Azienda familiare, cessione con effetti fiscali sul titolare

Per l'Agenzia plusvalenza non tassata sui collaboratori
La tassazione della plusvalenza derivante dalla cessione di un'impresa familiare deve avvenire unicamente in capo al titolare e non anche, pro quota, in capo ai collaboratori. È quanto emerge dalle più recenti interpretazioni di prassi fornite dall'amministrazione finanziaria sul punto anche se giurisprudenza e dottrina hanno manifestato orientamenti di segno diverso.
Lo scenario
Le problematiche che riguardano il trattamento fiscale di tale componente positiva di reddito hanno origine da una norma civilistica: quella del diritto del collaboratore, all'atto della cessione dell'impresa familiare, alla liquidazione dell'incremento di valore dell'azienda, ai sensi dell'articolo 230-bis del Codice civile.
La prassi dell'amministrazione finanziaria sul tema non è stata univoca nel corso del tempo. In un primo momento, è stato affermato che, in caso di cessione di azienda familiare, la plusvalenza deve essere attribuita, pro quota, anche ai collaboratori, in proporzione alla qualità e quantità di lavoro prestato nell'impresa (nota 984 del 17 luglio 1997). Successivamente, in materia di conferimento di azienda, è stato affermato che il titolare è tenuto a liquidare ai collaboratori l'incremento del valore dell'azienda registratosi fino alla data dell'operazione e che tale liquidazione non determina conseguenze fiscali in ordine al valore delle partecipazioni. 
L'ultima affermazione, secondo l'interpretazione prevalente, porterebbe a escludere la rilevanza fiscale dell'attribuzione di somme ai familiari e ciò dovrebbe avvenire sia in caso di conferimento che di cessione di azienda in quanto non sembrano sussistere ragionevoli motivi per una differenziazione. 
Questo filone interpretativo – secondo cui la plusvalenza derivante da cessione di azienda risulterebbe tassata esclusivamente in capo all'imprenditore – è rafforzato dalla risoluzione 176/E/2008 che ha analizzato il caso della liquidazione di un collaboratore familiare che interrompe la propria prestazione lavorativa a favore dell'impresa familiare. L'attribuzione della somma liquidata al collaboratore, a titolo di quota spettante per l'incremento di valore dell'azienda nel periodo di durata del rapporto, non costituisce presupposto imponibile in capo al collaboratore uscente e non è deducibile dal reddito dell'impresa familiare.
Tale pronuncia, in tema di liquidazione per recesso, dovrebbe trovare applicazione anche in caso di cessione di azienda; pertanto, l'eventuale plusvalenza dovrebbe essere tassata in capo al solo titolare dell'impresa familiare, ivi compresa la parte liquidata ai collaboratori.
La giurisprudenza
Tuttavia tale orientamento non è in linea con la sentenza della 10017/2009 della Cassazione, secondo cui le plusvalenze derivanti da cessione di azienda familiare, «così come i redditi derivanti dall'esercizio della stessa, vanno imputati ai singoli partecipanti a prescindere dalla loro effettiva percezione». In verità, la pronuncia di legittimità dà per presupposto che l'imputazione del reddito dell'impresa familiare ai collaboratori avvenga per trasparenza. Un aspetto che, però, non è del tutto vero in quanto si tratta di un regime fiscale comunque sottoposto a condizioni di ingresso (articolo 5 del Tuir).
Il tema resta, quindi, alquanto incerto anche se la prassi amministrativa sembra nettamente orientata per la tassazione esclusiva in capo al titolare. 
Le modalità
Tale orientamento deve tuttavia anche fare i conti con le diverse regole di tassazione della plusvalenza in questione. Infatti, va osservato che la plusvalenza derivante da cessione dell'azienda può essere assoggettata a tassazione separata o a tassazione ordinaria (si veda l'altro articolo in basso). 
Se l'azienda dell'impresa familiare è posseduta da più di cinque anni, la plusvalenza realizzata mediante la cessione può essere assoggettata a tassazione separata (articolo 17, comma 1, lettera g, del Tuir). 
