La società in lite non è di comodo

Se la liquidazione non può concludersi a causa di un contenzioso
L’impossibilità (o, comunque, la non opportunità) di concludere la liquidazione a causa di contenziosi pendenti (anche se di natura tributaria) costituisce oggettiva condizione che giustifica la disapplicazione della disciplina in tema di società non operative. Questa conclusione, sicuramente condivisibile, emerge dalla risposta a una istanza di interpello disapplicativo (protocollo 909-193/2015) fornita a luglio dalla direzione regionale delle Entrate dell’Emilia Romagna e che, per la situazione rappresentata, può interessare molte altre società in liquidazione.
Il caso descritto all’agenzia delle Entrate riguarda una società in liquidazione dal 2012, dopo aver svolto per molti anni l’attività di organizzazione di eventi sportivi in campo nazionale per conto di una prestigiosa casa automobilistica. Proprio la riduzione del budget destinato agli eventi sportivi dal cliente assolutamente principale, ha determinato la cessazione dell’attività e la messa in liquidazione, accompagnata tuttavia dalla notifica di una serie di atti di accertamento, fondati sulla presunta indeducibilità di costi relativi alla predetta attività. 
I vari avvisi venivano impugnati e i procedimenti risultano attualmente per la maggior parte pendenti in appello, dopo la vittoria della società istante in primo grado. L’assoluta mancanza di ricavi ha determinato per la società, nonostante un attivo patrimoniale del tutto marginale, il mancato superamento dei parametri di operatività previsti dall’articolo 30 della legge 724/1994, con conseguente necessità di ricorrere all’interpello disapplicativo per evitare le conseguenze dello status di «società di comodo». 
Il nocciolo della questione riguarda la decisione della società di non chiudere la liquidazione (cancellandosi dal Registro delle imprese) per evitare la perdita della capacità di stare in giudizio (effetto ribadito più volte dalla Cassazione, si veda, per esempio, la sentenza 6071/2013) con conseguenti ripercussioni sui soci.
È evidente il paradosso: l’evoluzione processuale (peraltro ad oggi vittoriosa proprio nei confronti del Fisco) impone (o, quanto meno, induce) di prolungare lo stato di liquidazione, in cui però la società rischia di essere considerata come una entità “di comodo”, ossia un ente la cui esistenza è considerata strumentale (e non tollerata) proprio dal legislatore fiscale.
Il paradosso è stato compreso e superato dalla direzione regionale emiliana, che ha accolto l’istanza disapplicando, nel caso di specie, la disciplina delle società non operative. 
Al di là del caso concreto, si ritiene che la risposta sia l’espressione di un principio del tutto condivisibile: se il protrarsi della liquidazione è l’effetto di una situazione forzatamente di stallo, che la società subisce senza poter far nulla di concreto per giungere a una conclusione, si è in presenza di una oggettiva causa di disapplicazione della disciplina delle società di comodo. Il prolungarsi di un contenzioso (con clienti, fornitori, dipendenti, piuttosto che con il Fisco, o tra soci) rappresenta una fattispecie classica della situazione descritta che però, a ben vedere, può configurarsi anche altrimenti. 
Si pensi all’ipotesi del possesso di beni (ad esempio immobili in cattivo stato o terreni) improduttivi, ma non vendibili a causa della situazione di mercato: imporre la chiusura della liquidazione previa assegnazione ai soci sarebbe come, nel caso oggetto di questo interpello, imporre la cessazione della società con riassunzione o prosecuzione dei vari procedimenti in capo ai soci. Vale a dire, forzare una conclusione anticipata della liquidazione che non è quella naturale e voluta dai soci, i quali sono generalmente i più colpiti da queste situazioni, che ben poco hanno a che fare con l’intestazione fittizia dei beni a strutture societarie “di comodo”.
Più in generale, occorrerebbe lavorare a livello di cause automatiche di disapplicazione nei confronti delle società in liquidazione, al fine di evitare che quasi tutti i sodalizi che non possono impegnarsi a una conclusione veloce della procedura, debbano forzatamente passare attraverso le “forche caudine” degli interpelli.
Ad oggi, infatti, per le società che decidono di mettersi in liquidazione, sia il provvedimento del 14 febbraio 2008 (rivolto alle situazioni di non operatività “tradizionali”, dovute alla scarsa profittabilità dei beni rilevanti), sia quello dell’11 giugno 2012 (rivolto alle situazioni di non operatività per perdite reiterate), prevedono una causa di disapplicazione che si attiva esclusivamente con l’impegno (assunto in dichiarazione) di chiedere la cancellazione dal registro imprese entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva. Il che, evidentemente, risulta impossibile in tutte le ipotesi di cui stiamo trattando, considerando che, con circolare 9/E/2008, è stato chiarito che al mancato adempimento dell’impegno assunto, consegue il ripristino dell’obbligo di assoggettarsi alla disciplina, a decorrere dal periodo precedente all’impegno. 
Fonte: Il sole 24 ore autore Giorgio Gavelli

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