Niente detrazione IVA se l’acquirente sapeva o poteva sapere della frode

Per la Corte di Giustizia europea spetta al giudice nazionale verificare che il soggetto passivo avrebbe dovuto rendersi conto della «frode carosello»
Pubblichiamo l’intervento di Vincenzo Pacileo, Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Torino.
Con la sentenza del 13 febbraio 2014 C-18/13, la Corte di Giustizia, adita in via pregiudiziale dal giudice bulgaro, offre alcuni spunti di interesse anche per la giurisprudenza italiana nella interpretazione della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’IVA.
La prima questione affrontata tocca il problema della detraibilità dell’IVA da parte dell’acquirente di un servizio (come nella specie giudicata) o di un bene quando la prestazione è stata bensì fornita, ma non dal soggetto apparente, non disponendo questi del personale, delle risorse materiali e degli attivi necessari, non avendo contabilizzato le spese della prestazione nei registri ed essendo dubbia l’identità dei firmatari di taluni documenti di supporto.
Ricordiamo che la fittizietà soggettiva della fatturazione non rileva ai fini delle imposte dirette, poiché il costo è stato effettivamente sopportato (Cass. 10394/2010). Le sentenze che sembrano non fare distinzione a tal proposito tra imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Cass. 20353/2010 e Cass. 14707/2008) riguardano, in realtà, frodi all’IVA. Ogni dubbio dovrebbe poi essere definitivamente dissipato dalla nuova formulazione dell’art. 14, comma 4-bis, L. 537/1993 (come modificato dall’art. 8, DL 16/2012, conv. in L. 44/2012), secondo cui ai fini delle imposte sui redditi non sono ammessi in deduzione i costi e le spese direttamente utilizzati per il compimento di delitti non colposi.
Tanto non è smentito dall’affermazione contenuta in Cass. 29061/2013, secondo cui la nuova disposizione non ha autorizzato una deducibilità incondizionata delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto essa si limita correttamente a ricordare che la deducibilità è consentita soltanto se ricorrono le altre condizioni di legge (effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi).
È, invece, pacifico che le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti possono avere un impatto sulla detraibilità dell’IVA, in particolare nelle transazioni intracomunitarie, ma anche quando è in gioco una differenza di aliquota.
Sul punto la Corte di Giustizia ha eccepito che gli indici di non-corrispondenza soggettiva della prestazione che erano stati raccolti dal giudice di merito non sono di per sé decisivi per il disconoscimento della detraibilità dell’imposta. Infatti, il diniego – avendo carattere eccezionale – è consentito soltanto a condizione che venga dimostrata in base a elementi oggettivi l’esistenza della frode e che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA commessa dal prestatore del servizio o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni.
È questo un nodo cruciale, poiché in effetti non può escludersi che, per esempio, l’acquirente finale di un’autovettura importata da un paese comunitario (che in ipotesi potrebbe detrarre l’IVA come costo attinente alla sua attività d’impresa) sia ignaro delle frode commessa dall’importatore, dal concessionario ecc., anche se si giova di prezzi ultraconcorrenziali, che di fatto si spiegano con l’evasione dell’IVA nelle frodi carosello, di cui però l’acquirente non è necessariamente tenuto a conoscere l’origine.
Pretese prove sicure del coinvolgimento soggettivo dell’acquirente
La giurisprudenza ha cominciato in qualche occasione a pretendere prove sicure del coinvolgimento soggettivo dell’acquirente nella frode, senza accontentarsi di ricostruzioni presuntive (App. Torino 22 ottobre 2008). Non può escludersi, per esempio, che nella classica “frode carosello” nel settore delle auto d’importazione comunitaria il presunto interposto (cioè colui che importa dall’estero in esenzione d’IVA e rivende con carico d’IVA) non operi in accordo con l’acquirente-concessionario d’auto, avendo comunque il suo tornaconto nell’IVA che non versa, anche se vende sottocosto.
Si noti, però, che per negare il credito d’imposta la Corte di Giustizia non pretende in maniera tassativa che l’acquirente sappia positivamente della frode a monte, essendo sufficiente che egli dovesse rendersene conto. Cosa ciò significhi dipenderà dal caso concreto, ma indica comunque una ricostruzione logica degli indizi a disposizione (chiari indizi in tal senso sono, per esempio, quelli enucleati da Cass. 20353/2010).
La sentenza aggiunge che di fronte al bivio tra rilievi dell’Amministrazione finanziaria e difesa del contribuente è compito del giudice nazionale verificare, anche d’ufficio, la fondatezza della contestazione difensiva, interpretando il diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della direttiva comunitaria, conformemente al suo obiettivo di lotta all’evasione fiscale.
In ultimo i giudici europei hanno affermato che il contribuente matura il diritto alla detrazione dal momento in cui l’IVA diventa esigibile, il che coincide, ai sensi dell’art. 63 della direttiva, con il momento in cui è effettuata la prestazione. Ne consegue che, a tenore del diritto comunitario, la detrazione non può essere negata per il solo fatto che il contribuente non abbia registrato i documenti fiscali, purchè questi contengano tutte le informazioni richieste dall’art. 226.
Fonte: Eutekne autore Vincenzo PACILEO

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