Si ritiene che la tassazione debba avvenire per intero in capo al solo imprenditore, che esercita l'opzione in tal senso nella propria dichiarazione dei redditi. In questo caso, occorre tenere distinta la componente «straordinaria» del reddito d'impresa da assoggettare a tassazione separata in quanto la stessa non deve confluire nel reddito d'impresa ordinario che viene invece attribuito per trasparenza anche in capo ai collaboratori, nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dall'articolo 5, comma 4, del Tuir.
Non appare, infatti, supportata da alcuna norma o recente pronuncia di prassi ministeriale la tesi secondo cui anche il collaboratore deve assoggettare a tassazione la plusvalenza di sua «pertinenza», né sembra consentito allo stesso fruire della tassazione separata.
 casi pratici
L'impatto fiscale della cessione o del conferimento dell'impresa familiare
LA SITUAZIONE
IL POSSIBILE COMPORTAMENTO
LIQUIDAZIONE DELL'INCREMENTO
L'articolo 230-bis del Codice civile attribuisce ai collaboratori familiari diritti amministrativi e diritti patrimoniali.
Fra questi ultimi, c'è il diritto di partecipazione agli incrementi dell'azienda in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato fin dall'inizio che può essere liquidato in denaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione di lavoro e in caso di cessione dell'azienda. Come si quantifica tale diritto patrimoniale?
Per quantificare l'incremento di valore dell'azienda familiare spettante al collaboratore, occorre stimare il valore effettivo (e non quello meramente risultante dalla contabilità) dell'azienda all'inizio del rapporto di collaborazione e quello al momento della cessazione del rapporto, anche a seguito di cessione o conferimento di azienda, affinché i due valori possano essere confrontati per stabilire l'ammontare del diritto patrimoniale
CONFERIMENTO D'IMPRESA
Il titolare di un'impresa familiare intende costituire una società la cui compagine sociale dovrà essere costituita dall'imprenditore stesso e dai collaboratori familiari. Nella nuova società l'imprenditore conferisce l'azienda e il collaboratore conferisce il proprio diritto di credito derivante dagli incrementi patrimoniali spettanti poiché il titolare non liquida in denaro le somme dovute al collaboratore in base all'articolo 230-bis del Codice civile
Il conferimento dell'impresa familiare non determina effetti fiscali in capo all'imprenditore in quanto l'operazione è in regime di neutralità ai sensi dell'articolo 176 del Tuir. In sede di atto di conferimento, a cui partecipano anche i collaboratori familiari, la società si accolla il debito del titolare verso gli stessi che contestualmente rinunciano alla monetizzazione del credito verso la società a fronte della partecipazione nella stessa
ACCOLLO DEL DEBITO
Al momento della cessione di una impresa familiare, le parti si accordano per il trasferimento all'acquirente del debito per diritti patrimoniali per incremento del valore dell'azienda maturati dal collaboratore familiare ai sensi dell'articolo 230-bis del Codice civile dall'inizio della collaborazione. Si tratta del trasferimento di una passività dell'azienda familiare trasferita o dell'accollo da parte  del cessionario di una passività non relativa all'azienda?
In caso di cessione di azienda, il debito nei confronti del collaboratore non costituisce un trasferimento di passività dell'azienda trasferita, ma un accollo da parte del cessionario di una passività non relativa all'azienda. In base all'accollo, il cedente può decidere se chiedere al cessionario un importo più elevato per saldare anche il debito verso il collaboratore o un corrispettivo meno elevato in quanto il cessionario si accolla il debito
LIQUIDAZIONE DEI DIRITTI
Quale differenza determina il conferimento da parte del titolare di un'impresa familiare in una nuova società nel caso di apporto da parte dei collaboratori, nuovi soci, delle somme in denaro ricevute per la liquidazione dei diritti patrimoniali spettanti, rispetto al caso in cui la società si accolla il debito personale del conferente verso i collaboratori che rinunciano alla monetizzazione del credito a fronte della partecipazione?
