Solo una presunzione semplice sugli utili non contabilizzati

L'attribuzione degli utili extracontabili ai soci di società di capitali a ristretta base partecipativa rappresenta una presunzione semplice, rilevante solo nelle ipotesi stabilite all'articolo 2729 del Codice civile.
Pertanto, in mancanza di altri elementi atti a scardinare il sistema legale di imputazione degli utili, valido sia sotto il profilo civile che tributario, il procedimento adottato dall'amministrazione finanziaria si deve ritenere illegittimo. È quanto sostenuto dall'ordinanza 228 del 9 luglio 2010 con la quale la Ctr Marche ha rimesso al vaglio della Consulta l'automatismo contenuto nel rinvio all'articolo 384, comma 2, del Codice di procedura civile per contrasto agli articoli 23, 24 e 53 della Costituzione. Il collegio marchigiano non si è uniformato alla giurisprudenza di legittimità che ritiene legittima la presunzione e non ha condiviso il principio di diritto poiché non supportato dai tre requisiti di gravità, precisione e concordanza. Sulla stessa linea anche la Ctp Ancona. L'ordinanza 96 del 22 febbraio 2013 ha sospeso un procedimento, incardinato da altro contribuente in merito alla stessa fattispecie, in attesa della decisione del giudice delle leggi.
La prassi adottata dagli uffici porta spesso a una generalizzazione del principio di trasparenza, adottabile su opzione dalle società di capitali in possesso di determinati requisiti. Ma l'assimilazione tra società di persone e società di capitali, tassate alla stregua delle prime, non può essere giustificata dalla mera presunzione di una endemica complicità dei soci che affliggerebbe irrimediabilmente tutte le società a ristretta base partecipativa. 
In sostanza, il maggior reddito accertato in capo alla società non è suscettibile di diretta, acritica e automatica imputazione ai soci in mancanza di qualsiasi certezza in merito alla reale percezione dei dividendi (Ctr Puglia, sentenza 439/14/2008), al momento di distribuzione (Ctr Lazio, sentenza 94/2006), nonché alla percentuale di partecipazione agli utili che potrebbe non essere proporzionale a quella di partecipazione al capitale.
Un'altra questione riguarda, poi, la determinazione della base imponibile. Oggetto di distribuzione sono gli utili e non i ricavi per cui, nella determinazione del reddito imponibile, si dovrebbe tenere conto di tutti gli elementi che concorrono a formarlo, compresi i costi seppur non contabilizzati. Così come non si può ignorare che, nel rispetto delle disposizioni del Tuir che cercano di limitare il fenomeno della duplicazione d'imposta, i dividendi non possono essere tassati per intero (Ctp Treviso, sentenza 31/4/2013).
Dall'analisi di diverse sentenze di merito emerge l'orientamento, opposto rispetto a quello dei giudici di legittimità, secondo il quale la ristrettezza della base societaria rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per l'accertamento dei maggiori redditi di capitale a carico dei soci. La distribuzione degli utili deve essere provata dall'ufficio e scaturire da un maggior reddito definitivamente accertato alla società, in modo da evitare l'utilizzo di una doppia presunzione.
La ridotta compagine societaria, dalla quale deriva il vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci individuato dalla Cassazione, non può essere una colpa da sanzionare prescindendo da norme legali. Per questo ora l'intervento del giudice delle leggi è chiamato a far luce su una prassi che, seppur consolidata, non trova supporto nel diritto tributario codificato.
Fonte: Il sole 24 ore autori Riccardo Albo Serena Galeazzi

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