Nel conferimento con attività diverse dal denaro, capitale sociale «integro»

Il valore effettivo dei beni conferiti non può essere inferiore a quello dell’aumento del capitale a servizio del conferimento
Uno degli snodi più delicati nella fase di formazione del capitale sociale, sia in sede di costituzione iniziale sia in sede di successivo aumento, è rappresentato dal conferimento che i soci eseguono con attività diverse dal denaro.
L’interesse prioritario che il Legislatore vuole tutelare da eventuali irregolarità, che possono affliggere il conferimento di beni e crediti, è quello dei creditori sociali e, indirettamente, anche quello dei soci. Il capitale sociale deve essere integro, cioè non apparente per la parte riferibile al conferimento in natura; ciò che non può accadere è che il valore effettivo dei beni conferiti sia inferiore a quello dell’aumento del capitale a servizio del conferimento. Supponiamo che Tizio conferisca un bene il cui valore è 100, e destinataria del conferimento sia una società con due soci il cui valore – contabile ed effettivo – sia 200, e quindi il suo Stato patrimoniale presenta un capitale sociale di 200 e, all’attivo, beni per un pari valore. Per ricevere il conferimento di Tizio, la società aumenterà il capitale sociale di 100, a fronte del conferimento di un bene di pari valore e, dopo il conferimento, lo Stato patrimoniale della società presenterà un capitale sociale di 300 e, all’attivo, beni sempre per 300.
È da chiedersi come inquadrare l’opposta situazione in cui il capitale sociale sia aumentato di un valore inferiore a 100 – valore effettivo del bene – al di là dell’interesse specifico del conferente e di problematiche di natura contabile. In quest’ultimo caso, infatti, il valore apparente su cui fanno conto i creditori – ipotizziamo 280 (200 originari più 80 derivanti dalla valutazione del conferimento) – è inferiore a quello astrattamente realizzabile con la liquidazione dell’attivo (300). La sua liceità non è da escludersi, anche considerando che il codice civile impone che, rispetto all’aumento di capitale, il valore dei beni sia almeno pari, consentendo quindi che sia superiore. In senso positivo sulla possibilità che il capitale sociale emesso a fronte del conferimento sia nominalmente inferiore al valore effettivo, si veda la massima H.A.7 dei Notai del Triveneto.
Nel solco della problematica che attiene all’effettività del capitale sociale, si muove l’art. 2343-bis c.c. per le spa (e l’art. 2465, comma 2, per le srl), che ha lo scopo di evitare azioni elusive del principio sopra evidenziato, in particolare quelle attuate sostituendo il conferimento, e quindi l’esecuzione della procedura di garanzia prevista in questo caso, con un’operazione di vendita di un bene del socio, o di un amministratore, alla società, grazie alla quale indebolirla patrimonialmente.
Pensiamo a questo caso: un socio diviene tale versando alla società una somma in denaro per 100. Successivamente, le vende un bene del valore effettivo di 70 al prezzo di 100, che la società paga utilizzando la liquidità derivante dal conferimento originario. A operazione conclusa, la società ha un capitale sociale di 100, un bene del valore nominale di 100 ma di valore effettivo di 70 e, così, un capitale apparente per 30. Il risultato è lo stesso che si sarebbe conseguito conferendo il bene con l’assegnazione di un valore di 100.
Proprio per evitare queste situazioni, l’art. 2343-bis detta una disciplina sostanzialmente sovrapponibile a quella dettata in materia di conferimenti tout court, peraltro con alcune peculiarità. Intanto, l’acquisto è ritenuto pericoloso se interviene entro due anni dall’iscrizione della società nel Registro delle imprese e, in tal caso, esso può avvenire solo ottenuta l’autorizzazione dell’assemblea ordinaria. L’art. 2465 stabilisce che l’acquisto sia autorizzato da un’apposita decisione dei soci, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo. Si ritiene che i soci possano disporre per la non necessità della decisione in merito all’acquisto, ma non certo per l’integrale soppressione della procedura di garanzia, essenzialmente rappresentata dalla perizia di stima del valore del bene venduto, dalla quale deve risultare l’attestazione che esso non è inferiore al corrispettivo pattuito per la compravendita.
Va osservato che, in caso di mancato rispetto della procedura, l’operazione di compravendita non è invalidata. Resta anzi perfettamente valida, e l’eventuale minor valore del bene ceduto rispetto al corrispettivo pagato rappresenta il danno causato alla società (ai soci o ai terzi), che l’alienante e gli amministratori sono chiamati a rifondere in via solidale. Ciò significa che l’effettività del capitale sociale è riguadagnata in via risarcitoria.
Fonte: Eutekne autore Luca MIELE

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