L’«utilità» salva le sponsorizzazioni

Il nesso territoriale e la capacità di influenzare i clienti giustificano la deducibilità
Le condizioni per la deducibilità delle spese per la sponsorizzazione del marchio aziendale continuano ad essere al centro di numerosi interventi della Cassazione, in attesa che alle problematiche interpretative possa essere data una soluzione normativa. La Corte ha affermato che l’impresa che intende dedurre i costi per la sponsorizzazione del proprio marchio deve dimostrarne l’utilità per lo sviluppo dell’attività commerciale, l’idoneità a influenzare le scelte della clientela (anche potenziale), l’effettività delle prestazioni rese e la congruità della spesa sostenuta. Di recente si è, peraltro, verificato un contrasto giurisprudenziale in merito alla necessità che sussista un legame territoriale con il luogo di svolgimento dell’attività.
La Suprema corte ha ritenuto, nella sentenza 24478/2014, che quando l’agenzia delle Entrate ritiene fittizi i costi di sponsorizzazione è onere dell’impresa dimostrare che il rapporto negoziale abbia avuto effettiva esecuzione, non potendo limitarsi a eccepire la correttezza del dato contabile. La giurisprudenza di merito ha ritenuto, ad esempio, necessario dimostrare le modalità di divulgazione del messaggio pubblicitario allegando il relativo materiale fotografico (Ctp di Cremona 182/03/14) - anche se non è sufficiente limitarsi a presentare «fotografie di auto non contestualizzate in un contesto di gara» (Ctp di Pavia 69 e 70 del 2013) – o di aver controllato l’operato del fornitore della pubblicità online, verificando attraverso i provider l’effettivo traffico internet, il numero dei visitatori, la copia delle pagine web salvate presso il server e alcuni campioni-stampa delle migliaia di email spedite (Ctp Treviso 38/4/13).
La giurisprudenza prevalente della Cassazione ha ritenuto che debba sussistere un collegamento tra il luogo in cui si svolge l’evento sponsorizzato e quello in cui risiede la potenziale clientela dell’impresa che sostiene la spesa, al fine di dimostrare il «concreto vantaggio che nello specifico contesto territoriale ne avrebbero potuto ritrarre le attività … in termini di allargamento della clientela e di incremento dei ricavi» (sentenza 10914/2015).
Nella stessa direzione, con la pronuncia 25100/2014 è stato ritenuto non sussistere il requisito dell’inerenza perché una ditta operante in Italia aveva sponsorizzato due auto partecipanti a un racing svoltosi in Paesi esteri. Inoltre, nella sentenza 27482/2014 sono state considerate di rappresentanza le spese sostenute da una società che, pur operando in ambito prevalentemente europeo e mondiale, aveva sponsorizzato «una modesta realtà dilettantistica locale», senza dimostrare il rapporto funzionale con il mercato di sbocco dei prodotti e l’idoneità della sponsorizzazione «a condizionare le scelte economiche di una cerchia significativa di potenziali clienti».
Un caso in parte analogo era stato in precedenza affrontato nell’ordinanza 3433/2012, riguardante una società operante nel settore dell’impiantistica per imballaggi, la quale avrebbe dovuto fornire la prova della sussistenza di una «diretta aspettativa di ritorno commerciale» che potesse risultare «ragionevolmente riconducibile all’attività di un pilota professionista» e all’apposizione sulla vettura da corsa della denominazione della stessa società.
In senso difforme si è, invece, espressa la sentenza 3770/2015, in cui è stato affermato che la pubblicità ha la funzione di «sensibilizzare preventivamente l’interesse dei consumatori verso beni o servizi ancora non offerti concretamente». Secondo i giudici, inoltre, è quindi da escludere che «debba sussistere un legame territoriale tra l’offerta pubblicitaria e l’area geografica in cui l’impresa svolge la propria attività». Si ritiene, comunque, necessario che il contribuente dimostri il concreto vantaggio “prospettico” che la sponsorizzazione può apportare all’attività dell'impresa.
Le affermazioni della Suprema corte, peraltro, vanno contestualizzate rispetto ai casi affrontati, nei quali poteva sorgere il sospetto di una successiva restituzione (totale o parziale) allo sponsor del corrispettivo da parte del soggetto sponsorizzato.
Fonte: Il sole 24 ore autore Gianfranco Ferranti

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