Beni in godimento ai soci con ricadute IRAP

L’inerenza civilistica deve essere ponderata con le disposizioni del TUIR
La questione dell’indeducibilità dei costi introdotta dal DL n. 138/2011 convertito in caso di beni concessi in godimento ai soci presenta ancora diversi profili problematici, anche dopo i chiarimenti intervenuti con la circolare n. 24 del 15 giugno 2012 e la circolare n. 36 del 24 settembre 2012 dell’Agenzia delle Entrate.
Ricordiamo, in estrema sintesi, che il comma 36-quaterdecies dell’art. 2 del DL n. 138/2011 prevede che i costi relativi ai beni dell’impresa concessi in godimento a soci o familiari per un corrispettivo inferiore al valore di mercato “non sono in ogni caso ammessi in deduzione dal reddito imponibile”.
Sulla materia, l’Agenzia delle Entrate (circolare n. 24 del 15 giugno 2012) ha accolto una lettura estensiva della norma, ammettendo un criterio proporzionale: i costi indeducibili sono calcolati applicando ai costi complessivi la percentuale derivante dalla differenza tra valore normale e corrispettivo in rapporto al valore normale.
Va da sé che, in assenza di corrispettivo, tutti i costi sono indeducibili.
Sempre l’Agenzia delle Entrate ha poi precisato che la disciplina del DL n. 138/2011 è derogata in tutti i casi in cui i costi relativi ai beni in questione siano già oggetto di limitazioni nella deducibilità dei costi per effetto di specifiche disposizioni contenute nel TUIR.
L’Amministrazione sembra quindi affermare l’esistenza di un principio di specialità delle norme del TUIR (ad esempio, dell’art. 164 del TUIR) rispetto alle norme introdotte nel DL 138/2011.
La stessa Agenzia (circolare n. 24/2012) precisa che quanto sopra affermato non fa venire meno la tassazione in capo al socio/familiare utilizzatore ai sensi della nuova lettera h-ter) dell’art. 67 comma 1 del TUIR.
Tornando alla problematica dei costi, resta da approfondire quale sia la collocazione sistematica del citato comma 36-quaterdecies nell’ambito delle norme sul reddito d’impresa. Al momento, la dottrina che si è occupata della materia sembra orientata a ritenere che si tratti di una forfettizzazione dell’inerenza al pari di quella prevista dalle altre norme presenti nel TUIR.

Muovendo da tale considerazione, occorre anche interrogarsi su quali siano gli effetti della disposizione ai fini IRAP.
Dal punto di vista strettamente letterale, il riferimento operato dalla norma ai “beni dell’impresa” e al “reddito imponibile” inducono a ritenere che la disposizione non abbia effetto ai fini IRAP, eccezion fatta per le società di persone e gli imprenditori individuali che non hanno optato per il regime di cui all’art. 5 del DLgs. 446/1997.
Per tali soggetti, infatti, i componenti rilevanti ai fini IRAP si assumono secondo le regole di qualificazione, imputazione temporale e classificazione valevoli per la determinazione del reddito d’impresa.
Nel caso delle società di capitali e degli altri soggetti che hanno optato per il regime ordinario, teoricamente esclusi dalla disciplina sui beni in godimento, occorre però notare che, nella prospettiva dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente che nutrisse dubbi sul modo in cui l’inerenza di alcuni componenti negativi potrebbe essere valutata dal Fisco può collocarsi in un’area di sicurezza, deducendo importi di ammontare non superiore a quelli determinati applicando le disposizioni previste per l’applicazione delle imposte sul reddito (circolare Agenzia delle Entrate n. 39 del 22 luglio 2009).
In altri termini, in presenza di situazioni controverse, quali, ad esempio, l’utilizzo del bene anche per finalità personali, l’adesione alle regole del reddito d’impresa pone al riparo da eventuali contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Alla luce dell’interpretazione “estensiva” fornita dall’Agenzia delle Entrate sul calcolo dei costi indeducibili per i beni in godimento, appare opportuno valutare l’applicazione delle regole del DL n. 138/2011 anche ai fini IRAP.
Da notare che, ai sensi dell’art. 2 comma 36-duodevicies, nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo d’imposta di prima applicazione (in genere 2012) della disposizione, si deve assumere quale imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni.
Il generico richiamo agli acconti dovuti, senza alcun riferimento all’ambito impositivo, non dovrebbe comportare l’applicazione della disposizione anche ai fini IRAP, posto che, per quanto sopra riportato, la disciplina sembra riferirsi al solo reddito d’impresa.
Resta da chiarire se il contribuente che intenda applicare il DL 138/2010 anche in ambito IRAP debba applicare la norma di ricalcolo anche ai fini del tributo regionale.   
Sul punto, tra l’altro, la circolare n. 24/2012 dell’Agenzia delle Entrate consente ai contribuenti che non si sono adeguati alle nuove disposizioni in sede di versamento della prima rata dell’acconto calcolato con il metodo storico, di sanare l’eventuale omesso versamento in sede di pagamento della seconda rata, corrispondendo gli interessi nella misura del 4% annuo, senza sanzioni. 
Fonte: Eutekne autore Alessandro COTTO e Luca FORNERO   

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