I dubbi sull`interpello disapplicativo per le società di comodo

Siamo ormai prossimi alla chiusura del 2012 che, per molte imprese, sarà il primo anno in cui si manifesta lo status di "società di comodo" e ciò a causa della sussistenza della perdita fiscale dichiarata nel triennio 2009/2011.
Per evitare le conseguenze negative che sono collegate allo status di società di comodo, se non ricorre nessuna causa di esclusione o di disapplicazione automatica, l`unica via percorribile è quella dell`interpello disapplicativo ex articolo 37-bis, c. 8 del DPR 600/1973.
Su tale procedura continuano a manifestarsi dubbi e prese di posizione contrastanti tra l`Agenzia delle Entrate e la Corte di Cassazione, per cui è opportuno fare il punto della situazione.
In primo luogo sono spesso segnalate risposte dell`Agenzia delle Entrate all`interpello in cui non si considera il caso enunciato poiché esso sarebbe stato presentato tardivamente.
Si ricorda che l`interpello prevede una tempistica di novanta giorni per la risposta, la quale deve giungere entro il termine di consegna della dichiarazione dei redditi.
Quindi gli interpelli inviati nel periodo dei novanta giorni antecedenti la scadenza del Modello Unico sarebbero tardivi.
Si ritiene che l`Agenzia delle Entrate non debba mai rifiutarsi di esaminare il problema segnalando la tardività di un interpello inoltrato, poniamo il 10 settembre 2012, poiché la risposta magari potrebbe non valere per il periodo d`imposta oggetto del modello Unico in scadenza il 30 settembre 2012 (periodo d`imposta 2011) ma, se la situazione non si dovesse modificare, potrà valere per il periodo successivo.
Ora la dichiarazione di tardività, che è una sorta di non-risposta, mette in difficoltà quei contribuenti che ritengono, anche prudenzialmente, che sia sempre necessario impugnare l`istanza di interpello per non correre il rischio che una mancata impugnazione possa tradursi in acquiescenza alla tesi delle Entrate, pregiudicando così il successivo contenzioso tributario.
La questione ruota attorno alla ricorribilità del diniego, primo aspetto, e alle conseguenze della mancata impugnazione, secondo aspetto.
Quanto al primo aspetto è nota la tesi delle Entrate che ritiene il diniego un atto non ricorribile. Diversamente la Corte di Cassazione ha affermato la tesi contraria con la sentenza 8663/2011 nella quale, ritenendo che il diniego sia in sostanza un atto di rigetto di una agevolazione tributaria, non solo ne ha affermato la possibile contestabilità, ma addirittura ha statuito che "la mancata impugnazione in termini di tale atto tipico comporta la intangibilità dello stesso, con esclusione di contestabilità successiva, ponendosi come fatto di per sè preclusivo della pretesa del contribuente nell`ambito del giudizio sul rifiuto espresso o tacito di rimborso". Tesi, quest`ultima, molto pericolosa poiché si rischia di inibire la possibilità di contestare l`avviso di accertamento se non si è contestato il diniego all`interpello.
In modo più equilibrato si pronuncia la più recente sentenza della Corte di Cassazione 17010 del 5 ottobre 2012, in cui viene mantenuta la tesi della ricorribilità del diniego ma ponendola in un`ottica di facoltà e non obbligo, sicché la mancata impugnazione non preclude più il ricorso successivo avverso l`avviso di accertamento.
Infine, va ricordato che l`inoltro dell`istanza di interpello non è più ritenuto elemento necessario per coltivare il successivo contenzioso in materia di società di comodo.
Questa iniziale posizione dell`Agenzia delle Entrate è stata superata con la Circ. 32/E/2010, nella quale si è affermata la possibilità di contestare direttamente l`avviso di accertamento senza passare per il precedente inoltro dell`istanza di interpello.
Fonte: Ratio mattino autori Paolo Meneghetti, Vittoria Meneghetti

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