Per la rivalutazione dei beni d’impresa perizie non obbligatorie

Il ricorso ad esperti indipendenti è, però, consigliato per certificare i valori di beni privi di un vero e proprio valore di mercato
Il nuovo provvedimento di rivalutazione dei beni d’impresa contenuto nella legge di stabilità 2014 impone agli amministratori delle società che intendono avvalersene alcune scelte in merito alle metodologie con le quali “certificare” i maggiori valori iscritti ed evitare contestazioni sia sul piano civilistico che su quello fiscale.
In generale, soprattutto nelle società di maggiori dimensioni, che espongono l’organo amministrativo a responsabilità potenzialmente più ampie, la scelta di affidare ad apposite perizie la misurazione del valore dei beni rappresenta la strada maggiormente seguita; va tuttavia ricordato che, a differenza di quanto previsto da altre normative, nell’ambito delle quali la perizia è obbligatoria (il pensiero va, naturalmente, alla rivalutazione delle partecipazioni e dei terreni delle persone fisiche), ai fini della rivalutazione dei beni d’impresa la perizia non è espressamente richiesta dalla legge.
La prassi contabile ha assunto sul punto nell’ultimo decennio orientamenti di segno difforme. Nel documento di ricerca Assirevi n. 71, emanato nel 2001 a commento della rivalutazione disposta dalla L. 342/2000, era stata espressa l’opinione per cui i valori da iscrivere in bilancio dovrebbero essere determinati sulla base di perizie di stima redatte da esperti indipendenti, che esplicitino chiaramente i criteri adottati per la relativa determinazione. Lo stesso documento non escludeva perizie interne quale supporto valido ai fini della verifica della congruità dei valori, ma prevedeva per le stesse apposite procedure atte ad accertarne l’affidabilità.
Nella circolare Assonime n. 13 del 2001 la posizione assunta era invece meno rigida: si evidenziava allora che possono essere utilizzati, in luogo di perizie, anche listini prezzi o corrispettivi indicati in eventuali preliminari di vendita già stipulati; il tutto, naturalmente, tenendo conto delle specificità dei beni oggetto di rivalutazione (appare, infatti, chiaro che il riferimento a listini prezzi, o in senso più lato a valori di mercato, non può essere assunto per quei beni per i quali non esiste un mercato, in quanto possono essere utilizzati dalla sola impresa che li detiene in ragione delle proprie caratteristiche tecniche).
Il riferimento ad apposite perizie di stima si rinviene anche nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 22 del 6 maggio 2009 per i fabbricati strumentali, al fine di esporre valori attribuibili in modo distinto alla componente “area” e a quella “fabbricato”; la stessa circolare ammetteva, comunque, “altri metodi” – non però specificati – per evidenziare in modo distinto tali componenti (per approfondimenti si rinvia al cap. V del Quaderno Eutekne sulla legge di stabilità 2014).
Maggiore attenzione ai beni già rivalutati
La necessità di apposite perizie sembra sussistere in modo più marcato in casi quali la rivalutazione di beni che, a loro volta, erano già stati rivalutati in passato. Riprendendo quanto sostenuto da Assonime nell’Approfondimento n. 2 del 7 febbraio 2013, si tratta di un procedimento assolutamente legittimo per tutti i beni che abbiano conservato ancora un valore economico non interamente “sfruttato” in occasione della precedente rivalutazione. Ciò può avvenire in tre situazioni.
La prima fa riferimento ai casi in cui, nella precedente rivalutazione, l’impresa non ha ritenuto di portare il valore di iscrizione in bilancio a quello effettivo (rivalutazioni “parziali”, spesso effettuate anche al solo scopo prudenziale, per evitare possibili contestazioni in merito alla “congruità” del nuovo valore, se non certificato da perizie o altri metodi sindacabili in sede civile o fiscale).
La seconda ricorre quando il valore adeguato in sede di prima rivalutazione è stato ridotto, civilisticamente e fiscalmente, dagli ammortamenti medio tempore effettuati, sicché in sede di seconda rivalutazione il valore contabile e fiscale risulta nuovamente inferiore all’effettivo valore economico.
Da ultimo, vi sono casi nei quali, pur essendosi la prima rivalutazione attestata sui valori massimi, il bene ha subìto un ulteriore incremento di valore, che lascia aperta la possibilità di un nuovo adeguamento (ad esempio, talune aree fabbricabili).
È evidente che in tali casi lo scrupolo degli amministratori deve essere massimo (risulta, infatti, che l’Agenzia delle Entrate talvolta contesti la seconda rivalutazione), al fine di poter certificare nei confronti dei terzi (Fisco compreso) la correttezza dei valori esposti in bilancio. 
Fonte: Eutekne autore Gianluca ODETTO

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