Per gli immobili patrimonio delle imprese confermato il plafond del 15%

La riforma del mercato del lavoro modifica solo la disciplina per gli immobili locati da persone fisiche
La riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012) contiene alcune disposizioni di natura fiscale essenzialmente dirette a supportare, sotto forma di maggiori entrate, gli oneri derivanti dall’intervento legislativo.
Tra queste disposizioni, l’articolo 4, comma 74 prevede una riduzione dal 15% al 5% della deduzione forfettaria, riconosciuta dall’art. 37, comma 4-bis del TUIR ai canoni di locazione di fabbricati percepiti dalle persone fisiche.
La disposizione, in vigore nella versione attuale a partire dal 1993, prescinde dalla natura delle spese e dal fatto che le stesse siano state effettivamente sostenute dal locatore.
Si tratta di una previsione legislativa introdotta per ragioni di semplicità applicativa che si può tradurre in una penalizzazione ovvero in un’agevolazione, a seconda dell’ammontare delle spese effettivamente sostenute.
È evidente che, abbassando la percentuale di deduzione, aumenta la probabilità che il locatore venga tassato per un reddito inesistente.
A partire dal 2013, in caso di immobili locati, occorrerà assumere ai fini IRPEF il maggiore tra:
- il canone risultante dal contratto di locazione ridotto forfettariamente del 5% (25% per i fabbricati in Venezia centro, isole della Giudecca, Murano e Burano, percentuale che resta invariata);
- la rendita catastale rivalutata. 
Prima dell’intervento del DL 30 settembre 2005 n. 203, convertito nella L. 248/2005, il regime appena descritto operava anche con riferimento ai cosidetti immobili patrimonio, vale a dire quegli immobili relativi all’impresa che, ai sensi dell’art. 90 del TUIR , “non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa”.
Con il citato provvedimento, ferma restando l’indeducibilità dei costi e delle spese afferenti tali beni, la tassazione degli immobili locati non è più stabilita dal rinvio alla disciplina dei redditi fondiari, ma è direttamente determinata dallo stesso art. 90, comma 1 del TUIR, assumendo il maggiore dei valori tra rendita catastale rivalutata e il canone di locazione ridotto delle spese di manutenzione ordinaria sostenute entro il limite del 15% del canone (senza abbattimento forfettario).
All’epoca, la scelta del legislatore era stata criticata proprio in ragione del fatto che andava a crearsi un diverso trattamento tra imprese e persone fisiche, per le quali rimaneva ferma la deducibilità dell’importo forfettario del 15%, senza distinzione tra spese di manutenzione ordinaria e altre spese, comunque irrilevanti (cfr. circolare Assonime 7 ottobre 2005 n. 54).
Ora, per effetto di questa separazione tra le due discipline, la modifica disposta dalla L. 92/2012 non ha alcun effetto sui criteri di tassazione degli immobili patrimoniali locati dalle imprese.
Anche dal 2013, quindi, per gli immobili in questione si dovrà distinguere tra spese di manutenzione ordinaria ex art. 3, comma 1, lett. a) del DPR 380/2001 e spese di manutenzione straordinaria.
Nel primo caso, si tratta di quegli interventi edilizi attinenti le opere:
- di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici, nonché quelle
- necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
Come precisa lo stesso art. 90 del TUIR, ai fini dello scomputo delle predette spese dai canoni di locazione, occorre che le spese siano ovviamente documentate sostenute ed effettivamente rimaste a carico.
A tal proposito, la circolare dell’Agenzia delle Entrate del 13 marzo 2006 n. 10 rileva che, se nel contratto di locazione viene stabilito che le spese di manutenzione ordinaria siano addebitate al conduttore anziché all’impresa locatrice, quest’ultima non potrà dedurre gli importi delle predette spese e il canone concorrerà a formare il reddito d’impresa per l’intero ammontare contrattualmente previsto.
Quanto alle spese di manutenzione straordinaria, le stesse sono indeducibili dal reddito d’impresa e non possono essere scomputate dai canoni di locazione.
Concorrono tuttavia a formare il costo fiscale dell’immobile e rileveranno al momento dell’eventuale cessione dello stesso.
Da segnalare, infine, che il “decreto sviluppo” (DL 16/2012) ha previsto che, per gli immobili locati riconosciuti di interesse storico o artistico, concorre alla formazione del reddito d’impresa il maggiore tra:
- il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto del 35% e
- la rendita catastale rivalutata.
In questo caso, la normativa IRES risulta allineata alla disciplina fiscale prevista per le persone fisiche.
Fonte: Eutekne autore Alessandro COTTO    

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