Sponsorizzazione: prova della deducibilità

La Cassazione fa chiarezza sulla ripartizione dell’onere probatorio tra Ufficio e contribuente
Nei casi di dubbio collegamento della componente reddituale negativa con l’impresa, incombe sul contribuente la prova dell’esistenza dei fatti che danno vita a oneri e/o a costi deducibili, nonché del requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta. Quando si tratti invece delle spese strettamente necessarie alla produzione del reddito, o comunque fisiologicamente riconducibili alla sfera imprenditoriale che, in quanto tali possono ritenersi intrinsecamente inerenti all’attività di impresa, sarà l’Amministrazione a dover provare l’inesistenza, nel caso specifico, del predetto nesso di inerenza. 
La sentenza. È quanto emerge dalla sentenza n. 6548/2012, della Suprema Corte di Cassazione. 
Deducibilità. È orientamento consolidato che le spese di sponsorizzazione sono riconducibili alle spese di pubblicità e come tali integralmente deducibili. Una delle principali obiezioni mosse alle imprese in sede di verifica è l'utilità dei costi di sponsorizzazione sostenuti e dedotti dal reddito, rispetto all'attività svolta. Sul punto, una volta radicato l’eventuale contenzioso, sorge il problema dell’onere della prova, giacché non è chiaro se spetti all’Ufficio o al contribuente dimostrare detta utilità. A riguardo la Cassazione ha cercato di fare chiarezza, giungendo alla conclusione che l’onere della prova sull’inerenza delle spese di sponsorizzazione potrà essere posto a carico del contribuente solo se la natura strumentale all'attività d'impresa non risulti evidente. 
Riparto onere probatorio. Precisamente, la Sezione Tributaria ha affermato che, in linea di principio, l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno vita a oneri e/o a costi deducibili, nonché in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta, ex art. 109, comma quinto, del TUIR (D.P.R. n. 917/86), è a carico del contribuente che intenda avvalersene (v. anche Cass. n. 3305/2009 e n. 18930/2011). Ma in tema di imposte sui redditi “è del pari incontrovertibile che incomba sull'amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare, qualora la pretesa tributaria dedotta in giudizio derivi dall'attribuzione al contribuente di maggiori entrate, gli elementi o le circostanze, a suo avviso rivelatori dell'esistenza di un maggiore imponibile”. Tuttavia, siffatto riparto dell’onere della prova è applicabile ai soli casi di “dubbio collegamento” della componente reddituale negativa con l’impresa. Viceversa, laddove si tratti delle spese strettamente necessarie alla produzione del reddito, o comunque fisiologicamente riconducibili alla sfera imprenditoriale che, in quanto tali possono ritenersi intrinsecamente inerenti all’attività d’impresa, sarà l’Ufficio a dover provare l’inesistenza, nel caso specifico, del predetto nesso di inerenze. Ne deriva che, a fronte della palese riconducibilità della spesa o del costo all’impresa, sarà onere dell’Amministrazione – che intenda disconoscerne l’inerenza all’attività d’impresa, al fine di ricavarne la sussistenza di un maggior reddito tassabile in capo al contribuente – fornire la relativa dimostrazione. 
Quando c’è inerenza. Nell’occasione gli Ermellini hanno anche precisato che è “inerente” tutto ciò che, sul piano dei costi e delle spese, appartiene alla sfera dell'impresa, in quanto sostenuto nell'intento di fornire a quest'ultima un'utilità, anche in modo indiretto. L’inerenza invece è esclusa per tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare dell'imprenditore, ovvero del socio o del terzo. Quindi, ai fini della deducibilità di un compente negativa del reddito, il requisito dell’inerenza si determina in relazione alla funzione dei beni e dei servizi acquistati dall’imprenditore, ossia dalla ragione della spesa riconosciuta e contabilizzata.
Autore: Redazione Fiscal Focus

Commenti