Recesso iscritto nel registro imprese

Il socio procede d’ufficio solo se è certa la legittimità dell’operazione
In una società di persone, mentre è chiaro che se il socio lascia la compagine societaria per effetto di una cessione della partecipazione occorre eseguire un atto notarile modificatorio dei quello costitutivo, dubbi maggiori si pongono in caso di recesso, perché esso viene semplicemente comunicato dal socio.
Inoltre, ci sono le situazioni conflittuali in cui un socio ritiene di poter recedere, mentre gli altri soci hanno diversa opinione.
Nel tentativo di indagare la soluzione per ogni fattispecie, la prima domanda da porsi è se e perchè il recesso debba essere oggetto di pubblicità legale. La risposta a questa domanda viene dalla direttiva Mise del 27 aprile 2015, ove si afferma che il recesso del socio di società di persone costituisce modifica dell’atto costitutivo e, come tale, deve essere oggetto di iscrizione nel registro delle imprese, in base al combinato disposto degli articoli 2295 e 2300 del Codice civile.
Quest’ultima norma prescrive l’obbligo di iscrivere le modifiche dell’atto costitutivo al registro delle imprese entro 30 giorni da quando la modifica assume efficacia, e l’adempimento permette di rendere opponibile a terzi il contenuto della modifica. 
Specificatamente per il recesso, inoltre, la pubblicità a terzi assolve anche un altro compito: quello di liberare il socio receduto da responsabilità sulle obbligazioni sociali contratte dopo l’effetto dello scioglimento del rapporto sociale. Ma tale effetto, in base all’articolo 2290, comma 3, del Codice civile, si ha solo se lo scioglimento è stato portato a conoscenza di terzi con mezzi idonei.
Ebbene, il mezzo idoneo è proprio l’iscrizione al registro delle imprese. 
L’adempimento è eseguito dagli amministratori della società e con ciò si chiarisce che: 
- non serve l’intervento notarile
- l’unico soggetto legittimato ad adempiere è l’organo amministrativo e non il socio recedente, salvo il caso che lo stesso organo amministrativo risulti inadempiente.
Quanto alla scadenza, la direttiva segnala che, passati i trenta giorni da quando la comunicazione di recesso è divenuta efficace, essa deve ritenersi tardiva e come tale suscettibile di sanzione da 206 a 2065 euro, comminabile ad ogni amministratore inadempiente. 
Questo aspetto rende necessario fare chiarezza sul momento in cui il recesso diviene efficace, problematica che ruota intorno a due tesi:
- efficacia immediata al momento della comunicazione eseguita dal socio recedente
- efficacia successiva al momento dell’effettiva conclusione della procedura, tramite il rimborso della quota versato dalla società al socio.
Un comportamento prudenziale potrebbe essere scegliere la prima tesi, ritenendo che una volta eseguita la comunicazione, il socio diventi un semplice creditore della società.
Al di là dell’aspetto sanzionatorio, ci si chiede cosa accade se gli amministratori non eseguono l’iscrizione e come farà il socio a rendere edotti terzi dell’avvenuto recesso.
L’articolo 2190 del Codice civile prevede la possibilità dell’iscrizione d’ufficio della modifica, ma la situazione è delicata, poiché mentre il socio recedente potrebbe ritenere di avere diritto a recedere, diversa opinione potrebbero avere gli altri soci (che per questo, in quanto amministratori, non hanno eseguito l’iscrizione). 
La direttiva Mise stabilisce che se il recesso dipende da giusta causa non è possibile richiedere da parte del socio recedente l’iscrizione d’ufficio ma, al contrario, egli dovrà innescare una causa per arrivare a un giudizio di merito che accerti la giusta causa del recesso.
In sostanza l’iscrizione d’ufficio su richiesta del socio recedente appare possibile solo dove non vi sia il minimo dubbio sulla legittimità del recesso, essendo escluso che il registro possa eseguire valutazioni di merito in ordine alla efficacia o meno dello scioglimento del rapporto sociale.
Fonte: Il sole 24 ore autore Paolo Meneghetti
PUBBLICITÀ LEGALE NEL RECESSO DA SOCIETÀ DI PERSONE: QUALI FORME?
Il recesso è una modifica di atto costitutivo, ovvero un atto iscritto al registro delle imprese, pertanto qualunque modifica venga apportata, dovrà necessariamente essere “iscritta” nello stesso registro delle imprese. L’obbligo deriva dalla necessità di rendere noto a terzi , tramite pubblicita legale, che è cambiata la compagine sociale e per determinare il momento fino al quale il socio uscente risponde in proprio delle obbligazioni societarie
CHI DEVE ESEGUIRE L’ISCRIZIONE?
Quando la modifica di atto costitutivo deriva da un atto notarile, è il notaio rogante che deve iscrivere la nuova clausola al registro delle imprese. Per il recesso è stato riconosciuto dal ministero delle Sviluppo Economico che non serve l’intervento del notaio, bensì è sufficiente che gli amministratori iscrivano la modifica al registro imprese
IL SOCIO PUÒ FARSI PARTE DILIGENTE E ISCRIVERE IL SUO RECESSO?
Il socio può farsi carico dell’iscrizione del suo recesso al registro imprese, richiedendo la cosiddetta registrazione d’ufficio, cioè chiedendo che provveda direttamente il registro imprese. Per fare ciò , però, occorre che non vi siano dubbi sulla legittimità del recesso del socio e che la mancata iscrizione dell’atto a cura degli amministratori dipenda da una loro semplice omissione
NEL RECESSO CHI PAGA LA QUOTA AL SOCIO USCENTE?
Nella forma tradizionale del recesso, si ha una riduzione del capitale sociale e delle riserve in contropartita dell’eliminazione di una partecipazione. Tale riduzione comporta che sia la società a pagare al socio uscente il valore della sua quota. Esiste anche la forma atipica di recesso, esplicitamente prevista nella società di capitali, con cui il recesso avviene per acquisto della quota del socio uscente da parte degli altri soci.

