Ribadita l’emendabilità della dichiarazione anche in contenzioso

Nel caso di specie, la Cassazione ha applicato il principio, non nuovo, in ambito IVA
Con la sentenza n. 26187 di ieri, 12 dicembre, la Cassazione è tornata a occuparsi di emendabilità delle dichiarazioni annuali presentate dai contribuenti e, in particolare, di tale possibilità in sede contenziosa.
Il fondamento normativo della facoltà di emenda risiede nell’art. 2, comma 8 del DPR 322/1998, in base al quale, fatta salva l’applicazione delle sanzioni, è consentito integrare le dichiarazioni annuali per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini di esercizio dell’attività accertatrice.
Il successivo comma 8-bis, inoltre, permette di integrare le dichiarazioni annuali per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, con possibilità di utilizzare in compensazione il credito emergente.
La Suprema Corte ha più volte ribadito che, dato il tenore letterale delle disposizioni sopra richiamate, il contribuente può emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, anche oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo solo nell’ipotesi in cui “si tratti di correzione di errori od omissioni di carattere meramente formale, che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito, o comunque di un maggior debito d’imposta”, mentre la limitazione temporale per l’integrativa “a favore” coincidente con la scadenza per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo opera “solo per il caso in cui il contribuente voglia mutare la base imponibile” (Cass. nn. 20415/2014 e 5852/2012).
La possibilità di ritrattare, quindi, è circoscritta a quegli errori riconducibili ad una non corretta esternazione di scienza e di giudizio, rimanendone preclusa, però, in relazione a quegli errori riferibili ad una manifestazione di volontà negoziale, come nel caso dell’eventuale esercizio dell’opzione per la compensazione delle perdite pregresse (Cass. n. 7294/2012).
In base alla consolidata giurisprudenza di legittimità, se la modifica della dichiarazione avviene prima dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, il contribuente nulla è tenuto a dimostrare per operare tale rettifica, spettando, invece, all’Ufficio l’eventuale prova dell’illegittimità della correzione, sempreché ovviamente intenda contestarla nei limiti e poteri a esso conferiti.
Qualora, invece, il contribuente intenda emendare la dichiarazione successivamente all’avviso di accertamento notificato dal Fisco, essendosi in tal caso creata una “relativa stabilità probatoria”, ricade sul contribuente stesso l’onere di dimostrare l’esistenza dell’errore che intende correggere (cfr. Cass. nn. 4910/2013 e 20852/2007).
Quanto sopra implica già, evidentemente, che, secondo la Suprema Corte, la dichiarazione può essere emendata, nei limiti già indicati, finanche in sede contenziosa (Cass. n. 2226/2011), come confermato, appunto, anche dalla sentenza di ieri.
Più precisamente, dai fatti di causa emerge che una società aveva impugnato una cartella da 36-bis, a seguito di liquidazione automatica della dichiarazione, atteso che, facendo valere gli errori commessi in sede di compilazione del documento, aveva ottenuto dall’Agenzia delle Entrate lo sgravio della cartella ai fini delle imposte dirette, ma non per l’IVA, sicché era rimasto iscritto a ruolo nei suoi confronti un debito d’imposta di circa un milione di euro, invece di un credito che sarebbe emerso qualora la dichiarazione fosse stata compilata correttamente.
Il Fisco, in giudizio, non eccepiva argomentazioni di merito contro la rettifica della dichiarazione che avrebbe voluto operare il contribuente, limitandosi a sostenerne l’impossibilità della stessa in sede contenziosa.
La Cassazione, ribadendo, per l’appunto, un principio “reiteratamente affermato”, ha stabilito che il diritto del contribuente di emendare la dichiarazione è esercitabile non solo nei limiti in cui la legge prevede il rimborso ex art. 38 del DPR 602/1973, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. nn. 3754/2014, 2226/2011 e 22021/2006).
Fonte: Eutekne autore Alessandro BORGOGLIO

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