Nuovo regime forfettario

Sotto esame le differenze nel carico impositivo dopo il restyling del regime
La legge di stabilità (legge 190/2014, articolo 1, commi da 54 a 89) ha introdotto a partire dal 2015 un nuovo regime forfetario di determinazione del reddito per imprese e professionisti di piccole dimensioni. Il reddito si determina applicando ai ricavi o compensi percepiti una percentuale di redditività che forfetizza i componenti negativi e che varia a seconda dell’attività. Nessuna rilevanza assumono i costi e le spese effettivamente sostenute. Al reddito così determinato si applica un’imposta sostitutiva dell’Irpef, delle relative addizionali e dell’Irap in misura pari al 15% (mentre nel precedente regime dei minimi l’aliquota era al 5%). 
L’accesso
L’accesso al regime è riservato alle sole persone fisiche (anche in forma di impresa familiare) con ricavi o compensi non superiori a soglie prefissate dal legislatore a seconda dell’attività esercitata e che variano da 15mila a 40mila euro. Inoltre, non si deve aver sostenuto spese per lavoro dipendente e para subordinato superiori a 5mila euro e il costo dei beni strumentali (stock) non deve superare i 20mila euro. Avere redditi da lavoro dipendente o da pensione può costituire, almeno in linea generale, una preclusione al forfait (per la spiegazione nel dettaglio della condizione si rinvia all’articolo nella pagina a lato). I requisiti di accesso vanno verificati rispetto alla data del 31 dicembre dell’anno precedente. Quindi, per accedere nel 2015 al regime forfettario occorre riferirsi al 2014. E chi apre la partita Iva a inizio anno potrà scegliere il forfettario barrando nella dichiarazione di inizio attività la casella prevista per l’adesione al precedente regime dei minimi in attesa dell’aggiornamento dei modelli, come precisato dal comunicato stampa delle Entrate dello scorso 31 dicembre.
I pro e i contro da considerare
Dal punto di vista degli adempimenti e degli oneri amministrativi, il regime forfettario presenta diversi motivi di appeal se confrontato con il regime ordinario per il quale è, comunque, possibile optare. Nel forfettario, infatti, sono eliminati gli obblighi di tenuta dei libri contabili e di registrazione dei documenti fiscali. I contribuenti nel nuovo regime, inoltre, non sono considerati sostituti di imposta né subiscono ritenute e non sono accertabili con gli studi di settore. Per quanto riguarda l’Iva, in linea generale, non si detrae e non si addebita per rivalsa l’imposta e si è esonerati da tutti gli obblighi di dichiarazione e comunicazione annuale.
Dal punto di vista del carico impositivo, invece, la valutazione andrà fatta caso per caso in quanto le variabili in gioco sono molteplici. Intanto, occorre prendere atto che per talune attività (per esempio i professionisti) il limite dei ricavi per accedere al regime è piuttosto basso e la percentuale di redditività piuttosto elevata, penalizzando tali categorie economiche. I calcoli di convenienza vanno anche effettuati verificando i costi e le spese effettive rispetto a quelle «forfettizzate» e tenendo presente che il reddito forfettario non concorre alla formazione del reddito complessivo e, quindi, può risultare particolarmente vantaggioso in presenza di altri redditi ma, allo stesso tempo, non dà diritto a detrazioni d’imposta né a oneri deducibili o detraibili (ad eccezione dei contributi previdenziali). 
La circostanza che il regime forfetario non consente la detrazione dell’Iva e non prevede addebito per rivalsa determina che il forfait appare maggiormente conveniente per i soggetti che operano nei confronti di consumatori finali e con elevato valore aggiunto in quanto a fronte di un’Iva indetraibile non addebitano l’imposta ma probabilmente manterranno invariati i prezzi con un beneficio pari all’Iva che avrebbero addebitato al netto di quella non detratta sugli acquisti.
