Immobile in uso al socio con incognita fiscale

Non è chiaro se le indicazioni riguardanti le autovetture possano estendersi all’immobile patrimonio concesso al socio senza alcun addebito
La circolare n. 36 del 24 settembre scorso ha, in parte, rivisitato e puntualizzato alcune soluzioni interpretative contenute nella precedente circ. n. 24/2012.
Si ricorda che, per l’Agenzia, la totale indeducibilità dei costi in mancanza di addebito al socio “trova tuttavia una deroga in tutti i casi in cui siano concessi in godimento beni per i quali il TUIR prevede già una limitazione alla deducibilità. Così, ad esempio, la norma non trova applicazione in relazione alla concessione in godimento degli autoveicoli che rientrano nel regime di indeducibilità previsto dall’articolo 164 del TUIR” (circ. n. 24/2012). E dunque, nulla la società deve addebitare al socio per continuare a dedurre i costi e spese dell’autovettura con i criteri ordinari previsti dalla lett. b) del comma 1 dell’art. 164 (ad esempio, 40%: 27,5% dal 2013).
Se applichiamo i principi ora espressi al caso di un immobile abitativo posseduto da una società e concesso in godimento al socio, nell’ipotesi in cui nulla venga a questo addebitato a titolo di valore di mercato, si dovrebbe verificare la seguente situazione: tutti i costi relativi all’immobile, come risultanti dal Conto economico, relativi al periodo dell’anno in cui il fabbricato è stato concesso al socio, sono per la società non deducibili, mentre il socio medesimo deve autotassarsi nel proprio quadro RL. Ma la partecipazione al reddito degli immobili patrimonio (art. 90 del TUIR) soffre già della totale indeducibilità di tutti i costi e spese (salvo interessi passivi su mutui contratti per l’acquisto e costruzione), poiché il reddito si determina catastalmente (raffronto tra rendita catastale e canone di locazione contrattualmente stabilito al netto delle sole spese di manutenzione ordinaria in misura massima del 15% del canone).
Tanto premesso, sarebbe utile fosse chiarito se le indicazioni sulle autovetture possano estendersi all’immobile patrimonio concesso al socio senza alcun addebito, posto che, nel caso di specie, l’indeducibilità dei costi deriva non da una disposizione di natura antielusiva, ma da una norma che stabilisce una particolare modalità di determinazione del reddito (che resta d’impresa), appunto, il sopra descritto criterio fondiario.
Se passasse il principio, il socio dovrebbe dunque autotassarsi nel quadro RL in base al valore di mercato (canone di locazione virtuale) e la questione si concluderebbe così, posto che i costi e spese dell’immobile sono comunque indeducibili da art. 90 del TUIR. Tale conclusione sembrerebbe conforme all’esemplificata ipotesi dell’Agenzia circa l’autovettura; sennonché, per l’autovettura, l’Agenzia ha introdotto un’assai favorevole quantificazione forfetaria del valore di mercato utilizzando la già presente norma (art. 51 del TUIR) prevista per la quantificazione del fringe benefit in busta paga per dipendenti e collaboratori (costi da ACI su una percorrenza convenzionale annua di 4.500 km).
Per assimilazione, allora, si dovrebbe anche prevedere analogo criterio forfetario, sempre stabilito dall’art. 51, per la quantificazione del fringe benefit riferito alla concessione in uso dell’immobile, ossia la rendita catastale che è specularmente l’unica cosa che la società può dedurre laddove conceda in uso l’immobile medesimo al dipendente; ipotesi, peraltro, circoscritta al solo caso in cui l’immobile in questione sia acquisito in locazione dalla società (art. 95 del TUIR), diversamente la società, come già detto, non può dedurre nulla se non gli interessi passivi (art. 90 del TUIR).
Peraltro, quanto ora detto è riferibile all’immobile concesso al dipendente e non al collaboratore, posto che manca nell’art. 95 del TUIR il riferimento a quest’ultimo, circostanza che rende la società orfana di qualsiasi codificata soluzione. È da ritenersi che tale ultima circostanza possa anch’essa risolversi in via interpretativa, assimilando l’immobile del collaboratore all’immobile del dipendente.
Viceversa, se la società dovesse addebitare al socio il giusto canone di locazione virtuale, si potrebbe supporre che, in presenza di spese di manutenzione ordinaria, queste possano dedursi in misura massima del 15% in conformità alla previsione del citato art. 90. Non si tratta formalmente di locazione poiché manca il contratto, ma nella sostanza ci si chiede quale sia la differenza. Tale addebito, peraltro, configura scenari legali ad oggi non investigati equiparabili al canone di locazione, con tutte le probabili tutele giuridiche spettanti all’inquilino.
Fonte: Eutekne autori Lelio CACCIAPAGLIA e Patrizia MARRA    
Ancor più intricata la fattispecie nell’ipotesi in cui detto immobile sia posseduto da una società trasparente: tutti i costi non deducibili relativi all’immobile (art. 90) formerebbero reddito proporzionalmente a tutti i soci, mentre il socio utilizzatore sarebbe (anche) tassato come reddito diverso per la parte di valore di mercato non addebitatogli che eccede la quota di reddito imputatagli per trasparenza, in relazione all’indeducibilità dei costi dell’immobile. Tuttavia, se il valore di mercato si dovesse ridurre alla rendita catastale, per quanto sopra detto, il socio non dovrebbe subire alcun addebito.
Su quanto detto, sarebbe utile un chiarimento ufficiale.


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