Con l’«adeguata verifica» della clientela, attività professionale a rischio paralisi

I nuovi obblighi in tema di antiriciclaggio possono limitare gravemente l’esercizio dell’attività professionale.
Le disposizioni antiriciclaggio che impongono l’astensione dalla prestazione al professionista che non sia in grado di rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela si “arricchiscono” di un nuovo tassello.
Per effetto di quanto disposto dall’art. 18 del DLgs. 19 settembre 2012, n. 169, in vigore dal prossimo 17 ottobre, all’art. 23 del DLgs. 231/2007 è infatti aggiunto il comma 1-bis che, a corollario di quanto già previsto dal primo comma, stabilisce che, laddove non sia possibile rispettare gli obblighi di adeguata verifica in relazione a prestazioni professionali in corso di realizzazione, il professionista dovrà restituire al cliente i fondi, gli strumenti e le altre disponibilità finanziarie di spettanza, liquidandone il relativo importo tramite bonifico su un conto corrente bancario indicato dal cliente stesso. A tale trasferimento di fondi dovrà essere allegata una comunicazione nella quale il professionista spiega alla banca che la restituzione delle somme al cliente si rende necessaria, attesa l’impossibilità di rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela stabiliti dall’art. 18, comma 1, del DLgs. 231/2007.
Dalla lettura complessiva dell’art. 23 risulta evidente la portata deflagrante di una disposizione che, ove applicata alla lettera, rischia di paralizzare completamente l’attività del professionista.
Varrà la pena ricordare che l’art. 23 del DLgs. 231/2007 disciplina tutte quelle ipotesi in cui i soggetti destinatari della normativa non sono in grado di espletare le attività di adeguata verifica della clientela, ovvero sospettano che una determinata operazione sia correlata a fenomeni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
In dettaglio, con riferimento all’obbligo di astensione, il Legislatore individua la seguente casistica.
Il primo comma dell’art. 23 stabilisce che, ove non sia in grado di assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela, il professionista dovrà astenersi dall’eseguire la prestazione professionale e, ove quest’ultima sia già in essere, dovrà rinunciare a proseguire l’incarico. In entrambi i casi, inoltre, egli dovrà valutare se effettuare una segnalazione di operazione sospetta alla UIF.
Con il DLgs. 151/2009, il Legislatore è già intervenuto sul secondo comma, riformulandolo al fine di chiarire meglio la connessione tra obbligo di astensione dall’operazione, potere di sospensione dell’operazione stessa da parte della UIF e obbligo di segnalazione sospetta. La norma, nel testo vigente, stabilisce che, prima di effettuare la segnalazione di operazione sospetta alla UIF e al fine di consentire l’eventuale esercizio del potere di sospensione, il professionista deve astenersi dall’eseguire le operazioni per le quali sospetta vi sia una relazione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo. Tralasciando i contenuti del terzo comma, che individua alcune ipotesi in cui l’obbligo di astensione non può essere rispettato, in verità di scarso rilievo per il commercialista, l’unica vera deroga all’obbligo di astensione riguarda il caso in cui quest’ultimo sia impegnato nell’esame della posizione giuridica del cliente o nell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza dello stesso in un procedimento giudiziario, ovvero in un’attività di consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento.
Tutto ciò premesso, appare evidente come la pedissequa applicazione della norma possa di fatto limitare gravemente l’esercizio dell’attività professionale. Ricordiamo, infatti, che verificare “adeguatamente” un cliente significa non solo accertare la sua identità, ma anche quella del beneficial owner, vale a dire del titolare effettivo della prestazione, nonché ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura della prestazione stessa e monitorarla in corso di svolgimento. In altre parole, quello dell’adeguata verifica è un obbligo composto, in quanto il suo corretto adempimento richiede il rispetto di ciascuna delle singole prescrizioni in esso contenute: ove il professionista non sia in grado di ottemperare anche solo ad una di esse – si pensi alle difficoltà mediamente connesse all’identificazione del titolare effettivo dell’operazione – si renderà immediatamente necessaria l’astensione dal compimento (o dal proseguimento) della prestazione.
Non solo: a partire dal 17 ottobre, per effetto della novella legislativa in commento, all’astensione dovrà accompagnarsi la restituzione dei fondi al cliente a mezzo bonifico bancario con allegata comunicazione in cui il professionista, dichiarando di non essere in grado di rispettare gli obblighi di adeguata verifica, di fatto “denuncerà” il proprio cliente alla banca, demandando in ultima analisi a quest’ultima la decisione se effettuare o meno la segnalazione di operazione sospetta alla UIF. A meno che non si voglia interpretare la norma in senso ancora peggiorativo, nel qual caso il professionista, dopo aver “rifiutato” il cliente e aver restituito i fondi da quest’ultimo ricevuti alla banca, avvisando quest’ultima delle difficoltà connesse alla corretta identificazione del cliente ai fini della normativa antiriciclaggio, dovrà premurarsi altresì di effettuare la segnalazione di operazione sospetta alla UIF. Il che, francamente, pare davvero eccessivo. Sia ben chiaro, la funzione di tutela del pubblico interesse del professionista è indiscutibile, anzi la stessa deontologia professionale dovrebbe indurre a rifiutare rapporti professionali con clienti, per così dire, “dubbi”; ciononostante, disposizioni come l’art. 23, oltre a minare alla base il rapporto di fiducia tra professionista e cliente, pongono paletti davvero troppo restrittivi all’esercizio della professione e per questo andrebbero seriamente ripensate.
Fonte: Eutekne autore Annalisa DE VIVO   

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