Nell’ambito del regime forfetario è previsto un ulteriore beneficio per le nuove iniziative produttive. Infatti, il reddito determinato forfetariamente da assoggettare al 15% è ridotto di 1/3, per il periodo di inizio dell’attività e per di due successivi. Per accedere a tale ulteriore agevolazione è necessario, oltre a rispettare i requisiti per l’accesso al forfait, che nei tre anni precedenti non sia stata svolta un’attività, neanche in forma associata o familiare e che la nuova attività non costituisca la mera prosecuzione di un’altra già svolta in passato, anche sotto forma di lavoro dipendente o autonomo. 
La convivenza con i vecchi minimi
Per alcuni anni, il nuovo regime forfetario coesisterà con quello dei minimi che pagano un’imposta sostitutiva del 5 per cento. Infatti, il regime dei minimi è stato abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2015 e non è più possibile aderire a tale beneficio ma tutti coloro che nel 2014 hanno applicato il regime stesso possono continuare a farlo fino alla scadenza naturale. Pertanto, fino allo scadere dei cinque anni previsti dal legislatore o comunque fino al compimento del 35° anno di età.
Per arrivare all’imposta si applicano coefficienti differenziati a ricavi e compensi
Soglie di ricavi e costi a forfait differenziati in base al tipo di attività svolta. Sono queste le caratteristiche principali del nuovo regime fiscale agevolato per imprenditori e professionisti, così come delineato dalla legge di stabilità.
La platea
Il nuovo regime forfettario si applicherà alle persone fisiche, quindi ditte individuali, anche imprese familiari, o professionisti con partita Iva autonoma. Potranno utilizzarlo tutti coloro che hanno i requisiti previsti dalla legge di stabilità 2015, indipendentemente dalla loro età anagrafica e dall’anzianità della loro partita Iva. Per chi svolge un’attività dipendente o è pensionato, bisognerà altresì fare attenzione all’ulteriore requisito introdotto della prevalenza dei redditi di lavoro autonomo o d’impresa (si rinvia all’approfondimento in queste pagine). Rispetto al precedente regime cambiano decisamente i parametri per l’accesso. Innanzitutto, per rientrare tra i minimi occorre rispettare i limiti dei ricavi o dei compensi, differenziati a seconda del tipo di attività. In base alla tabella allegata alla legge di stabilità si va, per esempio, dai 15mila euro delle attività professionali e degli intermediari del commercio, fino ai 40mila euro per i commercianti all’ingrosso.
Il cambiamento
Nell’attuale regime dei minimi, il reddito viene determinato su base analitica (ricavi/compensi meno costi effettivi). Il nuovo regime, invece, prevede un calcolo su scala forfettaria. In pratica, occorre applicare all’ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti un particolare coefficiente di redditività, che varia a seconda del tipo attività svolta.
Sul reddito così determinato si applica l’imposta sostituiva pari al 15% (ed è previsto uno sconto per le nuove iniziative). Si tratta dunque di un deciso cambio di passo rispetto al passato, in quanto il nuovo regime si caratterizza per una diversa modalità di determinazione del reddito che prescinde, nei fatti, dai costi effettivi. Rimangono comunque deducibili i contributi previdenziali pagati. Al reddito così determinato occorre applicare l’aliquota del 15%: triplicata rispetto a quella applicabile nel vecchio regime, fissata al 5 per cento.
I «multiattività»
L’articolo 1, comma 55, della legge 190/2014 precisa inoltre che, in caso di esercizio contemporaneo di più attività ai fini dell’individuazione del limite di ricavi e compensi si assume il limite più elevato riguardante le diverse attività esercitate, a nulla rilevando, quale sia l’attività prevalente effettivamente esercitata. Non è precisato, invece, il coefficiente da utilizzare per il calcolo dell’imponibile. In attesa dell’emanazione dei decreti attuativi la soluzione più logica al riguardo sembra essere quella che prevede l’applicazione del coefficiente di redditività specifico per ogni singola attività effettuando un calcolo diversificato (in funzione dei ricavi effettivi delle varie attività) per poi arrivare a un imponibile unico sul quale applicare l’imposta sostitutiva del 15 per cento.
