Sponsor salvo senza ricavi extra

Il mancato aumento del fatturato non basta a negare la deduzione delle spese
È illegittimo l’accertamento dell’antieconomicità di una sponsorizzazione, se è fondato solo sull’assenza di maggiori ricavi conseguiti in quell’anno. Quella riguardante la pubblicità è una scelta dell’imprenditore cui non può automaticamente conseguire l’indeducibilità del costo. Ad affermarlo è la Ctr della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la sentenza 3421/67/2015 (presidente Montanari, relatore Sacchi).
L’agenzia delle Entrate controllava i costi sostenuti da una società per spese di pubblicità sulla base dei contratti siglati con un’associazione sportiva dilettantistica locale per la promozione durante gli eventi e le gare.
Al termine del controllo, l’ufficio riscontrava una notevole sproporzione tra la spesa sostenuta per la sponsorizzazione e il possibile ritorno economico, stante la limitata visibilità di un campionato sportivo dilettantistico. Concludeva così per l’antieconomictà della prestazione e la conseguente non inerenza dei costi sostenuti, riprendendoli interamente a tassazione ai fini sia delle imposte dirette sia dell’Iva.
Gli avvisi di accertamento venivano impugnati dalla società, che lamentava, tra i diversi motivi, l’assenza di prova circa l’asserita antieconomicità degli oneri sostenuti.
La Ctp accoglieva il ricorso e la decisione veniva appellata dall’Agenzia. La Ctr, confermando la sentenza di primo grado, ha osservato che è solo l’imprenditore a poter decidere se e come intervenire in qualità di sponsor, valutando i costi, i tempi e i luoghi cui effettuare la pubblicità, per conseguire la massimizzazione del profitto, pur non avendo alcuna certezza dei risultati che si realizzeranno.
Il collegio ha poi rilevato che, in ogni caso, sebbene si trattasse di un’associazione dilettantistica, la sponsorizzazione non aveva raggiunto solo il pubblico locale, poiché attraverso la stampa e altri mezzi di trasmissione aveva certamente coinvolto un maggior numero di soggetti.
Con rifermento all’asserita antieconomicità rilevata dall’ufficio, il giudice ha evidenziato che la contestazione era, sostanzialmente, fondata solo sul presupposto che al costo sostenuto dovessero «obbligatoriamente» conseguire maggiori ricavi e ciò a prescindere dalla concreta realtà economica, che in generale non si presenta particolarmente florida.
Secondo la Ctr, infatti, l’imprenditore, nella specie attraverso la pubblicità, ha fornito alla propria impresa un’utilità indiretta, promuovendo il proprio marchio di fabbrica attraverso il nome, l’attività e anche l’immagine durante tutti gli eventi cui l’associazione sportiva ha partecipato. In ogni caso, poi, i costi dedotti erano regolarmente documentati non solo dalle fatture emesse dall’associazione, ma anche dai relativi pagamenti registrati in contabilità.
La sentenza appare particolarmente interessante poiché si fonda su elementi che spesso gli uffici dimenticano: il giudice, infatti, condivisibilmente, ha dato importanza alla circostanza che non si può avere alcuna certezza sui maggiori ricavi conseguibili, tanto più che il riscontro sui risultati raggiunti è possibile solo a posteriori, quando cioè l’esercizio è già concluso. Va da sé, quindi, che anche un’errata valutazione dell’imprenditore sulla forma pubblicitaria scelta, non si può certo sanzionare con l’indeducibilità fiscale. Oltretutto, in un contesto di crisi economica, non si può escludere che la pubblicità sia servita a evitare una perdita di ricavi, anche senza aumento del fatturato.
Fonte: Il Sole 24 ore autore Laura Ambrosi

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