Ancora da chiarire le nuove esimenti per le sole società in perdita sistemica

Inoltre, nonostante la disciplina sulle società di comodo sia oramai datata, restano alcune incertezze su questioni ormai sedimentate
Le società di comodo, come noto, soggiacciono dal 2012 al duplice vaglio della normativa concernente l’insufficienza di ricavi e a quella concernente le perdite sistemiche. Le due fattispecie vanno tenute distinte poiché si applicano regole diverse quanto ad analisi e verifica dei presupposti,  nonché in relazione alle ipotesi di esclusione dalla relativa disciplina.
Per entrambe operano le storiche esclusioni previste dall’articolo 30 della L. n. 724/94 (più di dieci dipendenti, ricavi maggiori dell’attivo di stato patrimoniale, società partecipate da soggetti pubblici, più di 50 soci e così via), mentre le esimenti aggiuntive previste con i provvedimenti dell’Agenzia n. 23681 del 14 febbraio 2008 e n. 87956 dell’11 giugno 2012 si applicano, rispettivamente, alle (sole) società di comodo per insufficienza dei ricavi e alle (sole) società di comodo in perdita sistemica. È importante, dunque, non confondere i due provvedimenti, anche se poi alcune esimenti sono comuni (società ubicate in territori calamitati, società in procedura concorsuale, società oggetto di sequestro, società in liquidazione che si impegnano alla cancellazione).
Ulteriore differenza concettuale chiarita dalla circolare n. 23 dell’11 giugno 2012 è data dal fatto che le esimenti da provvedimento per le società di comodo per insufficienza di ricavi agiscono per il periodo d’imposta in cui la società è non operativa, mentre le esimenti da provvedimento per le società di comodo in perdita sistemica agiscono nel triennio di monitoraggio, consentendo a queste ultime, ove presenti almeno in un anno, di non essere considerate di comodo per perdita sistemica nel quarto anno.
Le cause di esclusione da art. 30, invece, sono utili nel periodo d’imposta in cui la società risulta essere non operativa e in ciò non vi sono differenze tra le due tipologie di società.
Tra le cause di esclusione per norma vi è quella della presenza, nel periodo d’imposta interessato, di un numero di lavoratori dipendenti mai inferiore a 10. L’Agenzia, a suo tempo, ha chiarito che non rilevano al riguardo i rapporti di collaborazione, ma sono utili esclusivamente rapporti di lavoro subordinato, qualunque sia la tipologia di contratto. Un aspetto mai ufficialmente affrontato, che oggi la difficile congiuntura economica sta rendendo purtroppo assai attuale, è quello dei dipendenti in CIG. In particolare non è chiaro, ad esempio, se una società con 15 dipendenti che dovesse metterne 6 in CIG rientri o meno nella causa di esclusione, posto che i lavoratori di fatto utilizzati sono 9. In senso positivo va annotato il fatto che tutti i 15 dipendenti sono senz’altro in carico alla società, posto che con la CIG si ha solo che, dal punto di vista retributivo, i relativi oneri sono a carico dell’INPS. Dall’altro lato, laddove a posteriori dovesse risultare che l’azienda ha licenziato i citati lavoratori, è indiscutibile che l’esclusione non potrebbe applicarsi. Il fatto che poi, vertendo in una situazione di conclamata crisi, la società possa tentare la strada dell’interpello è senz’altro ipotizzabile, ma ciò attiene ad altra questione. Sul punto, sarebbe utile una presa di posizione ufficiale da parte degli organi competenti.
Altra causa di esclusione, ai sensi dell’art. 30 della L. 724/94, è la circostanza che la società risulti congrua e coerente agli studi di settore, con premessa che, laddove la medesima applichi i parametri, tale causa non è applicabile. Al riguardo, va detto che questa esimente è anche prevista per le società in perdita sistemica dal recente provvedimento n. 87956 dell’11 giugno 2012, talché per quest’ultima tipologia di società la congruità e coerenza agli studi gioca su un doppio tavolo: come esimente nel triennio di riferimento e come causa di esclusione nel quarto anno in cui si è di comodo, non avendo realizzato nel predetto triennio alcuna esimente da provvedimento. Ebbene, con riferimento a tale fattispecie, è indiscutibile che il contribuente possa “congruizzarsi” in dichiarazione, mentre più complessa e incerta è la questione della coerenza. Riguardo a ciò, si è dell’opinione che occorra distinguere tra indici di coerenza e indici di normalità: per questi ultimi, mediante adeguamento dei ricavi è possibile raggiungere la normalità, mentre per i primi non è in alcun modo possibile raggiungere in dichiarazione la coerenza. Ciò detto, capita sovente che Gerico segnali l’incoerenza nell’ipotesi in cui qualche indice sia non calcolabile. L’esempio è quello della società che, avendo lavorato completamente in subappalto, non possiede beni strumentali. Piace pensare che in questo caso la società non sia incoerente e possa dunque, in presenza anche della congruità seppure raggiunta per adeguamento, risultare esclusa dalla disciplina della società di comodo. Ciò comporta, però, una forzatura nell’apposito riquadro del modello UNICO indicando lo specifico codice di esclusione, quando lo studio risulta prima facie non coerente. Anche questo aspetto meriterebbe un chiarimento ufficiale.
Altra esimente prevista dal provvedimento 16 giugno 2012 per le società in perdita sistemica è la rideterminazione del MOL escludendo una serie di componenti di costo che, di fatto, non comportano un’uscita monetaria (ammortamenti, accantonamento rischi su crediti, accantonamento fondo svalutazione partecipazioni, magazzino, impianti e così via). Non sono considerati, invece, l’accantonamento al TFR e all’IFM amministratori posto che, è da ritenersi, a fronte di detti accantonamenti vi sarà in futuro un’uscita monetaria certa. Tanto premesso, la logica è la seguente: benché la società chiuda in perdita, la sua gestione finanziaria è comunque positiva e, dunque, conviene rimanere in vita per avere la possibilità di rimborsare le rate di mutuo o comunque abbattere l’esposizione debitoria. A questo proposito, in dottrina si è lamentato che il provvedimento 11 giugno 2012 non ha considerato i canoni di locazione finanziaria che sono assimilabili alle quote di ammortamento dei cespiti in proprietà, posto che in passato l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che non vi devono essere disparità di trattamento tra le due tipologie di acquisto di un cespite strumentale. Risulta che l’Agenzia delle Entrate abbia in corso una valutazione sul punto. Lo sforzo che si chiede all’Amministrazione è notevole, posto che a fronte del canone di leasing vi è un’uscita monetaria e ciò, in parte, confligge con la ratio in base alla quale è stata concepita l’esimente, ma in considerazione del difficile momento congiunturale, tale sforzo sarebbe senz’altro apprezzabile.  
Fonte: Eutekne autore Lelio CACCIAPAGLIA e Patrizia MARRA

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