Niente avvisi alla società cancellata

Secondo i giudici l’accertamento deve sempre precedere l’uscita dal registro imprese
Il fisco può chiamare in causa i soci delle società di capitali cessate solo a una duplice condizione: l’accertamento deve precedere la cancellazione dal registro delle imprese e deve essere provato che il credito erariale non sia stato soddisfatto con le attività di liquidazione.
La decisione 1713/11/2014 della Ctr Emilia Romagna, depositata il 7 ottobre scorso (presidente e relatore Madonna) riforma integralmente la sentenza di primo grado ed entra con decisione nel dibattito in corso sul controverso tema della responsabilità di soci e liquidatori nei confronti dei debiti tributari accertati verso una società di capitali estinta. Il problema ha acquisito nuovi contorni da quando le Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenze 4060/2010 e 6071/2013) hanno affermato che, a seguito della riforma del Codice civile (Dlgs 6/2003), la cancellazione della società dal registro imprese determina a tutti gli effetti l’estinzione dell’ente, anche qualora vi siano rapporti giuridici non ancora definiti o contestazioni giudiziali ancora aperte. In questi casi, «si determina un fenomeno di tipo successorio» che trova applicazione sia per i rapporti giuridici passivi sia per quelli attivi, anche di natura processuale. 
Premesso ciò, è chiaro che vanno contemperate tre diverse (e in larga misura opposte) esigenze: quella del fisco di evitare che la cancellazione costituisca una facile “scappatoia” per non pagare i debiti tributari; quella dei soci di capitale di non rispondere in misura maggiore rispetto a quanto ottenuto dalla procedura di liquidazione; quella del liquidatore di non essere chiamato in causa quando ha agito correttamente. 
Va evidenziato che l’attuale disciplina non appare in grado di evitare lo sviluppo di lunghi contenziosi. 
Per la soddisfazione dei propri crediti, l’amministrazione finanziaria agisce utilizzando tanto l’articolo 2495 del Codice civile (secondo cui «dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi») tanto l’articolo 36 del Dpr 602/73, che disciplina le responsabilità tributarie di amministratori, liquidatori e soci, chiamando in causa questi ultimi nei limiti del danaro e dei beni sociali, ricevuti in corso di liquidazione e nei due periodi d’imposta anteriori.
Secondo la Ctr Emilia Romagna, «qualsiasi pretesa fiscale è priva di efficacia nei confronti dei soci e/o del liquidatore se all’atto della cancellazione non risultino notificati accertamenti tributari formalizzati prima della chiusura della liquidazione». 
Va ricordato che l’articolo 28 del decreto semplificazioni (Dlgs 175/2014) – formalmente in vigore dal 13 dicembre scorso – ha modificato l’articolo 36 del Dpr 602/73, prevedendo (tra l’altro) una controversa “sopravvivenza” delle società cessate «ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi». È prevedibile un acceso dibattito circa l’applicabilità di questa norma agli accertamenti in corso (circolare 31/E/2014) e sulla sua possibile efficacia a contrastare orientamenti come quello della sentenza emiliana. 
Fonte: Il sole 34 ore autore Giorgio Gavelli

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