L’inizio dell’attività è premiato con lo sconto di un terzo sull’imponibile per i primi tre anni
L’elemento «novità» per l’attività svolta non costituirà più requisito necessario nel nuovo regime forfettario, ma consentirà di beneficiare di uno sconto sul reddito per i primi tre periodi d’imposta .
Per favorire l’avvio di nuove attività, la legge 190/2014 (articolo 1, comma 65) prevede che il reddito quantificato sulla base dei diversi coefficienti venga ridotto di un terzo. Tale riduzione troverà applicazione per il periodo d’imposta in cui l’attività è iniziata e per i due successivi. Ipotizzando l’avvio di una nuova iniziativa da parte di un agente di commercio (limite ricavi a 15mila euro e coefficiente del 62%), nel caso in cui raggiunga il limite massimo fatturabile il reddito sarà calcolato applicando sostanzialmente un coefficiente del 41,33% con un imponibile pari a 6.200 euro anziché 9.300 euro. In termini di imposta da versare (il 15% sull’imponibile) si traduce così in un risparmio di 465 euro.
La norma (comma 87) prevede che lo sconto potrà trovare applicazione anche con riferimento ai soggetti che nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 applicano i vecchi regimi agevolati (fiscale di vantaggio o nuova iniziative produttive) se in possesso dei requisiti previsti per il nuovo regime. La riduzione si applicherà per il periodo che rimane per il completamento del triennio agevolato.
I presupposti
Per beneficiare dell’agevolazione l’attività deve rispettare i requisiti della «novità»:
il contribuente non deve avere esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività, un’attività artistica, professionale o d’impresa anche in forma associata o familiare;
l’attività esercitata non deve costituire in nessun modo mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo (escluso il caso in cui quest’ultima consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti e professioni).
Qualora venga proseguita un’attività svolta in precedenza da un altro soggetto, l’ammontare dei relativi ricavi e compensi, realizzati nel periodo d’imposta precedente a quello di riconoscimento del beneficio non deve essere superiore ai limiti previsti per l’attività.
In merito ai presupposti dovrebbero valere i chiarimenti forniti dall’Agenzia in precedenti documenti di prassi e riassunti nella circolare 17/E/2012. Il requisito relativo al triennio va verificato facendo riferimento alla data a partire dalla quale si vuole accedere al nuovo regime (per esempio in caso di cessazione dell’attività precedente il 31 maggio 2012 si potrà iniziare una nuova attività a partire dal 1° luglio 2015). Il presupposto della mera prosecuzione sussiste, invece, quando l’attività intrapresa presenta il carattere della novità solo sotto l’aspetto formale, ma viene svolta in sostanziale continuità con la precedente. La continuità non può essere ravvisata se le due attività vengono svolte in ambiti che richiedono competenze non omogenee, così come nel caso di un dipendente che, una volta andato in pensione, svolga la stessa attività come autonomo.
Chance di ridurre i contributi da versare limitata ad artigiani e commercianti
Sconto sui contributi previdenziali non riservato a tutti. Il nuovo regime fiscale agevolato previsto dalla legge di stabilità consentirà di determinare i contributi previdenziali in base al reddito dichiarato (articolo 1, commi da 77 a 84, della legge 190/2014) . La misura, però, vale soltanto per imprese e artigiani. Nulla cambia, invece, per gli autonomi iscritti alle casse private legate agli ordini professionali, per cui bisognerà versare il contributo soggettivo minimo indipendentemente dal reddito dichiarato.
Niente minimi mensili
Sotto il profilo previdenziale, la novità assoluta riguarda, quindi, solo chi esercita attività d’impresa e gli artigiani i quali potendo non applicare il «livello minimo imponibile», non sono più tenuti nemmeno al versamento dei «contributi minimi» il cui pagamento scade il 16 di ogni trimestre. In questo contesto, i contribuenti che aderiscono al regime agevolato saranno chiamati a procedere unicamente con il versamento a saldo e in acconto dei contributi maturati sul reddito dichiarato, da effettuare entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi.
