La perdita si può dedurre dopo la rinuncia al credito

Le perdite su crediti documentate con certezza e precisione sono deducibili anche in caso di rinuncia volontaria finalizzata a mantenere buoni rapporti con l'impresa debitrice in vista di future commesse di lavori. Si tratta, infatti, di scelte imprenditoriali inserite nella complessiva strategia aziendale che rispondono a criteri di ragionevolezza ed economicità. L'ordinanza 10256/2013 riconosce così la rilevanza fiscale delle perdite anche se non è stata provata l'assoluta irrecuperabilità dei crediti.
L'illogicità del comportamento sotto il profilo economico legittima di solito l'Agenzia – in base alla costante giurisprudenza di legittimità – a negare la deducibilità dei componenti negativi che non risultano congrui. Questa volta, invece, il principio di economicità gioca a favore del contribuente, che può dedurre le perdite dimostrando che derivano da scelte effettuate in base a valutazioni di convenienza. D'altra parte l'attuale situazione di crisi economica sta rendendo più difficile, rispetto al passato, la riscossione dei crediti da clienti importanti e la rinuncia risulta maggiormente conveniente rispetto all'esperimento di azioni giudiziali e stragiudiziali. 
La motivazione dell'ordinanza 10256/2013 richiama la sentenza 23863/2007 relativa a un caso di crediti vantati nei riguardi di uno Stato estero. La pronuncia precisava che la scelta imprenditoriale di stipulare una transazione con la quale si rinuncia ai crediti vantati verso un cliente non rende indeducibile la perdita, perché il legislatore si riferisce solo all'oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a seconda della causa di produzione della stessa. A sua volta la sentenza del 2007 aveva richiamato due precedenti pronunce:
- la 3862/2001, secondo la quale per dedurre le perdite in esame l'impresa non deve provare di essersi attivata per conseguire la dichiarazione giudiziale dell'insolvenza ma è sufficiente che le stesse risultino documentate in modo certo e preciso;
- la 10802/2002, in cui era stato precisato che l'imprenditore può, in base a considerazioni di strategia generale, legittimamente compiere operazioni di per se stesse antieconomiche in vista e in funzione di benefici economici su altri fronti.
Anche in base alla sentenza 11329/2001, la rinuncia al credito – se economicamente motivata (per l'accertata inconsistenza patrimoniale del debitore o l'inopportunità di agire giudizialmente nei suoi confronti) – rientra tra le legittime scelte dell'imprenditore e giustifica la deduzione della perdita. 
In senso conforme si è espressa anche l'amministrazione finanziaria con la risoluzione 9/517 del 1980, per la quale l'inerenza e l'inevitabilità della perdita conseguente alla rinuncia a un credito va riconosciuta per il solo fatto che la stessa «si pone in una scelta di convenienza per l'imprenditore ovverosia quando il fine perseguito è pur sempre quello di pervenire al maggior risultato economico» e che l'accertamento della ricorrenza di tale condizione «va condotto con riferimento alle specifiche condizioni in cui l'operazione si concretizza allo scopo di verificare che la stessa realizza effettivamente una scelta di convenienza per l'impresa». 
La possibilità che l'antieconomicità dell'azione di recupero integri gli elementi certi e precisi per la deducibilità delle perdite su crediti è stata affermata anche dalla risoluzione 9/124 del 1976 sui crediti di modesto importo, che ha "ispirato" l'intervento del Dl 83/2012 (articolo 33, comma 5). 
Fonte: Il sole 24 ore autore Gianfranco Ferranti

Commenti