Rinunce dei soci ai crediti totalmente detassate solo sino a fine 2015

Dal 2016, la non imponibilità è limitata alla parte del credito corrispondente al suo valore fiscale
Il numero 11/2015 di Schede di Aggiornamento presenta un apposito intervento dedicato alle modifiche recate dal DLgs. 147/2015 al regime fiscale delle rinunce dei soci ai crediti vantati verso la società partecipata.
Si tratta di una pratica, estremamente diffusa anche nelle realtà di piccole dimensioni, che consente di ovviare ai deficit patrimoniali delle partecipate senza ricorrere a nuovi apporti dei soci, ma “sacrificando” precedenti finanziamenti.
Le modifiche apportate dal decreto alle norme che regolano la fattispecie (l’art. 88 del TUIR per quanto riguarda la società partecipata, ovvero gli artt. 94 e 101 per quanto riguarda i soci) sono finalizzate, in estrema sintesi, a prevedere che la rinuncia non configuri più, sempre e comunque, una componente non imponibile per la partecipata (come oggi invece avviene), ma risulti imponibile per la parte che eccede il valore fiscale del credito oggetto di rinuncia; per quanto riguarda il socio, viene specularmente previsto che l’incremento del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione detenuta non sia più rappresentato dal valore nominale del credito, ma dal suo valore fiscale.
Sulla base di queste premesse, la Scheda cerca di individuare le fattispecie nelle quali il nuovo principio trova applicazione. Rifacendosi al contenuto della Relazione illustrativa al DLgs. 147/2015, esse sono individuabili nella svalutazione del credito, nella cessione del credito ad un corrispettivo inferiore al valore nominale e nella cessione del credito nel contesto della cessione della partecipazione.
Per quanto riguarda la svalutazione, un esempio può chiarire la problematica. Se il socio vanta un credito verso la partecipata di 500.000 euro e, in considerazione del presumibile valore di realizzo del credito stesso, iscrive in bilancio una svalutazione di 200.000 euro, di cui ad esempio solo 30.000 deducibili ai fini fiscali, il valore fiscale del credito è pari a 470.000 euro (mentre in bilancio il credito stesso è iscritto al valore netto di 300.000 euro). Se il socio rinuncia, al fine di capitalizzare la partecipata, la rinuncia stessa non è più completamente detassata, ma lo è sino a concorrenza del valore fiscale del credito, pari a 470.000 euro. Emerge, quindi, una sopravvenienza attiva imponibile di 30.000 euro, che la partecipata dovrà gestire in dichiarazione dei redditi attraverso un’apposita variazione in aumento (la rinuncia comporta, infatti, l’iscrizione di una riserva di patrimonio netto, senza transitare dal Conto economico). Di fatto, quanto dedotto dal socio a titolo di svalutazione si traduce in una componente imponibile di pari importo in capo alla partecipata.
Analogo fenomeno si verifica nel caso di cessione del credito: se il valore nominale del credito è pari a 10.000 euro e il creditore originario lo cede ad un socio al corrispettivo di 3.000 (realizzando, in questo modo, una perdita deducibile per 7.000 euro), all’atto della rinuncia la società partecipata iscrive una riserva di patrimonio netto di 10.000 euro, ma è tenuta a riprendere a tassazione, in qualità di sopravvenienza attiva, l’importo di 7.000 euro (ovvero, l’eccedenza rispetto al valore fiscale del credito per il socio che ha effettuato la rinuncia, a sua volta pari al corrispettivo di acquisto).
Nella Scheda vi sono, altresì, alcune considerazioni critiche in merito al reale ambito applicativo delle nuove norme. Prendendo ad esempio il caso della cessione del credito, esse non dovrebbero riguardare i casi nei quali la cessione sia stata effettuata da una persona fisica non imprenditore, che non ha titolo a dedurre le minusvalenze derivanti dalla suddetta cessione; in modo corrispondente, dovrebbero continuare ad essere completamente detassate le sopravvenienze in capo alla partecipata beneficiaria della rinuncia.
Fonte: Eutekne autori Silvia LATORRACA e Gianluca ODETTO

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