Il beneficio ha tuttavia un costo in quanto se l’imprenditore percepirà un reddito inferiore al minimale contributivo previsto verserà di meno, ma accumulerà, tuttavia, un montante contributivo inferiore, non coincidente con l’anno solare e proporzionalmente riducibile in base alla somma effettivamente versata.
L’accesso al nuovo regime contributivo, per i soggetti che intraprendono una nuova attività dovrà avvenire attraverso la presentazione di una specifica comunicazione telematica indirizzata all’Inps (ad oggi non ancora disponibile) al momento dell’apertura della partita Iva. Per quelli che già esercitano attività d’impresa, invece si dovrà inviare il suddetto modulo entro e non oltre il termine di decadenza del 28 febbraio di ciascun anno in cui si intende aderire al nuovo regime. Il termine fissato è tassativo. Una volta oltrepassata la scadenza, infatti, non sarà più possibile aderire ai fini contributivi al nuovo regime, salvo tuttavia il diritto di riproporre, in costanza dei requisiti richiesti per l’accesso, l’agevolazione nel periodo d’imposta successivo.
Le disposizioni contenute nella legge di stabilità sottolineano che il regime di favore per i contributi è legato a doppio filo con quello per redditi e Iva. Il venir meno anche solo di una delle condizioni previste per l’accesso al regime dei nuovi minimi, determina la fine del regime di favore anche ai fini contributivi. Ciò non significa però che obbligatoriamente le due forme agevolative debbano sempre viaggiare a braccetto. Pur avendone i diritti sotto il profilo dei redditi e dell’Iva, il contribuente potrebbe anche non optare ai fini contributivi per il regime di favore. Viceversa la cessazione obbliga, comunque sia, dall’anno successivo, al passaggio al sistema contributivo ordinario, ma soprattutto anche la definitiva impossibilità di fruire nuovamente del regime agevolato ai fini previdenziali, qualora il contribuente in futuro si riallinei con i requisiti richiesti ai fini Iva e dei redditi.
La perdita dei requisiti adesso fa scattare la fuoriuscita dall’anno successivo
La fuoriuscita dal regime forfettario si verifica dall’anno successivo a quello in cui viene meno uno dei requisiti di accesso (articolo 1, comma 71, della legge 190/2014). La decadenza, però, può scattare anche in presenza di:
utilizzo di un regime speciale Iva;
trasferimento della residenza all’estero;
effettuazione in via esclusiva di operazioni di cessione di fabbricati;
contemporanea partecipazione del soggetto a società di persone o associazioni (ex articolo 5 del Tuir) o Srl trasparenti.
Rispetto ai minimi con sostitutiva al 5%, un elemento di novità è rappresentato dal fatto che il superamento dei ricavi o dei compensi massimi su base annua non è mai causa di decadenza immediata del regime forfettario. Nel regime previsto dall’articolo 27, commi 1 e 2, del Dl 98/2011, infatti, il superamento per un importo superiore al 50% della soglia massima di ricavi o compensi ammissibili causava l’immediata decadenza dal regime. Nello scenario tracciato dalla legge di stabilità 2015 un soggetto potrebbe quindi applicare il sistema forfettario anche in presenza di un volume di compensi o di ricavi superiore al limite previsto dalla legge.
I fattori di convenienza
Questo aspetto va valutato con attenzione. La convenienza della tassazione forfettaria rispetto a quella ordinaria ruota essenzialmente attorno a due fattori. Da un lato si colloca la percentuale di redditività che sarà fisiologicamente diversa rispetto a quella effettiva. L’impressione è che preso atto delle percentuali varate con il provvedimento definitivo, i redditi da tassare saranno in generale superiori rispetto a quelli ordinariamente ritraibili, soprattutto per attività non marginali (e come tali caratterizzate da costi di struttura).
