Antiriciclaggio, titolare effettivo obbligato a fornire i dati

Dalla disciplina e dai principi di buona fede insiti nel sistema emerge come il controllante sia indiretto destinatario degli obblighi tesi alla trasparenza
I soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio sono tenuti, tra l’altro, ad effettuare la c.d. adeguata verifica della clientela. In presenza di cliente non mera persona fisica, particolare rilievo presenta l’identificazione e la verifica dell’identità del titolare effettivo. L’importanza di tale adempimento emerge nitidamente ove si consideri che l’impossibilità di rispettarlo determina il divieto di instaurare il rapporto continuativo e di eseguire operazioni o prestazioni professionali ovvero l’obbligo di porre fine al rapporto continuativo o alla prestazione professionale già in essere, valutando l’opportunità di un’eventuale segnalazione di operazione sospetta (art. 23 del DLgs. 231/2007).
In corrispondenza con tali rigorose prescrizioni in capo ai soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio, si pone la previsione dell’art. 21 del DLgs. 231/2007, in base al quale i clienti forniscono, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate per consentire ai soggetti destinatari del DLgs. 231/2007 di adempiere agli obblighi di adeguata verifica. Ai fini dell’identificazione del titolare effettivo, i clienti forniscono per iscritto, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate delle quali siano a conoscenza.
Relativamente a tali profili sono necessariamente da segnalare i rilievi formulati dal provvedimento 17 luglio 2013 del Tribunale di Milano, solo recentemente edito.
Dalla lettera della norma – osserva il giudice milanese – deriva un chiaro ed esplicito obbligo del cliente di fornire informazioni corrette, con conseguente assunzione di responsabilità in caso di indicazioni non veritiere. E, quindi, è configurabile un onere di effettuare verifiche sulle informazioni fornite, prima della relativa trasmissione. Nel disciplinare la catena degli obblighi e degli adempimenti finalizzati a far emergere il “titolare effettivo”, non è espressamente contemplato il diritto del cliente di ottenere dalle società controllanti le informazioni che egli, sotto la propria responsabilità, deve fornire. Tuttavia, un tale diritto, con correlato obbligo del controllante, è desumibile, da un lato, dai contenuti del DLgs. 231/2007, volto a sollecitare la massima trasparenza di tutti i soggetti coinvolti in operazioni finanziarie di rilievo, e, dall’altro, da ulteriori dati normativi, che sono comunque espressione di tale principio di trasparenza.
Innanzitutto, la possibilità per il destinatario del DLgs. 231/2007 di ottenere informazioni circa il titolare effettivo “in altro modo” (ex art. 19 comma 1 lett. b) del DLgs. 231/2007) rende concepibile una richiesta “diretta” al controllante; i soggetti che hanno acquisito posizioni di controllo su altri non possono quindi “chiamarsi fuori” dal sistema. Al momento dell’acquisto del controllo, infatti, devono avere agito a ragion veduta, rappresentandosi la necessità per le controllate di fornire adeguate informazioni sui controllanti; sicché non è poi possibile opporre agli oneri di disclosure, conseguenza delle proprie scelte, un’inammissibile violazione della propria privacy. Più in particolare, il titolare effettivo può ritenersi destinatario, almeno indiretto, degli obblighi sanciti dall’art. 21 del DLgs. 231/2007. In un contesto normativo caratterizzato dai ricordati rilevanti poteri dei destinatari del DLgs. 231/2007 e da obblighi dei clienti di fornire adeguate informazioni sul titolare effettivo, il sistema deve trovare una propria coerenza, soprattutto nei casi in cui, per l’utilizzo di “paradisi fiscali”, ci si trovi al cospetto di informazioni difficilmente reperibili. E tale coerenza si raggiunge solo ravvisando l’obbligo in capo al titolare del gruppo in cui è collocata una società cliente di indicare – direttamente o tramite la controllata – i dati necessari sulla catena di proprietà.
Tale ricostruzione trova conferma anche guardando fuori dal DLgs. 231/2007. Le incombenze prospettate in capo ai soggetti che hanno acquisito posizioni di controllo si giustificano alla luce dei principi di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. Non è contestabile, infatti, che tra controllante e controllata si instauri una relazione contrattuale, derivante dall’acquisizione delle quote, e, in ogni caso, un “contatto sociale” rilevante sotto un profilo di reciproci rapporti. Una relazione contrattuale ed un contatto sociale che devono portare il controllante a preservare le prerogative delle controllate, dei loro soci e dei loro creditori, che, in caso contrario, sarebbero pregiudicati proprio dai soggetti con cui, loro malgrado, hanno instaurato tale relazione.
In sostanza, conclude il Tribunale di Milano, si tratta di applicare, in aggiunta ai principi di trasparenza sanciti dal DLgs. 231/2007, i principi di buona fede. Principi sottesi anche alla responsabilità gestoria ex art. 2497 c.c., in tema di responsabilità di chi esercita attività di direzione e coordinamento di società. Ciò senza che possa presentare alcun rilievo il fatto che, in tale ambito, possono agire solo i soci ed i creditori delle società controllate (d’altra parte, secondo taluni, anche la società controllata/eterodiretta può agire in responsabilità nei confronti di chi eserciti l’attività di direzione e coordinamento; cfr. Trib. Milano 20 dicembre 2013 e Trib. Palermo 15 giugno 2011).
Fonte: Eutekne autore Maurizio MEOLI

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