Detrazione Iva se c'è buona fede

L'acquirente in buona fede ha diritto alla detrazione dell'Iva, in quanto non può essere responsabile del comportamento illegittimo dei suoi fornitori che evadono o commettono frodi. Sbaglia l'ufficio che la nega, considerando le operazioni soggettivamente inesistenti, ma senza fornire alcun «riscontro documentale di quegli indizi (gravi, precisi e concordanti) richiesti dalla giurisprudenza comunitaria».
Per la Cassazione, sentenza 20777/13, va quindi respinto il ricorso dell'ufficio contro la sentenza 177/2007 della Ctr della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, depositata il 22 aprile 2008. Nel caso specifico l'ufficio delle Entrate aveva emesso un avviso di rettifica per il 1997, recuperando le detrazioni dell'Iva su presunte operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. Dopo la sentenza favorevole al contribuente, con i giudici che avevano accolto il ricorso, l'ufficio ha presentato appello alla Ctr della Sicilia che ha confermato l'annullamento. Il giudice d'appello «rileva che l'ufficio fonda il suo convincimento sul fatto che le fatture emesse nei confronti dell'impresa del contribuente da imprese edili che hanno mantenuto comportamenti contrari alla legge debbano essere considerate come emesse per operazioni inesistenti, e non considerando che nessun imprenditore può essere responsabile del comportamento illegittimo dei suoi fornitori». Per il giudice d'appello «era onere dell'ufficio produrre concreti elementi di prova della legittimità della pretesa erariale», prove che non sono state portate. 
Il ricorso dell'ufficio, affidato a due motivi, è stato respinto. Per la Cassazione, secondo i più recenti approdi della giurisprudenza nazionale e comunitaria (Corte di Giustizia 21 giugno 2012) spetta all'amministrazione finanziaria, che contesta il diritto del contribuente a detrarre l'Iva pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall'effettivo cedente del bene o servizio – cosiddette operazioni soggettivamente inesistenti – «provare che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente abbia, con l'emissione della relativa fattura, evaso l'imposta o compiuto una frode (sezione 5, sentenza n. 23560 del 20 dicembre 2012)».
La relativa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, dimostrando che, al momento in cui è stata pagata l'Iva che poi avrebbe portato in detrazione, il contribuente disponeva di elementi tali da porre sull'avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto. Nel ricorso dell'ufficio mancano l'enunciazione e il riscontro documentale di quegli indizi, gravi, precisi e concordanti, circa l'inesistenza soggettiva, richiesti dalla giurisprudenza Ue e nazionale; manca altresì quell'indispensabile esposizione logica ed esauriente (Cassazione, sentenza 7825/2006) che consente la chiara e completa cognizione dei fatti (Cassazione, Sezioni unite, 11663/2006 e 2602/2003).
Per la Cassazione, nel ricorso dell'ufficio non si rinvengono, infatti, gli elementi minimi per un'adeguata conoscenza (Cassazione, sentenza 3905/1987 e 13550/2004) delle operazioni contestate, della loro natura fittizia e del fatto che il contribuente sapesse o potesse sapere che il soggetto formalmente cedente avesse evaso l'Iva o compiuto una frode, senza necessità di altre fonti.
Fonte: Il sole 24 ore autori Salvina MorinaTonino Morina

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