L’altra variabile è rappresentata dalla misura del prelievo in quanto l’aliquota fissa del 15% sarà nella quasi totalità dei casi, più conveniente rispetto all’applicazione dell’Irpef progressiva per scaglioni.
Alla luce di ciò sarà opportuno prevedere con attenzione l’andamento dell’attività. Il nuovo regime forfettario, infatti, si colloca come sistema naturale di tassazione in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi ma ciò non toglie che il soggetto possa comunque optare per il regime ordinario. Tale opzione, valida per almeno un triennio, è comunicata con la prima dichiarazione Iva da presentare successivamente alla scelta operata. Cambiare il regime in corsa, laddove ci si dovesse accorgere che il trattamento ordinario rispetto a quello forfettario potrebbe essere più conveniente: non è in linea di principio vietato ma pone significativi problemi pratici. Basti pensare alla necessità di applicare fin dall’inizio dell’anno l’Iva ordinaria (il soggetto forfettario, infatti, è un consumatore finale ai fini Iva) e all’effettuazione delle ritenute.
Per comprendere meglio come andranno applicate le regole procedurali nel nuovo regime occorrerà, comunque, attendere i decreti attuativi previsti dalla legge.
Per chi arriva dalla tassazione ordinaria obbligo di «restituire» l’Iva detratta
Il passaggio dal regime ordinario al regime forfettario comporta l’obbligo di restituire l’Iva precedentemente detratta (articolo 19-bis2 del Dpr 633 del 1972). L’operazione non deve essere effettuata per i beni ammortizzabili di costo unitario non superiore a 516, 46 euro e per i beni il cui coefficiente di ammortamento stabilito ai fini delle imposte sul reddito è superiore al 25 per cento.
La rettifica interesserà: le rimanenze risultanti al 31 dicembre dell’anno precedente quello di ingresso nel forfait; i servizi non utilizzati sempre alla medesima data; i beni ammortizzabili, compresi gli immobili, per i quali alla citata data antecedente non è ancora scaduto il periodo di tutela fiscale.
L’ammontare dell’Iva da restituire sarà pari: all’intero importo dell’imposta detratta per le rimanenze e i servizi non ancora utilizzati; a tanti quinti dell’imposta quanti sono gli anni mancanti al compimento del quinquennio di tutela fiscale relativamente ai beni strumentali (o tanti decimi quanti sono gli anni mancanti al compimento del decennio per gli immobili).
Bisognerà predisporre una documentazione in cui indicare, per categorie omogenee, la quantità e i valori dei beni nel patrimonio aziendale (si veda la circolare 328/E/1997). Le rettifiche della detrazione devono essere eseguite nella dichiarazione annuale Iva relativa all’anno precedente al transito nel regime forfettario. Ad esempio, un contribuente che transita nel nuovo regime il 1° gennaio 2015 deve evidenziare le rettifiche della detrazione nella dichiarazione annuale Iva relativa al 2014, da presentare nel 2015. Il versamento risultante dalla rettifica va effettuato in un’unica soluzione entro il termine del versamento del saldo dell’Iva relativa all’anno precedente.
L’esempio
Ipotizziamo un contribuente che opera nel settore della riparazione di veicoli a motore e presenta:
rimanenze finali di merci al 31 dicembre 2014 per 3.500 euro;
attrezzatura acquistata nel 2012 per 8mila euro + Iva al 20%;
registratore di cassa acquisito nel 2013 per 3mila euro + Iva al 20 per cento.
Dal 1° gennaio 2015 intende aderire al regime dei forfetari. Pertanto dovrà essere operata la seguente rettifica Iva (per semplicità di esposizione utilizziamo un’aliquota pari al 20%).
Rimanenze finali di merci al 31 dicembre 2014 per 3.500 euro. La rettifica Iva sarà pari a 700 euro (3.500 x 20%).
