Indagini bancarie con via d'uscita

Ctr. I titoli di pagamento contestati dall'amministrazione finanziaria non si riferivano all'attività svolta dal contribuente
Le dichiarazioni di terzi su assegni emessi e incassati possono escludere il «nero»
Le indagini finanziarie sul titolare di una ditta individuale non possono fondare un recupero a tassazione se le dichiarazioni rese dai beneficiari e dagli emittenti degli assegni escludono la riferibilità degli stessi all'attività commerciale del contribuente. A stabilirlo è la sentenza 76/32/2013 della Ctr Lombardia (presidente e relatore Martorelli).
La vicenda al centro del contenzioso riguarda la verifica fiscale eseguita a carico di una ditta individuale esercente l'attività di bar all'esito della quale veniva contestata, tra l'altro, una maggiore Irpef al titolare sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie eseguite a suo carico. Dalle indagini finanziarie sono emerse alcune movimentazioni bancarie documentate da assegni che l'ufficio aveva ritenuto presuntivamente rappresentative di importi non dichiarati e non tassati. Le movimentazioni non erano confluite nella contabilità del contribuente e per questa ragione l'ufficio - secondo il meccanismo dell'inversione dell'onere della prova, che caratterizza gli accertamenti bancari – aveva chiesto al diretto interessato le giustificazioni delle transazioni. 
Il contribuente ha esibito le dichiarazioni scritte di emittenti e prenditori degli assegni dalle quali risultava la natura non reddituale delle somme. L'amministrazione finanziaria non ha accolto tali giustificazioni e le ha ritenute non idonee a superare la presunzione di imponibilità, in quanto sarebbero fondate esclusivamente su dichiarazioni di terzi. Di conseguenza il Fisco ha emesso l'avviso di accertamento, ponendo a base di quest'ultimo gli elementi risultanti dai conti correnti. A fronte dell'impugnazione del contribuente, la Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso e ha annullato l'avviso di accertamento. 
La Ctr Lombardia conferma la decisione di primo grado. I giudici d'appello sottolineano, infatti, che le dichiarazioni degli emittenti e dei beneficiari degli assegni contestati al contribuente non rappresentino, come ritenuto dall'ufficio, delle dichiarazioni di terzi di valore meramente indiziario, ma siano invece «inscindibilmente collegate con gli assegni, vale a dire con contratti bancari di emissione la cui esistenza giuridica non è contestata dall'ufficio e nei quali … è stata parte contrattuale il contribuente … e il sottoscrittore della dichiarazione». In altre parole, secondo il collegio, gli assegni bancari «fanno parte di un unico contesto negoziale … che non fa capo a un terzo» e le dichiarazioni delle controparti contrattuali a essi riferiti «fanno piena prova di tali negoziazioni anche nei confronti dell'amministrazione finanziaria».
I giudici della Commissione tributaria regionale interpretano dunque secondo canoni di ragionevolezza l'inversione dell'onere probatorio in capo al contribuente, che non può tradursi nell'imporre a quest'ultimo una probatio diabolica. Negli assegni rileva la sostanza del rapporto sottostante e le dichiarazioni rese da emittenti e beneficiari dimostrano che il rapporto sottostante non è espressivo di materia imponibile, dato che la causale dei titoli non riguarda transazioni effettuate per l'attività commerciale. Ciò basta al contribuente per superare la presunzione legale relativa vigente nelle indagini finanziarie. A fronte delle dichiarazioni prodotte in relazione agli assegni, in definitiva, l'ufficio non può limitarsi a negarne la rilevanza a meno che non ne dimostri la falsità.
Fonte: Il sole 24 ore autore Gianluca Boccalatte

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