Nella seconda ipotesi, la newco riceve in conferimento un valore complessivo pari soltanto a quello dell'azienda dell'ex imprenditore individuale, mentre nel primo caso la società di nuova costituzione riceve sia l'azienda sia le somme di denaro previamente liquidate agli ex collaboratori familiari. In sostanza, nel secondo caso si ha un valore netto del conferimento che determina una patrimonializzazione inferiore della società conferitaria
Il tempo di possesso decide il prelievo
La plusvalenza derivante dalla cessione dell'impresa familiare va assoggettata a tassazione ordinaria in caso di azienda posseduta da non più di cinque anni o di mancato esercizio dell'opzione per la tassazione separata.
Tuttavia questa regola si concilia con difficoltà con l'imposizione da applicare in capo al solo titolare dell'impresa. Infatti, la plusvalenza derivante dalla cessione di azienda costituisce un componente positivo che confluisce nel reddito d'impresa determinato unitariamente in capo al titolare e viene poi imputato per trasparenza anche ai collaboratori. In sostanza, la plusvalenza sarebbe attribuita anche ai collaboratori come qualunque altro componente positivo del reddito.
Tale conclusione è avversata da chi sostiene che l'articolo 5 del Tuir disciplina l'imputazione dei redditi per trasparenza dell'impresa familiare con esclusivo riguardo ai redditi della gestione ordinaria e, quindi, legati alla attività lavorativa del collaboratore prestata in via continuativa e prevalente, mentre non riguarda le componenti straordinarie, come le plusvalenze.
L'imputazione per trasparenza rischia, altresì, di attribuire fiscalmente a un collaboratore familiare quote di un avviamento formatosi nel corso degli anni, avviamento cui lui non ha partecipato. È quanto accade, ad esempio, se il collaboratore ha fatto il suo ingresso in azienda poco prima della cessione dell'azienda stessa.
Ma tale tesi – che distingue tra componenti ordinarie e componenti straordinarie – può essere contrastata sostenendo che il diritto agli incrementi patrimoniali dell'azienda si perfeziona al momento della cessione di azienda (conferimento, recesso, eccetera) ma matura giorno dopo giorno in ragione del lavoro prestato e, pertanto, è difficile poter parlare di reddito «straordinario». Inoltre, il dato testuale dell'articolo 5 che fa riferimento ai «redditi delle imprese familiari» non sembra supportare la distinzione tra redditi ordinari e straordinari.
Fermo restando che la questione è priva di certezze interpretative, si può sostenere che, partendo dal presupposto oramai consolidato che gli incrementi riconosciuti ai collaboratori familiari consistono in mere attribuzioni patrimoniali che attengono al rapporto che sorge tra il titolare e i collaboratori e che non rilevano ai fini reddituali, ciò giustifichi la tassazione delle plusvalenze solo in capo al titolare. E ciò dovrebbe avvenire anche nel l'ipotesi della tassazione ordinaria. Tale soluzione appare la più coerente e il medesimo trattamento dovrebbe essere previsto, mediante una revisione normativa, anche per la liquidazione ordinaria dell'impresa familiare disciplinata dall'articolo 182 del Tuir.
Resta il problema del reddito ordinario del periodo di imposta che dovrebbe essere imputato per trasparenza anche ai collaboratori.
Nell'ottica di superare questa «stranezza» di un reddito che andrebbe tassato, per la parte ordinaria, secondo le regole della trasparenza e per la parte straordinaria in capo al solo titolare, un'ulteriore tesi è quella secondo la quale è possibile rinunciare alla trasparenza per il periodo di imposta nel corso del quale si verifica la cessione di azienda, fermo restando però che in questo caso rimarrebbe integralmente soggetto a tassazione in capo al solo titolare dell'impresa familiare non soltanto la plusvalenza da cessione di azienda, bensì l'intero reddito di impresa del periodo nell'ambito del quale la plusvalenza confluisce come mero componente.
Fonte: Il Sole 24 ore autore Luca Miele

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