Sui liquidatori il rischio dei debiti fiscali

Sul liquidatore di una società pesa il rischio di saldare i debiti fiscali se ha soddisfatto prima i creditori non privilegiati. E con effetto retroattivo di cinque anni.
Le nuove disposizioni introdotte dal Dlgs 175/2014, entrato il vigore il 13 dicembre, in materia di liquidazione societaria sono state commentate dalla circolare 31/E del 30 dicembre 2014, il cui passaggio principale consiste nell’affermare la retroattività delle nuove disposizioni in materia di effetto posticipato nei confronti del fisco dell’estinzione della società. 
Secondo le Entrate, infatti, l’effetto posticipato di cinque anni dell’estinzione si applica anche alle società che alla data del 13 dicembre 2014 erano già state cancellate dal Registro imprese. Il nuovo quadro normativo si incentra sul concetto di “colpa” nel comportamento del liquidatore, quindi questa è la chiave per decifrare il rischio personale di quest’ultimo sia in relazione alle passività fiscali sia per quelle di natura civilistica.
Il nuovo articolo 36 del Dpr 602/73 stabilisce ora che il liquidatore risponde in proprio dei debiti fiscali (in genere, quindi, compresi Iva e Irap non più solo per Ires come si aveva nella stesura ante Dlgs 175/14) laddove egli abbia soddisfatto con il ricavato della liquidazione debiti di grado inferiore rispetto a quello tributario. Il classico esempio è rappresentato dalla ipotesi di pagamento di un creditore non privilegiato (fornitore di merce o prestatore di servizi non professionista né artigiano), mentre non è stato saldato un debito divenuto definitivo di carattere tributario. In tal caso l’Erario può pretendere dal liquidatore il pagamento del debito tributario, fermo restando il tetto rappresentato dal credito d’imposta che avrebbe trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. A differenza del passato, dal 13 dicembre 2014 è il liquidatore a dover provare di aver soddisfatto i debiti societari rispettando l’ordine dei privilegi, mentre in precedenza l’onere di provare il comportamento colposo del liquidatore era posto a carico del fisco, il che costituiva spesso un elemento che rendeva nulli gli accertamenti come rilevato dalla Cassazione, sentenza 12149/2010. 
Pertanto la “ colpa” del liquidatore, che innesca la sua responsabilità personale, è non aver rispettato l’ordine dei privilegi pagando creditori meno meritevoli del credito fiscale. Ma la crescente delicatezza del ruolo del liquidatore è comprensibile solo analizzando anche l’altra modifica del Dlgs 175/2014 che tocca l’efficacia della cancellazione della società dal Registro imprese nei confronti del fisco. L’estinzione della società ora assume efficacia nei confronti dell’Erario non istantaneamente con la cancellazione al Registro imprese, bensì decorsi cinque anni dallo stesso adempimento. In questo lasso temporale l’agenzia delle Entrate potrebbe notificare contestazioni alla società, relative a infrazioni di cui, magari, il liquidatore non aveva alcuna consapevolezza al momento della cancellazione della società. Ora se egli avrà corrisposto somme a creditori non privilegiati e il debito fiscale diventasse definitivo, si manifesterebbe proprio la situazione sopra descritta: aver corrisposto somme a creditori di grado inferiore rispetto al Fisco, il che espone il liquidatore alla responsabilità personale.
Questa situazione pone il liquidatore di fronte a un bivio alquanto scomodo: se egli soddisfa debiti non privilegiati rischia di dover rispondere in proprio nel caso in cui successivamente il fisco avanzi pretese su debiti tributari relativi a violazioni commesse prima della cancellazione della società ma notificati dopo il medesimo momento; se adottando un atteggiamento prudente non soddisfa crediti non privilegiati si trova in difficoltà a chiudere la liquidazione, posto che dovrebbe eseguire un accantonamento per spese future la cui effettività è di elevata incertezza.
Da ultimo va sottolineato che l’agenzia delle Entrate, per accertare in capo al liquidatore la contestazione per tributi non versati, deve notificare un accertamento con doppia motivazione: da una parte, spiegare perché si rende dovuto il debito tributario; dall’altra, segnalare perché lo stesso debito gravi sul liquidatore. Ciò, si ritiene, anche alla luce della novità appena introdotta che inverte l’onere della prova: il liquidatore dovrà sì provare di non aver soddisfatto crediti di grado inferiore a quelli fiscali, ma resta fermo che tale comportamento deve essere citato nell’accertamento poiché è la condizione necessaria per il trasferimento del debito tributario in capo al liquidatore.
Vanno censiti oneri e proventi
Dal punto di vista civilistico l’eventuale responsabilità personale dei liquidatori in merito alle passività sociali non estinte è condizionata dall’interpretazione di un passaggio molto delicato dell’articolo 2495, comma 2 del Codice civile. In tale norma si prevede che i creditori non soddisfatti possano agire direttamente nei confronti dei liquidatori quando il mancato pagamento deriva da “colpa” degli stessi liquidatori. Quando si verifica la “colpa” nel comportamento dei liquidatori? Il dettato normativo non lo chiarisce e quindi occorre riempire di significato questo passaggio non molto ben circoscritto sul piano testuale.
In primo luogo è certamente consigliabile per il liquidatore che non voglia rischiare un comportamento colposo, il rispetto integrale delle regole contabili inserite nel documento Oic 5. Tale documento prevede una serie di adempimenti contabili non espressamente previsti nel Codice civile ma necessari per gestire correttamente la liquidazione. Un esempio di documento contabile non ricavabile dalla legge è l’inventario iniziale delle attività e delle passività della società, redatto con il criterio di realizzo (attività) ed estinzione (passività). In tale documento occorre imputare in un particolare fondo per rischi ed oneri, tutti i costi ed i proventi previsti per la liquidazione, utilizzando in contropartita il conto patrimoniale “Rettifiche da liquidazione”. L’iscrizione di quest’ultimo fondo è fondamentale perché solo con la sua predisposizione si avrà contezza se il patrimonio effettivo è sufficiente per soddisfare le passività, ed ove questo non sia, il liquidatore dovrà saperlo fin da quando assume l’incarico per richiedere un versamento aggiuntivo ai soci, oppure per richiedere il fallimento della società, come sostiene Oic 5, paragrafo 4.2. Una particolare situazione di possibile colpa si presenta quando il liquidatore ha agito correttamente secondo le prescrizioni dell’Oic 5, ma in presenza di passivo superiore all’attivo non ha attivato l’istanza di fallimento in proprio.
Al riguardo si potrebbe sostenere l’operato del liquidatore quale comportamento non colposo, se si prova che anche con l’istanza di fallimento i creditori non sarebbero stati avvantaggiati, per cui la liquidazione chiusa con passività non estinte non ha procurato loro danni maggiori rispetto a ciò che sarebbe successo con la procedura concorsuale.
Negli articoli che il Codice civile dedica alla liquidazione non emerge un obbligo specifico di rispetto dell’ordine dei privilegi dei creditori, ma si ritiene che il rispetto di tale regola debba essere presente anche nella liquidazione volontaria, poiché diversamente non si capirebbe con quale altro criterio si procederebbe al saldo di alcuni creditori al posto di altri. Simile questione è il rispetto della par condicio creditorum, altra regola non esplicitamente prevista nella liquidazione volontaria ma la cui applicazione è necessaria per evitare che al liquidatore venga imputato un comportamento colposo derivante dal soddisfacimento preferenziale di un creditore avente uguale meritevolezza rispetto ad altro creditore.
Fonte: Il sole 24 ore autore Paolo Meneghetti

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