Sull’impugnabilità della risposta all’interpello tesi ancora discordanti

La C.T. Prov. di Bari, ribadendo la non impugnabilità, è in linea con la posizione dell’Agenzia, ma in contrasto con l’orientamento della Cassazione
Con la sentenza n. 2355 del 14 ottobre scorso, la C.T. Prov. di Bari ha ribadito che il diniego opposto dalla Direzione regionale delle Entrate all’istanza di interpello disapplicativo della disciplina antielusiva sulle società “di comodo” non è un atto impugnabile dal contribuente.
Secondo i giudici provinciali, il diniego alla disapplicazione di norme antielusive non può essere equiparato ad un avviso di accertamento, poiché tale atto non comporta alcuna attività di accertamento e allo stato attuale costituisce soltanto un provvedimento direttoriale privo di contenuto a carattere impositivo, tale da suscitare l’interesse immediato del destinatario a insorgere giudizialmente contro di esso.
Tale tesi, confermativa, peraltro, del decisum dell’anno prima del collegio regionale della stessa città (sentenza del 7 ottobre 2013 n. 75) si pone in linea con la posizione dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui il contribuente non può impugnare immediatamente il provvedimento del Direttore regionale, in quanto lo stesso non rientra tra gli atti impugnabili di cui all’art. 19 del DLgs. 546/1992, potendo, quindi, il contribuente ricorrere soltanto avverso il successivo avviso di accertamento (circ. 5/2007, § 3.3).
La Cassazione, invece, discostandosi dalle posizioni sopra illustrate, ha maturato due diversi orientamenti sull’impugnabilità della risposta all’interpello ex art. 37-bis, comma 8 del DPR 600/1973.
Secondo il primo e più datato, il diniego di disapplicazione della normativa antielusiva altro non è che un diniego di agevolazione, rientrante tra gli atti autonomamente impugnabili ex art. 19, comma 1 lett. h) del DLgs. 546/1992 (in tal senso, peraltro, si era già pronunciata la C.T. Prov. di Lecce n.. 93 del 15 aprile 2008). Il contribuente è quindi obbligato a presentare ricorso avverso il rigetto della DRE, al fine di contestare il merito dell’applicazione della disciplina antielusiva, con la conseguenza che, se non impugna tale rigetto, allora non può più contestare successivamente, con il ricorso avverso l’atto impositivo, l’applicazione della disciplina antielusiva.
Secondo la Cassazione, infatti, tra diniego di disapplicazione e avviso di accertamento si instaura un rapporto di presupposizione, con operatività dell’art. 19, comma 3 del DLgs. 546/1992. Pertanto, così come il contribuente che omette di difendersi contro l’accertamento non può difendersi successivamente contro il ruolo, alla stessa stregua il contribuente che omette di impugnare il rigetto dell’interpello, contestandone il merito, non può successivamente impugnare l’atto impositivo per ottenere piena tutela sullo stesso merito, ovvero l’applicazione della disciplina antielusiva oggetto di interpello e conseguente rigetto. La mancata impugnazione del rigetto, in sostanza, “cristallizza” l’applicazione del regime antielusivo (in senso conforme si veda anche Cass. n. 5843/2012).
La Suprema Corte ha maturato due diversi orientamenti
L’altro e più recente orientamento della Suprema Corte, invece, considera il diniego di disapplicazione non un diniego di agevolazione, ma semplicemente un atto di “disapplicazione di norma antielusiva”, ovvero un provvedimento impugnabile sulla base di un’interpretazione estensiva del menzionato art. 19, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.).
La mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato, secondo la Cassazione, non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la “cristallizzazione”) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19.
In conclusione, quindi, secondo tale orientamento, il rigetto dell’interpello disapplicativo è un atto impugnabile in via facoltativa, ma la sua mancata impugnazione non pregiudica il diritto del contribuente ad ottenere piena tutela ai fini della disapplicazione della disciplina antielusiva, con il successivo ricorso avverso l’avviso di accertamento (cfr. Cass. nn. 17010/2012 e 11929/2014).
Sulla base di quanto sin qui illustrato emerge, pertanto, che, per la Cassazione, in ogni caso, al contribuente non può essere negata la possibilità di impugnare il diniego opposto dalla Direzione regionale all’interpello disapplicativo, a differenza di quanto invece reiteratamente stabilito dai giudici baresi e sostenuto dal Fisco.
Fonte: Eutekne autore Alessandro BORGOGLIO

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