Interpello: ricorso tutto in salita contro il diniego

La Cassazione ha più volte affermato che può essere impugnata la risposta negativa a un'istanza di interpello presentato in applicazione dell'articolo 37-bis, comma 8, del Dpr 600/1973. Le pronunce di legittimità, però, aprono questioni operative di non poco conto (si veda anche Il Sole 24Ore del 29 agosto scorso).
Con la sentenza n. 17010/2012, la Corte ha affermato la possibilità di impugnare l'eventuale risposta negativa a un'istanza d'interpello disapplicativo (ad esempio, in materia di società di comodo). Il diniego, infatti, contiene una «pretesa tributaria definita», con conseguente possibile interesse dell'istante a richiederne l'annullamento.
Si è anche affermato, ribaltando un precedente e più restrittivo indirizzo (Cassazione, n. 8663/2011), che la mancata contestazione della risposta negativa dell'Agenzia non pregiudica il diritto di impugnare il successivo atto impositivo, notificato al contribuente-istante che si sia discostato dalla risposta ricevuta.
Più di recente, la Corte (sentenza n. 16183/2014) ha ribadito la natura «facoltativa» dell'impugnazione, affermando che, per il contribuente, c'è la possibilità di fornire, in ogni momento, la prova delle condizioni che consentono di superare le presunzioni di legge.
In definitiva, la Cassazione ha esteso l'ambito di tutela giurisdizionale, consentendo la facoltà (ma non l'onere) di "anticipare" il contenzioso fiscale, in una fase in cui il contribuente non corre ancora il rischio di azioni esecutive. Questa impostazione, però, apre più di un interrogativo. Vediamo perché.
Se il contribuente non si adegua alla risposta ricevuta al proprio interpello, è probabile che l'amministrazione finanziaria emetta comunque un successivo atto di accertamento. Ciò avverrà, a maggior ragione, in tutti i casi in cui l'Agenzia rischi di andare oltre i termini ordinari di decadenza. Certo, il potere di emettere l'atto di accertamento potrebbe considerarsi inibito se esiste una sentenza sul diniego ormai passata in giudicato e che si occupi del "merito" della pretesa tributaria (a patto, ovviamente, che il successivo atto di accertamento si limiti a reiterare le motivazioni già poste a base del diniego). Ma è difficile che la sentenza definitiva sull'interpello arrivi prima dell'accertamento delle Entrate. E quindi si rischia di avere due iter paralleli.
Dubbi sussistono poi sul contenuto dell'impugnazione del l'atto di accertamento successiva a quella del diniego. In tale caso, infatti, potrebbe sostenersi che nel ricorso il contribuente debba limitarsi a sollevare eccezioni sui vizi propri dell'atto successivo (ad esempio, errori di notifica) e non possa, invece, richiedere un (ulteriore) giudizio sul merito delle vicende tributarie.
Anche su questi aspetti, la delega fiscale, che prevede una nuova disciplina degli interpelli «anche ai fini di una migliore tutela giurisdizionale», sembra costituire l'occasione giusta per fare chiarezza.
Fonte: Il sole 24 ore autori Giovanni Formica Pasquale Formica

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