Stop all’accertamento “matematico”

Sentenza della CTP di Caltanissetta in materia di studi di settore
In materia di studi di settore, deve ritenersi che la determinazione del reddito in base a un meccanismo meramente matematico non possa di per sé costituire presunzione semplice (qualificata) idonea, da sola, a far desumere l’esistenza di attività non dichiarate oppure a rendere falso o inesatto il reddito dichiarato dal contribuente e, conseguentemente, legittimare l’accertamento dell’Ufficio Finanziario.
La sentenza. Lo ha affermato la Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta, nella sentenza 169/03/13 depositata lo scorso 20 marzo.
Occorrono elementi concreti. Secondo il Collegio nisseno, che ha accolto il ricorso della contribuente, l’accertamento basato sugli studi di settore non costituisce un’autonoma forma di accertamento presuntivo, bensì un’integrazione di quanto già previsto e disciplinato dall’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973; e l’accertamento sulla base di “presunzioni semplici” di cui alla norma citata deve in ogni caso essere riferito al caso concreto e trovare giustificazione in elementi logici di inadeguatezza e incompletezza della contabilità e di quanto dichiarato dal contribuente. A ciò si aggiunga che lo stesso articolo 3, comma 184, della L. n. 549/1995 fa espresso riferimento a parametri “fondatamente attribuibili al contribuente in base alle caratteristiche ed alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta”, ragion per cui “non v’è dubbio – si legge in sentenza – che il ricorso all’applicazione di parametri presuntivi di reddito, che di per sé comporta una mera operazione matematica, debba comunque essere adeguatamente motivato con il riferimento ad elementi concreti che, con riferimento alla peculiare attività produttiva di reddito svolta dal contribuente, evidenzino in modo ‘grave preciso e concordante’ la inattendibilità di quanto dichiarato dal contribuente stesso”.
Principi costituzionali. Di contro, osserva ancora il Collegio, giustificare il ricorso all’accertamento induttivo in presenza di generici elementi matematici, porterebbe a vanificare in principi costituzionali che garantiscono a ciascun cittadino di poter organizzare liberamente la propria attività economica privata (art. 41 Cost.) e di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art. 53 Cost.), in quanto tutti sarebbero obbligati a organizzare la propria attività in modo tale da rientrare nel calcolo degli studi di settore per la realizzazione del reddito (quindi non più liberamente) e, conseguentemente, a concorrere alle spese in base a quanto stabilito dagli studi di settore.
Motivazione carente. Nel caso di specie, dove è stato regolarmente esperito il contraddittorio preventivo con l’Ufficio, il Collegio di primo grado ha annullato l’avviso di accertamento oggetto del contendere, avendo riscontrato un vizio di motivazione. L’atto infatti non è parso supportato da concreti elementi logico – presuntivi gravi, precisi e concordanti riferiti all’attività espletata in concreto dalla parte ricorrente e tali da poter far ritenere falso e incompleto il reddito dichiarato nell’anno di riferimento. Come se non bastasse, l’Ufficio si è limitato a un generico rinvio allo studio di settore, senza alcun riferimento agli elementi presi in considerazione e al criterio di calcolo matematico applicato; ciò ha impedito alla ricorrente di poter appurare l’esattezza degli elementi di calcolo presi in considerazione e dell’iter matetico seguito nella determinazione del maggior reddito contestato.
Fonte: Redazione Fiscal Focus

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