Dalla comunicazione di uscita l’«ex» è solo titolare di un credito
Un problema di particolare interesse è stabilire se la comunicazione di recesso da parte del socio abbia efficacia immediata (e quindi lo privi di qualunque diritto afferente la partecipazione), o se, al contrario, l’efficacia del recesso debba intendersi differita al momento in cui venga conclusa la procedura e cioè quando il socio riceve la somma convenuta in cambio della sua partecipazione.
La questione è molto dibattuta in dottrina e un esito di questa discussione è contenuto nello studio del notariato 188/2011, in cui si prendono in esame le due diverse tesi a difesa dell’efficacia immediata, o differita, del recesso. In linea di massima, si può dire che prevalga la tesi dell’efficacia immediata della comunicazione, perchè tale posizione è in linea con la natura giuridica del recesso, che è un atto unilaterale recettizio.
Inoltre, sostenendo questa tesi, si giunge a una conclusione razionale, mentre con la tesi contraria si avrebbe un periodo, talvolta anche piuttosto lungo, nel quale un soggetto, pur essendosi ormai dichiarato disinteressato a partecipare alla vita della società, manterrebbe i suoi diritti di influenzare le scelte della medesima, esprimendo il proprio voto in assemblea.
In sostanza si può dire che dalla data della comunicazione di recesso, il socio perde il proprio status e diviene semplicemente un titolare di credito, fino a quando non abbia incassato le somme convenute. Dal punto di vista giurisprudenziale, c’è una conferma alla tesi dell’efficacia immediata della comunicazione di recesso, quale atto che priva il socio dei diritti legati alla partecipazione e lo fa diventare un titolare di credito, nella sentenza del tribunale di Napoli 11 gennaio 2011. Qui, infatti, si afferma che: «il recesso è negozio unilaterale recettivo, giuridicamente efficace dal momento in cui la relativa dichiarazione è ricevuta dalla società. Da tale momento il socio perde il suo status e, di conseguenza, la legittimazione a esercitare i diritti sociali, divenendo creditore della società per la liquidazione della quota».
Dalla data di efficacia derivano conseguenze fiscali. Nel caso del recesso atipico (per acquisto delle quote da parte di altri soci) si realizza sul piano fiscale un reddito diverso da capital gain, per il quale il momento essenziale è l’atto di cessione. Fino a quel momento non si genera alcun presupposto impositivo, nemmeno se il socio recedente avesse incassato somme quali acconti sulla futura dismissione. In tal caso non si può sostenere che il recesso, sul piano fiscale, assuma efficacia con la comunicazione eseguita dal socio, bensì solo dopo aver eseguito l’atto di cessione.
Diverso il ragionamento per il recesso tipico (cioè la società rimborsa al socio la quota), che genera reddito da partecipazione se la società è di persone, ovvero reddito da capitale se la società è di capitali. In tal caso, il criterio fondante l’obbligazione tributaria è la percezione del corrispettivo che, naturalmente, deve essere ricondotto a un certo negozio giuridico. A partire da quando è inviata la comunicazione, si può ritenere verificato l’effetto giuridico del recesso e quindi da quel momento le somme incassate dal socio recedente (anche in acconto) determinano il reddito da partecipazione o da capitale.

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