Rimborsi spese per il professionista non tassati

Secondo l’IRDCEC la nozione fiscale di compenso non comprende i rimborsi spese
Il trattamento dei rimborsi spese e delle spese “prepagate” dal committente nella determinazione del reddito di lavoro autonomo sotto la lente dell’Istituto di ricerca dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. 
È la circolare n. 37/IR del 9 gennaio 2014, diffusa ieri, ad approfondire il tema e a sottoporre ad accurato vaglio critico il tradizionale indirizzo interpretativo dell’Amministrazione finanziaria in materia.
Come è noto, la prassi amministrativa ha costantemente ricondotto alla nozione di “compenso” non solo le somme e i valori conseguiti dal lavoratore autonomo a titolo di remunerazione per l’opera svolta, ma anche le somme da questi percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute per conto del cliente (cfr., tra le altre, ris. Agenzia delle Entrate n. 69/2003).
Ad avviso dell’IRDCEC l’interpretazione più coerente dal punto di vista sia letterale che sistematico, ma anche maggiormente conforme ai principi costituzionali, è invece quella che considera le spese analiticamente rimborsate all’esercente arti o professioni totalmente ininfluenti nella determinazione del suo reddito. Ne consegue che, per un verso, il rimborso non è imponibile e, per l’altro – quale naturale contropartita –, che i costi riferibili alle spese rimborsate non sono deducibili.
Tale interpretazione trova fondamento nella nozione fiscale di compenso che non è ritenuta idonea a ricomprendere anche le somme non aventi funzione remunerativa della prestazione resa. Il legislatore, laddove ha inteso ottenere questo risultato, ha infatti utilizzato locuzioni del tutto diverse, inequivocabili in tal senso, come nel caso dei redditi di lavoro dipendente che, ai sensi dell’art. 51 del TUIR, è costituito da “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta … in relazione al rapporto di lavoro”.
Venendo al profilo sistematico, qualora le spese oggetto di rimborso siano solo parzialmente deducibili, la loro assimilazione ai compensi darebbe luogo, per la quota indeducibile di tali spese, all’emersione di un reddito imponibile meramente fittizio, non effettivamente realizzato, la cui tassazione sarebbe in contrasto con il principio di capacità contributiva.
D’altro canto, le spese analiticamente rimborsate non possono considerarsi spese “sostenute” dal lavoratore autonomo (le uniche deducibili ai sensi dell’art. 54 del TUIR), in quanto le stesse, in virtù del rimborso, restano a carico del committente. Ciò conferma che il rimborso, non avendo alcuna funzione remunerativa della prestazione resa, non potrà considerarsi imponibile.
Per quanto concerne invece le spese “prepagate” dal committente (ossia quelle inerenti all’espletamento dell’incarico che il committente sostiene direttamente per conto del professionista, il quale non risulta dunque neanche finanziariamente inciso dalle stesse) è lo stesso art. 54 del TUIR a stabilire che le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande in pubblici esercizi “sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate nella fattura” (cfr. comma 5, secondo periodo, art. 54.).
Tale disposizione presuppone, ovviamente, che il costo del servizio acquistato dal committente rappresenti per il professionista un compenso in natura da addebitare in fattura. Il che, ad una prima lettura, sembra coerente con la tesi della rilevanza reddituale dei rimborsi spese sostenuta dall’Agenzia.
L’IRDCEC sottolinea invece che, accogliendo la tesi dell’onnicomprensività della nozione fiscale di compenso, la disposizione in esame risulterebbe inutiliter data, essendo sufficiente, in tale ottica, la norma “generale” secondo cui concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo tutti i “compensi … in natura” percepiti nel periodo di imposta.
Né potrebbe sostenersi che la disposizione de qua abbia la funzione di riconoscere l’integrale deducibilità delle spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente, anche oltre i limiti stabiliti dal medesimo comma 5. Sarebbe infatti ingiustificato detto riconoscimento solo per tali ultime spese e non anche per quelle “sostenute” dal lavoratore autonomo e solo successivamente a questi rimborsate.
Contenuto precettivo della norma rintracciabile nella sua specialità
Il contenuto precettivo della norma è dunque rintracciabile, secondo l’IRDCEC, proprio nella sua specialità, di disposizione cioè che qualifica come compensi in natura le sole spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente, in deroga alla generale irrilevanza reddituale di tali spese.
L’incoerenza sistematica e l’irrazionalità della norma inducono dunque la circolare n. 37/IR ad auspicare una sua rapida abrogazione. Un intervento in tal senso è ora contenuto nell’art. 29 del disegno di legge governativo sulle “semplificazioni”, ancora in corso di approvazione (A.S. n. 958), con il quale si provvede a sostituire il vigente secondo periodo dell’art. 54, comma 5, del TUIR con il seguente: “Le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista”.
Come rilevato dall’IRDCEC, siffatta disposizione, se approvata, avrebbe dunque il pregio di ripristinare la regola dell’irrilevanza reddituale di tutte le spese “prepagate” dal committente.
Fonte: Eutekne autore Pasquale SAGGESE

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