che “le plusvalenze realizzate […] concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare nel periodo d’imposta [e non nell’esercizio, n.d.a] in cui sono realizzate ovvero in quote costanti nel periodo stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto”.
Fonte: Eutekne autore Luca MIELE

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