Attrezzatura acquistata nel 2012 per 8mila euro + Iva al 20% (1.600 euro). La rettifica Iva sarà pari a 640 euro (1.600 x 2/5).
Registratore di cassa acquisito nel 2013 per 3mila euro + Iva al 20% (600 euro). La rettifica Iva sarà pari a 360 euro (600 x 3/5).
Il totale dell’Iva da versare in rettifica ammonterà così a 1.700 euro (700+640+360).
L’ingresso consente di evitare la compilazione degli studi di settore e l’invio dello spesometro
Niente studi di settore e parametri nei confronti dei soggetti ammessi al regime forfettario. Pertanto, tali soggetti sono «al riparo» da questi strumenti di accertamento presuntivo.
Il contribuente, oltre a non essere “aggredibile”, non sarà neanche tenuto alla compilazione del modello studi di settore, né per la parte che contiene i dati contabili né per quella che include i dati extra-contabili. Quindi anche il mero adempimento compilativo è stato soppresso per i soggetti in esame.
L’impresa o il professionista dovrà unicamente compilare il quadro dedicato del modello Unico che verosimilmente conterrà poche righe per la determinazione del reddito calcolato forfettariamente. Nessuna altra informazione dovrà essere fornita in merito all’applicabilità degli studi di settore (e parametri).
In sostanza, diversamente da quanto avviene per le altre cause di esclusione dall’applicazione degli studi di settore in cui il contribuente è tenuto ad indicare un apposito codice nei quadri RE, RF o RG per segnalare la casistica a lui applicabile, i contribuenti forfettari, compilando l’apposito quadro riservato, già rendono edotta l’amministrazione della loro esclusione dall’applicazione degli strumenti accertativi presuntivi (Dl 331 /1993, articolo 62-bis, e legge 549 /1995).
Tuttavia, il contribuente sarà, comunque, chiamato ad ottemperare a precisi obblighi comunicativi. Infatti, con il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate con cui verranno approvati i modelli da utilizzare per la dichiarazione annuale dei redditi saranno individuati, per i contribuenti che applicano il regime forfettario, peculiari obblighi informativi relativamente all’attività svolta.
In attesa dei chiarimenti a riguardo, si può ipotizzare che tali obblighi atterranno, presumibilmente, la comunicazione di qualche dato extra-contabile relativo all’attività anche per testare la coerenza tra i ricavi o compensi percepiti con la struttura dell’impresa.
Gli altri vantaggi
Ma l’esonero dagli studi di settore non è l’unica semplificazione per chi aderisce al forfettario. Le altre esclusioni riguardano, infatti:
registrazione delle fatture emesse;
registrazione dei corrispettivi;
registrazione degli acquisti;
tenuta e conservazione dei registri.
Permangono, in ogni caso, gli obblighi di numerazione e conservazione delle fatture d’acquisto e delle bollette doganali oltre a quello di certificazione dei corrispettivi.
I contribuenti sono anche esonerati da:
dichiarazione e comunicazione annuale Iva;
comunicazione telematica all’agenzia delle Entrate delle operazioni rilevanti Iva (il cosiddetto spesometro);
comunicazione telematica all’agenzia delle Entrate delle operazioni effettuate nei confronti di operatori economici in Paesi black list;
comunicazione delle dichiarazioni d’intento ricevute.
Oltre 20mila euro. Prevalenza del lavoro in proprio su quello dipendente
Limiti più stringenti sul doppio reddito
Il nuovo regime delineato dalla legge di stabilità richiede il rispetto di molti dei requisiti di accesso già previsti per i vecchi minimi seppur con alcune significative differenze. I soggetti già in attività nel 2014, che intendono avvalersi del nuovo regime dovranno, in primo luogo, quantificare lo stock di beni strumentali alla data del 31 dicembre. Il comma 54, lettera c), della legge 190/2014 prevede infatti che, oltre a rispettare il volume di ricavi/compensi stabilito a seconda dell’attività svolta, l’accesso naturale al regime si verifica se il valore dei beni strumentali (al lordo degli ammortamenti) alla chiusura dell’esercizio precedente non eccede la soglia di 20mila euro.
