Impugnabilità senza punti fermi

La questione degli interpelli delle società di comodo e dell’impugnazione della risposta negativa assume connotati quasi kafkiani e, per questo, attende una soluzione con l’attuazione della delega fiscale.
La disciplina delle società di comodo afferma che il contribuente «può presentare» istanza di interpello disapplicativo (articolo 37-bis, comma 8, del Dpr 600/1973). La norma prevede chiaramente la facoltà dell’interpello. Tuttavia gli orientamenti di prassi sono stati “variegati” nel tempo. In un primo momento (circolare 5/E/2007), venne addirittura affermato che se non si presentava interpello il ricorso avverso l’atto di accertamento risultava inammissibile. Poi, però, l’amministrazione ha ridimensionato la sua posizione, affermando (circolare 32/E/2010) che la mancata presentazione dell’interpello determina l’irrogazione della sanzione da 258 a 2.065 euro, oltre alla possibilità che, in sede di irrogazione delle sanzioni relativa all’atto di accertamento, l’ufficio applichi le sanzioni nella misura massima. Tuttavia va ricordato che l’irrogazione delle sanzioni nella misura massima può essere effettuata in presenza di precise condizioni di legge (articolo 7 del Dlgs 472/1997, e tra queste non risulta la mancata presentazione dell’interpello), senza contare il fatto che la norma parla chiaramente di facoltà dell’interpello. In definitiva, non vi può essere sanzione a fronte di un adempimento facoltativo.
A questo si aggiunge che la norma sulle società di comodo prevede la presentazione di un interpello disapplicativo proprio delle fattispecie a carattere elusivo, quando la disciplina non è tipo elusivo. La tematica delle società di comodo rientra, infatti, nel campo delle presunzioni di evasione, come ha poi precisato la circolare 7/E/2013.
In tutto questo, dato per scontato che è positiva una “dialettica” preventiva (cioè l’interpello) prima dell’emissione di un atto impositivo, la confusione che si è generata richiede senz’altro un intervento legislativo. E, a tal proposito, la delega fiscale (legge 23/2014) prevede il riordino della disciplina degli interpelli.
C’è poi anche la questione della possibilità di impugnare in Ctp il diniego degli interpelli disapplicativi. Attualmente, esistono posizioni contrastanti tra le Entrate e la stessa giurisprudenza. Secondo l’Agenzia e parte delle pronunce di merito, non si tratta di atti impugnabili. Tuttavia il punto d’arrivo si può considerare la sentenza 17010/2012 della Cassazione che, oltre a fare una disamina di tutti gli atti impugnabili (avvisi bonari compresi), afferma la facoltatività (comunque la possibilità) dell’impugnazione del diniego nonché la piena impugnabilità anche dell’atto di accertamento successivo. Questo perché la risposta negativa all’interpello non impedisce all’amministrazione di rivedere il proprio orientamento e, magari, di emettere un atto diverso rispetto alla risposta dell’interpello. 
Ad ogni modo, anche su questo aspetto dovrà intervenire l’attuazione della delega fiscale perché viene fatto riferimento anche alla tutela giurisdizionale delle risposte agli interpelli.
Fonte: Il sole 24 ore autore Dario Deotto

Commenti