Il riferimento ai soli «edifici» mette in crisi la fatturazione

Il reverse charge Iva interno nasce, a livello comunitario, quale forma eccezionale con cui gli Stati membri possono arginare specifici e puntuali fenomeni di frode.
Lo Stato italiano, con la legge di Stabilità del 2015, facendo scelte non perfettamente in linea con le previsioni comunitarie, ha reso la vita difficile sia agli operatori sia alla stessa amministrazione finanziaria. In effetti, l’agenzia delle Entrate ha cercato, con l’emanazione della circolare 14/E/2015, di fornire delle soluzioni per rendere più chiara l’applicazione della normativa. Il tentativo, anche se lodevole nello sforzo, non ha raggiunto l’obiettivo come dimostrano i casi sollevati da Confindustria Area politiche fiscali nel suo documento di analisi e di proposta.
Che cosa si potrebbe fare, allora, per fornire qualche soluzione di semplificazione?
In primo luogo sarebbe utile uniformare la norma nazionale al dettato comunitario estendendo il reverse charge a tutti gli immobili. In effetti il richiamo fatto dalla norma nazionale ai soli edifici ha dato luogo a una serie di problemi per distinguere come le differenti prestazioni rese devono essere fatturate.
In secondo luogo, considerando che il reverse charge è escluso nei casi in cui la prestazione è resa su beni mobili, è necessario rendere operativo in modo anticipato rispetto alla sua naturale decorrenza il regolamento Ue 1042/2013 che, per la prima volta, definisce in modo univoco quale sia la definizione di immobile. Si ricorda che il regolamento, per espressa previsione, entra in vigore dal 1° gennaio 2017, anche se, come ha ribadito la stessa Corte di giustizia, il provvedimento ha natura interpretativa e, in quanto tale, si potrebbe applicare in modo anticipato. Altri Stati membri, in effetti, hanno fatto già questa scelta (si pensi, per esempio, alla Germania).
La scelta definitoria europea renderebbe più semplice interpretare l’applicabilità del reverse charge tutte le volte che l’intervento riguarda beni mobili che insistono su beni immobili (si pensi, come richiamato da Confindustria, alle celle frigorifere ovvero a impianti più complessi quali le linee di produzione ovvero gli impianti di raffinazione).
Un altro profilo che, seppure scelto per semplificare operativamente la vita dei contribuenti, non sembra cogliere a pieno l’obiettivo è quello di far riferimento ai codici Ateco. Questo riferimento, che va relazionato in modo diretto alle concrete attività svolte dal contribuente e non alla formale iscrizione dell’attività nello specifico codice classificato, porta come conseguenza un’eccessiva rigidità del sistema che mal si concilia con la natura antievasiva della disposizione. Ad esempio, spesso il codice Ateco dell’impresa non corrisponde all’attività svolta a causa dell’ampliamento dell’attività della stessa senza la correlata introduzione di un nuovo codice.
Infine, interpretativamente, bisognerebbe definire meglio il concetto di cessione con posa in opera, che è esclusa dalla particolare disciplina, in quanto la cessione prevale sulla prestazione di servizio. Questo tipo di forma contrattuale si differenzia dall’installazione di impianti che, invece, è soggetta al reverse charge.
Fonte: Il sole 24 ore autori Benedetto Santacroce -- Franco Vernassa

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