Rispetto ai minimi con aliquota al 5% non c’è più il monitoraggio degli acquisti effettuati nei tre anni precedenti ma solo la consistenza al termine dell’esercizio precedente al netto, dunque, di eventuali dismissioni (prima irrilevanti). Nel conteggio rientrano anche i beni in locazione finanziaria, per il costo sostenuto dal concedente, e quelli in locazioni, noleggio e comodato, per il loro valore normale determinato ai sensi dell’articolo 9 del Tuir. I beni detenuti in regime d’impresa o arte e professione, utilizzati promiscuamente per l’attività ed a scopi personali o familiari concorrono invece per il 50% del loro valore. Al contrario, non devono essere conteggiati i beni con valore inferiore a 516,46 euro e gli immobili. Non dovrebbe rilevare nemmeno il valore dell’Iva indetraibile (se sarà confermato quanto detto nella circolare 13/E/2009).
Differente l’impostazione anche in relazione alle varie forme di utilizzo dei beni. Per leasing e noleggi (per i quali era prima previsto rilevassero i canoni periodici) rileverà rispettivamente il costo sostenuto dal concedente e il valore normale del bene. Quest’ultimo valore rileverà anche in caso di comodato (prima era irrilevante, si veda la circolare 7/E/2008).
Nessun riferimento viene fatto ai beni immateriali. Potrebbe quindi sembrare ragionevole sostenerne l’irrilevanza, in analogia a quanto affermato per i minimi nella circolare 7/E/2008.
Il personale
Possono poi fruire del regime forfettario anche coloro che hanno sostenuto spese per il personale, per importi annui complessivamente non eccedenti 5mila euro. Per spese del personale si intendono il lavoro accessorio, dipendenti, collaboratori, utili erogati sotto forma di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro e lavoro prestato dall’imprenditore, dai familiari e dagli altri soggetti di cui all’articolo 60 del Tuir.
Dipendenti o assimilati
Il passaggio parlamentare della legge di stabilità ha introdotto un nuovo requisito di accesso (e di permanenza) per i soggetti che dichiarano contemporaneamente redditi di lavoro dipendente o assimilati e redditi di lavoro autonomo. Questi ultimi possono accedere dal 2015 al regime forfettario (o permanervi a decorrere dal 2016) se i redditi conseguiti dall’attività d’impresa o professionale, nell’anno precedente, sono prevalenti rispetto a quelli percepiti come redditi di lavoro dipendente/assimilati. Tale prevalenza non è richiesta se la somma dei redditi agevolati e quelli di lavoro dipendente/assimilato è minore o uguale a 20mila euro o se il rapporto di lavoro dipendente/assimilato è cessato.
Esportazioni
L’effettuazione di cessioni all’esportazione non pregiudica, invece, l’accesso. Non essendo stabilita alcuna soglia, potrebbe applicare il regime anche un soggetto che effettua solo operazioni verso soggetti esteri, pur nel rispetto degli altri requisiti. Oltre alle cessioni all’esportazione possono essere effettuate anche le operazioni assimilate, servizi internazionali, cessioni verso il Vaticano e nei confronti di soggetti che beneficiano delle agevolazioni previste da Trattati e accordi internazionali. La disposizione non lo precisa ma, per coerenza con quanto in precedenza affermato in relazione ai minimi (anche se in senso di esclusione), non dovrebbero ostare anche eventuali operazioni nei confronti di San Marino. Così come non sono state inserite limitazioni per operazioni verso soggetti Ue o importazioni.
Restano infine ferme le esclusioni dai minimi che erano state già stabilite dal comma 99 dell’articolo unico della Finanziaria 2008.
Fonte: Il sole 24 ore autore Luca Miele-Mario Cerofolini-Lorenzo Pegorin-Gian Paolo Ranocchi-Matteo Balzanelli

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