Conferimento d’azienda con successiva cessione di quote a rischio elusione

Una sentenza di ieri della Cassazione dà nuova forza all’orientamento che ritiene configurabile, in tal caso, l’abuso del diritto
Ancora una sentenza concernente la possibilità di riqualificare in cessione di azienda l’operazione di conferimento di azienda seguita dalla cessione delle quote nella conferitaria.
Questa volta, a pronunciarsi, è la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 19 marzo 2013 n. 6835.
La pronuncia non risulta motivata in modo particolarmente approfondito (trattandosi di un’ordinanza, all’esito della quale – tra l’altro – la decisione della causa viene rimessa al giudice di secondo grado). Tuttavia, sembra dare nuova forza all’orientamento che ritiene possibile applicare l’art. 20 del DPR 131/86 in funzione antielusiva, riqualificando gli atti di conferimento d’azienda e di successiva cessione delle quote in un atto di cessione di azienda.
In particolare, la Corte afferma che la scelta, compiuta dal legislatore, nel formulare l’art. 20 del DPR 131/86, di privilegiare “l’intrinseca natura e gli effetti giuridici” degli atti portati alla registrazione, rispetto al “titolo o alla forma apparente”, implica che lo stesso concetto privatistico di “autonomia negoziale” regredisca a semplice “elemento della fattispecie tributaria”.
Pertanto – prosegue la Corte – ancorché non possa prescindersi dall’interpretazione della volontà negoziale secondo i canoni generali, nell’individuazione della materia imponibile deve darsi preminenza assoluta alla causa reale. La funzione antielusiva sottesa all’art. 20 del DPR 131/86, quindi, consentirebbe di superare l’autonomia contrattuale e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi, andando a valorizzare gli effetti economici della fattispecie globale realizzata dalla parti.
Infine – conclude la Corte – il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
Come più volte rilevato su questo quotidiano (da ultimo, si veda l’articolo pubblicato ieri: “Conferimento seguito dalla cessione della partecipazione con registro fisso”), tale tesi risulta essere minoritaria (si veda, tra i tanti articoli: “Conferimento d’azienda e cessione partecipazione, nessuna elusione”, del 26 giugno 2012). Oltre a molteplici sentenze di merito (tra le tante, si vedano C.T. Prov. Treviso 22 aprile 2009 n. 41; C.T. Prov. Prato 29 giugno 2011 n. 65; C.T. Prov. Milano 19 novembre 2010 n. 388), si ricordano, in senso opposto, la Norma dell’AIDC n. 186 e lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 95/2003/T).
L’imposta ha natura suppletiva
Inoltre, nel caso di specie, la Corte di Cassazione aggiunge che l’imposta, richiesta dall’Ufficio a seguito della riqualificazione, ha natura di imposta suppletiva (ai sensi dell’art. 42 del DPR 131/86), in quanto viene richiesta per correggere un errore compiuto dall’Ufficio in sede di liquidazione dell’imposta. Si rileva che, invece, nella nota 18 maggio 2007 n. 84127, l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto di qualificare complementare l’imposta richiesta dagli Uffici a seguito di riqualificazione fondata sull’art. 20 del DPR 131/86.
Per quanto concerne il termine di decadenza dell’azione dell’Amministrazione finanziaria, secondo la Corte di Cassazione, sarebbe quello triennale di cui all’art. 76, comma 2, lett. c) del DPR 131/86 e decorrerebbe dalla data di registrazione dell’ultimo atto portato alla registrazione. Alle medesime conclusioni, sul tema, era giunta l’Agenzia delle Entrate nella citata nota 18 maggio 2007.
Fonte: Eutekne autore Anita MAURO 

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