Sui prelievi nessun automatismo

È sul piano dell'attività istruttoria e non delle presunzioni a base degli accertamenti che va ricercata la chiave di volta della norma sulle indagini finanziarie, dopo la sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale.
Con la dichiarazione di incostituzionalità da parte della Consulta della norma che consentiva di ritenere “compensi” non dichiarati dai lavoratori autonomi i prelievi non giustificati e non risultanti dalle scritture contabili, occorre prendere in considerazione la parte “residuale” della norma (articolo 32 del Dpr 600/1973) ancora applicabile. La previsione stabilisce che i dati relativi ai rapporti intrattenuti con gli intermediari finanziari «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41» (del Dpr 600/1973). Questa prima parte della norma riguarda indistintamente tutti i soggetti e, quindi, imprenditori, professionisti e artisti, ma anche, ad esempio, titolari di redditi diversi o di subordinazione. Prova ne è il fatto che vengono richiamati gli accertamenti svolti sia ai sensi dell'articolo 38 (del Dpr 600/1973) – relativi alla rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche, che non agiscono quali imprenditori e professionisti – sia ai sensi degli articoli 39 e 40 - che riguardano le rettifiche svolte nei confronti di soggetti tenuti alle scritture contabili e di società – nonché dell'articolo 41, relativi alla dichiarazione omessa da persone fisiche.
Poi l'articolo 32 del Dpr 600/1973 stabilisce che i prelievi non giustificati dagli imprenditori (non più i compensi dei professionisti e artisti, dopo la sentenza n. 228/2014 della Consulta) costituiscono ricavi non dichiarati a base delle stesse rettifiche e accertamenti (da intendersi gli accertamenti dell'articolo 39 del Dpr 600/1973, previsti per gli imprenditori) se non viene data indicazione del beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili. Questa norma vale ora, dunque, soltanto per gli imprenditori.
Quello che va considerato, però, è che la previsione dell'articolo 32 del Dpr 600/1973 si colloca sul piano istruttorio (la norma risulta rubricata «poteri degli uffici») e non disciplina l'attività di accertamento. La norma, infatti, stabilisce che le movimentazioni finanziarie sono «poste a base» delle rettifiche disciplinate dai successivi articoli 38, 39, 40 e 41 dello stesso Dpr 600/1973. Questo significa che i dati e gli elementi tratti dalle indagini finanziarie devono poi essere “canalizzati” all'interno delle specifiche norme che disciplinano gli accertamenti. 
Il fatto che la norma dell'articolo 32 preveda che il contribuente possa dare determinate dimostrazioni non può che essere visto, quindi, come la rappresentazione della necessità (da intendersi l'obbligo) di esperire il contraddittorio preventivo prima di effettuare l'attività di accertamento. Così che le movimentazioni per le quali il contribuente, nel corso del contraddittorio stesso, è in grado di fornire le giustificazioni richieste devono essere escluse dall'accertamento. In sostanza, la previsione dell'articolo 32 del Dpr 600/1973 valorizza la portata dell'obbligatorietà del contraddittorio preventivo rispetto all'atto di accertamento, obbligatorietà che deriva dalla giurisprudenza comunitaria e da quella di legittimità interna (Cassazione a sezioni unite n. 18184/2013 e n. 19667/2014).
La norma dell'articolo 32 non può, quindi, essere vista come norma legittimante gli accertamenti: è un qualcosa che sta a monte rispetto agli stessi. L'accertamento, con riferimento alle regole valevoli per gli imprenditori e i professionisti, deve essere emanato secondo i canoni dell'articolo 39 del Dpr 600/1973, il quale, se si osserva con attenzione, non contempla affatto alcuna presunzione legale, che inverte l'onere probatorio sul contribuente. Le norme "residuali" – dopo la sentenza della Consulta - sulle movimentazioni finanziarie non possono quindi essere considerate come presunzioni legali e non determinano alcun automatismo.
Fonte: Il sole 24 ore autore Dario Deotto

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